tag:blogger.com,1999:blog-19592071385371751132024-02-07T16:38:24.007-08:00MyAfrica - MALI.....un viaggio attraverso etnie, culture e tutto quanto ha a che fare col volto del continente nero.MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.comBlogger19125tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-31557644834535363532009-12-28T04:48:00.000-08:002009-12-28T04:48:28.339-08:00MATRIMONIO TOUAREG<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiE9jPNYhsx92s3ZcGkFguoIB3UPbUx9GsKG68ocP_PMJ9ZKA6VrEC-bOapPkotn5In99a5DcGTZ6pk_AKKbdGF_Ce3A5iQOKPqwDe2jhD5dJml8sidhzWdPhrirshABbIHPm7tjTxYWj8q/s1600-h/19+tomb+bambara+mou+(79).JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" ps="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiE9jPNYhsx92s3ZcGkFguoIB3UPbUx9GsKG68ocP_PMJ9ZKA6VrEC-bOapPkotn5In99a5DcGTZ6pk_AKKbdGF_Ce3A5iQOKPqwDe2jhD5dJml8sidhzWdPhrirshABbIHPm7tjTxYWj8q/s320/19+tomb+bambara+mou+(79).JPG" /></a><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Generalmente è d’uso contrarre matrimonio all'interno della stessa tribù, in un cerchio di parenti abbastanza stretti. Il matrimonio preferito è quella che unisce i figli di un fratello e una sorella o due sorelle, o due fratelli. <br />
</div><br />
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Nella norma però, questa cerimonia interessa il grado di parentela che più si avvicina al cugino, più o meno lontano. <br />
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Il desiderio dei genitori non sempre rispecchia i desideri dei loro figli, anche se dicono la loro, soprattutto durante il primo matrimonio. <br />
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<span style="color: red;"><strong>Prima del matrimonio</strong></span> <br />
La ragazza “pretesa”, in età di matrimonio, viene agghindata prima del matrimonio stesso. È il ragazzo che va a trovarla nella sua tenda durante la notte. Essa può cmunque accettare o rifiutare il dialogo richiesto da quest’ultimo. Se rifiuta, questi ha solo un’opportunità; quella di ritirarsi inosservato dal resto del campo.<br />
Se essa accetta di effettuare quello che viene definito un esame di "prova", allora può avere inizio l’iter comunicativo. <br />
Si tratta di un dialogo, tenuto prevalentemente dalla ragazza, basato su enigmi e puzzle, che via via divengono sempre più complicati. <br />
Il pretendente avrà comunque fatto “scuola” all'interno di gruppi di giovani che trascorrono le serate con giochi di memoria e di abilità. <br />
Se il ragazzo ha tutte le risposte, viene per così dire approvato. Egli porta quindi un talismano o un anello appartenente alla ragazza, un segno di amicizia che porterà come prova del suo successo ... durante questo “flirt”, il ragazzo potrebbe essere comunque “detronizzato” da un rivale che possa dare risposte più decise o fantasiose. <br />
Queste discrete riunioni notturne, conosciute da tutti, devono comunque preservare un certo anonimato. Allo stesso modo, va bene tutto per flirtare, a condizione che ciò non porti come risultato il fatto di dover dare alla luce un bambino. <br />
Questi rapporti, se proseguono per un certo periodo in modo costante, possono portare al matrimonio. <br />
La richiesta ufficiale viene poi dalla famiglia dello sposo a quello della giovane donna. <br />
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<span style="color: red;"><strong>la dote</strong></span> <br />
Il taggalt è sorta di successione alla sposa, costituito da animali che devono essere forniti dalla famiglia del giovane alla famiglia della sua futura moglie. L'importo dipende dal taggalt doganale, particolare e differente per ogni tribù, ogni famiglia ed in funzione dello status sociale della ragazza. In una famiglia, il taggalt stesso è passato poi di madre in figlia, anche in caso di nuovo matrimonio. <br />
Oggi, taggalt è di solito un importo in contanti. <br />
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<span style="color: red;"><strong>la Cerimonia religiosa</strong></span> <br />
Il marabout convoca i testimoni, prima del matrimonio delle due famiglie. Recita poi un versetto del Corano a chiamare la benedizione di Dio su questa unione. Anche se sanzionato dall’Islam, il matrimonio non è in contrasto con le norme della monogamia. <br />
Il matrimonio avviene nel villaggio o nel campo della sposa, anche se poi gli sposi andranno ad abitare nel villaggio o l'accampamento della famiglia dello sposo. <br />
La donna porta la sua tenda, mobili ed il taggalt donato alla famiglia e cedutogli dalla madre. <br />
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<span style="color: red;"><strong>Matrimonio nell'Ahaggar</strong></span> <br />
la festa è di solito supportata da tutta la comunità. E 'anche comune celebrare diversi matrimoni nello stesso giorno, cosicchè si possano da una parte ridurre i costi edall’altra dare più enfasi alla festa. I riti del matrimonio nell'Ahaggar prevede una serie di canzoni Tuareg che includono: il âléwen. Queste canzoni accompagnano ogni fase dei preparativi per la festa del corteo nuziale, la preparazione dei pasti collettivi, il montaggio della tenda nuziale e letto di sabbia ... <br />
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<span style="color: red;"><strong>Dresser tenda</strong></span> <br />
La tenda, Ehen, è uno degli oggetti ricorrenti nel matrimonio. Forse il principale, visto che è la casa dei futuri sposi. L'azione di beccheggio della tenda è detto ekres Ehen che per estensione significa anche "sposare" ed è uno dei riti più importanti della cerimonia. <br />
Il giorno prima della festa nuziale, viene eretta una tenda provvisoria. Al suo interno trova posto un letto di sabbia, Abdel. Il giorno successivo invece, verrà effettuato il montaggio definitivo della tenda che rimarrà fino al settimo giorno. In essa, un secondo letto di sabbia è pronto, il tadebût. Questo, considerato inviolabile da tutti e dedicato esclusivamente allo sposo, viene preparato solo poco prima dell'arrivo quest’ultimo nella tenda. <br />
Tenda e letto di sabbia sono una reliquia del matrimonio nomade. Oggi, il letto di sabbia viene anche sostituito da materassi e coperte ed installato nella casa scelta per la cerimonia. <br />
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<span style="color: red;"><strong>La sfilata di cammelli</strong></span> <br />
l’Âléwen è la funzione delle “lodi” accompagnate da tamburi e canti che avvengono in prossimità delle tende e vengono eseguite contemporaneamente alla parata di cammelli chiamato ilugan che si destreggiano in una sfida che vede la fine della giostra, quando uno dei cammellieri, montando uno di questi animali, riesce a strappare un velo ad un gruppo di donne. <br />
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<span style="color: red;"><strong>La processione del matrimonio</strong></span> <br />
Dopo il tramonto, una processione di uomini, accompagna lo sposo alla tenda nuziale. <br />
Poco dopo, una processione di donne (âléwen) accompagna anche la sposa con canti. Nel suo viaggio, i fratelli dello sposo (di solito), vengono chiamati ed ottengono un paio di sandali, (dopo lunghe discussioni sulla qualità di questi ighatimen). <br />
La sposa è collocata inizialmente nella tenda accanto a quella del marito. Solo quando ognuno torna a casa, gli sposi entrano in comunione tra loro, nella prima notte di nozze. Questo generalmente avviene dopo il secondo giorno di festa. <br />
Gli sposi rimarranno nella loro tenda durante i cinque giorni di festa successivi e riceveranno i giovani e le donne del villaggio. <br />
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<span style="color: red;"><strong>Divorzio </strong></span><br />
Il divorzio è comune. Può essere l'iniziativa dell’uomo come della donna. La donna allora lascia spesso i bambini con il marito, ad eccezione di quelli che non sono ancora stati svezzati e porta la tenda ed attrezzature che aveva portato durante il matrimonio. Animali della taggalt possono essere riconsegnati o meno a seconda dei motivi della separazione e del costume prevalente della tribù in questione. <br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-TZT6GbIrnTcDlfUVlZxaghcntF1iFv1dYwZ5tRRPqDuz2VYzBM4-UxgG-DYnfqM898MP6UwrsvdeRTNWMHq3SiDe7PCbRMDQRCfL6gtuibbtPXI_72_i6r8l2qoAIcoBIQQfUCr97xyj/s1600-h/19+tomb+bambara+mou+(123).JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" ps="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-TZT6GbIrnTcDlfUVlZxaghcntF1iFv1dYwZ5tRRPqDuz2VYzBM4-UxgG-DYnfqM898MP6UwrsvdeRTNWMHq3SiDe7PCbRMDQRCfL6gtuibbtPXI_72_i6r8l2qoAIcoBIQQfUCr97xyj/s320/19+tomb+bambara+mou+(123).JPG" /></a><br />
</div><br />
<em><span style="color: red;">Testo di una âléwen sul taggalt</span> </em><br />
<em>In nome di Dio per sette volte </em><br />
<em>Per nostra figlia che va </em><br />
<em>Che precede il nome di Dio </em><br />
<em>E fino al tardo Mohamed </em><br />
<em>Abbiamo inviato la cavalla </em><br />
<em>La cavalla può </em><br />
<em>La figlia nata da quel paese </em><br />
<em>Sorgi, mia figlia chiede </em><br />
<em>Per i piedi si mettono i sandali </em><br />
<em>Fate attenzione alla vostra guida </em><br />
<em>Tua sorella prima di </em><br />
<em>E la tua sorella minore ti segue </em><br />
<em>Taggalt Ta è un cammello con il muso bianco </em><br />
<em>Seguito da altri dieci </em><br />
<em>Taggalt Ta è vicino al pozzo </em><br />
<em>I tuoi fratelli mostrerà </em><br />
<em>Tuo zio materno ha accettato </em><br />
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<span style="color: red;"><em>Estratto di testo alewen</em></span><br />
<em>Questa è una bambina tra le creature di Dio </em><br />
<em>Egli ha messo acconciature e amuleti </em><br />
<em>Ha fatto un sacco di grandi e otto cuscini. </em><br />
<em>La mia copertura, con lunghe frange </em><br />
<em>Oh tenda PEG, si apre, Shun voi. </em><br />
<em>Scalare il letto di sabbia per farlo crescere </em><br />
<em>Anche la terra sarebbe volare </em><br />
<em>Fai una tenda del Gran Re </em><br />
<em>In nome di Dio per il matrimonio di mio fratello.</em><br />
<br />
traduzione di una nota di Hassan MidalMARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-4879039320801057592009-10-12T09:38:00.000-07:002009-10-31T05:43:52.551-07:00Mali: GLI ULTIMI ELEFANTI DEL GOURMA<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><br />
</div><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyz1cKSKiqbzqhMkskbC-l8ECvJWdNqt5uvgWTnkLmZulkiuf34dXkbCKMUFD1P-sK9UxQ0x5scX7OeaRpuyYWXn6guP30ppI6HTKyLIwZbAbjBnUsJ1jm2GLsgL-o59-VUWlHt0gLmnhT/s1600-h/19+tomb+bambara+mou+(128).JPG" imageanchor="1" style="clear: right; cssfloat: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"></a><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyz1cKSKiqbzqhMkskbC-l8ECvJWdNqt5uvgWTnkLmZulkiuf34dXkbCKMUFD1P-sK9UxQ0x5scX7OeaRpuyYWXn6guP30ppI6HTKyLIwZbAbjBnUsJ1jm2GLsgL-o59-VUWlHt0gLmnhT/s1600/19+tomb+bambara+mou+(128).JPG" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyz1cKSKiqbzqhMkskbC-l8ECvJWdNqt5uvgWTnkLmZulkiuf34dXkbCKMUFD1P-sK9UxQ0x5scX7OeaRpuyYWXn6guP30ppI6HTKyLIwZbAbjBnUsJ1jm2GLsgL-o59-VUWlHt0gLmnhT/s400/19+tomb+bambara+mou+(128).JPG" vr="true" /></a>Un branco di rari elefanti del deserto, in Mali è stato decimato da una delle peggiori siccità avvenute a memoria d’uomo nel paese nell’ultimo quarto di secolo, che ha abbassato il livello delle già esigui fonti d’acqua presenti sul territorio I 400 pachidermi che ancora vivono nel Gourma settentrionale, sono costretti a percorrere lunghi tratti nel territorio che lambisce il Sahara per trovare le scarse risorse idriche che necessitano per la loro sopravvivenza. Gli animali più giovani sono i più colpiti da questo problema, perché a differenza degli adulti, non hanno il tronco abbastanza lungo per poter raggiungere in profondità nei pochi pozzi presenti, le scarse falde d’acqua residuaQuest'anno il livello delle acque lacustri è estremamente basso nella regione Gourma, a causa della scarsità di precipitazioni irregolari avvenute nel corso del 2008. Il più importante di questi laghi, il Banzena, stà raggiungendo i limiti critici del 1983, quando si è asciugato completamente. Il 16 maggio, Jake Wall, uno scienziato che collabora con “Save the Elephants”, è tornato nel bacino e lo ha trovato quasi asciutto.Sono dunque poche le possibilità che oggi questi pachidermi hanno per poter trovare risorse idriche sufficienti al loro fabbisogno. Si sta assistendo ad una serie di movimenti erratici da parte di questi gruppi di grossi mammiferi, con destinazioni sempre più distanti, alla disperata ricerca di acqua e foraggio.<br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqFgD2qyR1x4Fv3hITCbDvVZzURWK3BgyRt91iVvN6PFf7YpuaFh5O0Hfmd2OP2vc4pmiuP_OkSt4vgOA3M1mFBEEymg3YtUK0DXvWrk2Vo-5wG0HzVwE-gD1l5HqEY2dLoJWNarXYoVpM/s1600-h/elefanti.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqFgD2qyR1x4Fv3hITCbDvVZzURWK3BgyRt91iVvN6PFf7YpuaFh5O0Hfmd2OP2vc4pmiuP_OkSt4vgOA3M1mFBEEymg3YtUK0DXvWrk2Vo-5wG0HzVwE-gD1l5HqEY2dLoJWNarXYoVpM/s400/elefanti.jpg" vr="true" /></a><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;">Nel corso degli ultimi anni, la Fondazione “WILD” e “Save the Elephants”, in collaborazione con il Mali, Ministero dell'Ambiente, Direzione per la conservazione – “Direction Nationale de la Conservation de la Nature”, hanno monitorato questi ultimi elefanti del deserto tramite l’ausilio di 9 radiocollari dotati di Global Positioning System (GPS). Gli impulsi trasmessi da questi collari, hanno permesso di rilevare le diverse posizioni degli elefanti, con rilevazioni effettuate fino a tre volte nel corso della giornata, tramite collegamento satellitare e di sviluppare informazioni in tempo reale sulle attività dei singolo gruppi. il dr Iain Douglas-Hamilton di “Save the Elephants” ha eseguito studi e ricerche sul campo, controllando l’andamento dei vari gruppi dalla metà degli anni ’70. Dice in un’intervista: "Nella regione del Gourma, in Mali, esistono gli ultimi elefanti che vivono nel Sahel, nell’Africa settentrionale. Il loro numero è diminuito drasticamente a partire dal 1970 a causa dei cambiamenti climatici e il sovraffollamento del bestiame, che h a degradato l'habitat. Questi elefanti hanno un percorso alimentare tra i più lunghi e gravosi rispetto a qualsiasi migrazione in Africa. Si muovono in cerchio, in senso antiorario per ben 700 km.Al culmine della stagione secca, questi pachidermi, si accalcano nell’unica “manciata” di laghi poco profondi presenti nel vasto territorio a sud di Timbuktu, e vi rimangono fino alla successiva stagione delle piogge, in luglio e agosto. Alcune ONG hanno lanciato un appello di emergenza per salvare questo branco. Attualmente molti gli elefanti sopravvivono con estrema difficoltà data dalla limitazione e dal difficile accesso agli approvvigionamenti di acqua. In un letto asciutto del lago, a 50 km ad est di Banzena, 6 elefanti sono sopravvissuti, riuscendo a recuperare a stento l’acqua loro necessaria alla sopravvivenza, inginocchiandosi in prossimità di alcune falde a 3 metri sotto il livello del suolo, attraverso un buco scavato dal popolo Tuareg. Li esemplari più giovani, che non hanno certamente le dimensioni degli adulti, non possono assolutamente raggiungere questi punti vitali di rifornimento idrico e se uniamo al fatto le lunghe distanze che sono costretti a superare per cercare di raggiungere le falde loro accessibili, le alte temperature e condizioni di debolezza, anche quest’anno, purtroppo dovremo stimare un pesante tributo per le nuove generazioni di pachidermi.<br />
</div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsnnjJ1TCdIzfxIyKYiRUK-aIznJpcwGCLhibwORgN_qAbS9YG3ZIKJmZ3ltsAPGWVQC6zaDpP7UxwDErVYbNKMxjNDFZTD_dC02EY1stHGvC0BMBM-gpWPWVDnanDdz2BVEgLK3swriJg/s1600-h/19+tomb+bambara+mou+(126b).JPG" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; cssfloat: right; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsnnjJ1TCdIzfxIyKYiRUK-aIznJpcwGCLhibwORgN_qAbS9YG3ZIKJmZ3ltsAPGWVQC6zaDpP7UxwDErVYbNKMxjNDFZTD_dC02EY1stHGvC0BMBM-gpWPWVDnanDdz2BVEgLK3swriJg/s200/19+tomb+bambara+mou+(126b).JPG" vr="true" /></a><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><br />
<div align="left"><br />
</div>MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-73801385287595006822009-10-12T09:35:00.000-07:002009-10-19T06:34:37.909-07:00Mali: un raro Sirenide - IL LAMANTINO<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxuMbmQTJ2EUXXVAIqJzMdx1juIdb5jO8A1dtG7LXYcHvnAGCbbph5saP0rkblLHCQ4EcV3-TBaDHcnd4f_-7id1x3g12cf5boB1bkEG2-_wwg9lkYm2mrfI10RntuiZwKYiuWXqBfUBL2/s1600-h/lamantino.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxuMbmQTJ2EUXXVAIqJzMdx1juIdb5jO8A1dtG7LXYcHvnAGCbbph5saP0rkblLHCQ4EcV3-TBaDHcnd4f_-7id1x3g12cf5boB1bkEG2-_wwg9lkYm2mrfI10RntuiZwKYiuWXqBfUBL2/s640/lamantino.jpg" vr="true" /></a><br />
</div>Nelle acque limacciose del Niger, a 2 mila chilometri dalla foce, in una delle zone più selvagge della repubblica africana del Mali, è avvenuta una straordinaria scoperta scientifica. Dopo settimane di ricerche, attese e tentativi andati a vuoto, è stato avvistato, catturato con le reti, studiato e rilasciato libero un animale mito per zoologi e naturalisti di tutto il mondo: il lamantino del Niger. Un mammifero d'acqua della famiglia dei sirenidi, qualcosa a metà tra un tricheco senza zanne e una grande foca dalla coda a ventaglio, dalla testa grossa e gli occhi piccoli e tristi. Un bestione lungo tre metri e pesante 400 chilogrammi, vegetariano, capace di sopravvivere in un ambiente di acque dolci tanto fangose che è impossibile vedere, sott'acqua, un sottomarino a un metro dai propri occhi. Finora questo animale era conosciuto solo come abitatore di foci ed estuari dell'Africa occidentale. Nessuno pensava che potesse vivere all'interno dell'Africa. E nessuno lo aveva mai visto. La scoperta, italiana, è avvenuta alcuni anni or sono grazie a Stefano Capotorti, responsabile per l'Africa ovest dell'associazione Terra Nuova, ed al biologo genovese Antonio Di Natale. La rivista “Panorama” ha pubblicato le sue foto in esclusiva: fino a oggi non esistevano al mondo immagini del lamantino del Niger.«Stanarlo è stata una vera impresa» racconta Di Natale. «Un animale pur così grande emerge di solo mezzo centimetro di naso da un'acqua melmosa e tanto densa da renderlo invisibile. Ha bassissimi ritmi di respirazione. Dalle narici inspira aria per non più di 4 secondi. Poi scompare per decine di minuti. Trovarlo vuol dire stare ore e ore a guardare il fiume, quando la corrente è calma e non c'è vento. Ad aiutare i ricercatori nell’impresa sono stati i pescatori africani, i Bozo».<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicR0eBRMZyUACn85c4THbaHK_sdcX4gLAFs1ELco4ERZDtuCKlwZTk6lpv5rT7YdXPqBAGdt74LDCZVG8vEve1qSANlCvEZdibEjHiJnJm8tganQp9ETeQLMhDN_FgAEp3MSHyj2cQqrh-/s1600-h/17+navigation+(16).JPG" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicR0eBRMZyUACn85c4THbaHK_sdcX4gLAFs1ELco4ERZDtuCKlwZTk6lpv5rT7YdXPqBAGdt74LDCZVG8vEve1qSANlCvEZdibEjHiJnJm8tganQp9ETeQLMhDN_FgAEp3MSHyj2cQqrh-/s200/17+navigation+(16).JPG" vr="true" /></a><br />
</div> In una vasta zona del fiume, dove vive un'etnia di lingua Bozo esiste una sola famiglia che si tramanda l'arte di cacciare i lamantini, oggi protetti dalla convenzione internazionale Cites, quella che impedisce la caccia alle specie in estinzione. «In quella famiglia» prosegue Di Natale «ci sono pescatori che sanno come prenderli: sono capaci di restare per ore in silenzio a fissare la superficie del fiume. Se non c'è vento, si riesce a vedere un cerchio d'acqua, come fosse il salto di un piccolo pesce».«Un numero di difficoltà tale da scoraggiare chiunque». «Tre volte si era riuscito ad accerchiarne uno con le reti e tre volte sono state ritrovate le reti strappate. Poi finalmente il successo». Gli animali catturati sono stati due: il primo, avvistato di notte, è stato rimesso in libertà la mattina dopo, una volta svolte tutte le analisi. Il secondo, due metri per 150 chili, è stato preso pochi giorni dopo. Di Natale ha potuto prelevare il sangue e un frammento di tessuto, per lo studio del dna, da entrambi gli esemplari. Secondo il biologo, un primo sommario esame degli animali dimostrerebbe che il lamantino del Niger è decisamente diverso dalla specie centroamericana. La sua pelle è grigio bluastra ed è molto più slanciato e affilato.«Siamo solo agli inizi delle nostre indagini. Bisognerà capire se si tratta di una vera sottospecie. Ma è certo che questi grossi animali, qualche centinaio appena in tutto il fiume, da migliaia di anni vivono completamente separati dai loro simili che abitano le coste dell'Africa occidentale. Sarà importante la ricerca acustica: infatti è impossibile che possano comunicare a vista. L'unico modo di interagire tra loro dovrebbe essere il suono». Gli uomini dell'acquario di Genova e dell'associazione Terra nuova riprenderanno le ricerche in Mali e proseguiranno gli studi sul lamantino. Di Natale vuole anche verificare le qualità terapeutiche dell'olio che un tempo si estraeva dal suo corpo. L'unguento di questo animale, secondo la medicina tradizionale africana, curava tutte le affezioni dell'orecchio e anche alcune dermatiti. Per questi motivi un tempo veniva cacciato e rischiava di scomparire. La notizia della ricerca italiana ha fatto il giro tra i pescatori del Niger. Intorno al gruppo di Di Natale si è formata una rete di collaborazione senza precedenti. Tutti quelli che sono riusciti a vedere i lamantini catturati vogliono dare una mano. C'è curiosità, ma soprattutto rispetto. Per molti di loro questi animali sono tabù. Così come succede per i delfini di fiume dell'Amazzonia (i botu vermelhos) uccidere un lamantino oggi è considerato causa di gravi disgrazie. In lingua Bozo infatti l'animale si chiama «sutandonè», cioè «l'ombra che annuncia la morte».<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7HHOweQyiMxgElWyOP0U5JHXqYLdIqGP_47d99pSf7S6drKVwsEIlL6zhLQGzepPsXc7paXquJUpR4rOgyFoYDM8wA6AeX04jmUGbSdQ05RgjlOCv4AMcRKMNSv-sCzbIL3S8SzHu2dp7/s1600-h/lamantino1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7HHOweQyiMxgElWyOP0U5JHXqYLdIqGP_47d99pSf7S6drKVwsEIlL6zhLQGzepPsXc7paXquJUpR4rOgyFoYDM8wA6AeX04jmUGbSdQ05RgjlOCv4AMcRKMNSv-sCzbIL3S8SzHu2dp7/s400/lamantino1.jpg" vr="true" /></a><br />
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Fonte Panorama – colloquio con Di Natale (acquario di Genova)MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-14164850025324643002009-04-08T16:12:00.000-07:002009-10-19T07:50:07.611-07:00AFROMEDICINA (tradizionale) - interviste a Piero Coppo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhA1_1CRiebp1tYb8SPb73LbMmrTx83f_4hGKN7aJYHHUvvSA797NfqZu4paaRePANakgRZd6HzsO0dCZgFy4A8HociNxiG655hwS0FHUL726Xl56vitmZkj_hzFFSTm0Hj27oU9j-QqpE/s1600-h/coppo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhA1_1CRiebp1tYb8SPb73LbMmrTx83f_4hGKN7aJYHHUvvSA797NfqZu4paaRePANakgRZd6HzsO0dCZgFy4A8HociNxiG655hwS0FHUL726Xl56vitmZkj_hzFFSTm0Hj27oU9j-QqpE/s320/coppo.jpg" vr="true" /></a><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Mi chiamo Piero Coppo e molti anni fa sono uscito dalla maturità classica, da un liceo classico e poi mi sono iscritto a Medicina, son diventato medico, ho fatto la specialità in Neuropsichiatria, ho lavorato per un po' di tempo, come neuro-psichiatra, vent'anni in Svizzera, e poi ho cominciato a occuparmi di altri sistemi di cura e ho lavorato per molti anni in Africa, in un paese africano e in un paese dell'America Centrale, il Guatemala. Il tema di oggi è il giro attorno alle relazioni tra la cultura occidentale e altre culture rispetto alla salute, alla guarigione e alla concezione globale dell'uomo che l'Occidente ha e che altre culture hanno. E su questo magari possiamo cominciare vedendo questa scheda, che abbiamo preparato. Da sempre l'Occidente è stato crocevia di saperi, arti, tecniche. Dall'Africa Nera, via Egitto, la Grecia classica prese, tra l'altro, miti e modi per interrogare l'invisibile, dall'Oriente, via Tracia, l'idea dell'anima indipendente dal corpo. La cultura araba contribuì a fondare le scienze e in particolare la medicina scientifica. I Conquistadores strapparono agli Amerindiani conoscenze e tecniche di cura, innestandole nella medicina europea dell'epoca. Poi negli ultimi due secoli in Europa il tumultuoso sviluppo dei saperi - liberati dai vincoli morali e religiosi - e delle tecniche che da essi derivano, ha dato l'illusione all'Occidente di non avere più nulla da imparare, più nessuna conoscenza da prendere da altri. Per chi credeva nel culto del progresso le tecniche avrebbero di per sé portato all'abbondanza per tutti e alla civiltà. La fine di questo secolo coincide col crollo di questa illusione. Oggi il mondo è in gran parte occidentalizzato, ma non sembra godere di buona salute. Moltissimi soffrono ancora di privazioni, di mancanza di cure, di violenze, di ingiustizie. Anche là dove c'è ricchezza, l'isolamento, l'insoddisfazione, la dipendenza, la passività segnano l'esistenza di molti. In Occidente un numero sempre maggiore di persone si rivolge ad altre culture, altre religioni, altre conoscenze, altri sistemi di cura. La cultura occidentale si rimette alla ricerca di altri, non solo come schiavi o materie prime, ma come portatori di altre visioni del mondo, altre filosofie, altre antropologie da cui imparare. La sua fame rivela una crisi e ogni crisi rappresenta un momento prezioso, come è evidenziato dalla parola cinese, costituita da due ideogrammi, che significano pericolo e opportunità.DOMANDE di un gruppo di studenti universitari durante un incontro tenutosi in Italia:STUDENTESSA: Professore, buongiorno. Quali sono state - e quali sono ancora oggi - le analogie e le differenze tra la medicina orientale e occidentale, e soprattutto cos'è stato a spingere l'uomo a ritenere di non dover più apprendere nulla dal mondo orientale e poi cosa ha spinto l'uomo invece a convertire questo stesso pensiero?Coppo: Beh, pensiamo un po' come nell'Ottocento e nel Novecento si è sviluppata la concezione dell'uomo che ha dato origine poi alla moderna medicina, quella che noi chiamiamo medicina scientifica. E' un mondo, quello dell'Ottocento europeo, che è sempre più sicuro di sé. E' sicuramente un mondo che ha una grande forza, e l'egemonia, per esempio militare, sta colonizzando tutti gli altri paesi e sta vivendo dentro di sé questa enorme avventura, che è stata la conquista della conoscenza scientifica. Pensate alla fine del Settecento, la Rivoluzione Francese, l'Illuminismo, la liberazione dal dominio delle tradizioni oscurantiste. C'erano dei campi in cui non era possibile occuparsi. La ricerca degli intellettuali, dei pensatori era bloccata da dei dogmi e da delle specie di riserve, in cui non si poteva entrare. C'erano dei proprietari del sapere. Allora lì, a un certo punto nell'Ottocento, insieme allo sviluppo della tecnologia, che rende possibile poi il grande sviluppo della produzione, che è la rivoluzione industriale, si innesta, nasce la concezione scientifica moderna dell'uomo, di come l'uomo è fatto, di come vive nel suo mondo e di come si ammala e di come si può curare. C'era una presunzione - e c'è ancora in alcune parti dell'Occidente - di detenere la verità e di doverla imporre a tutto il resto del mondo, come civiltà. Il depositario della civiltà era l'Occidente, il depositario della cultura era l'Occidente, il depositario della verità era l'Occidente, il resto era primitivo, non ancora evoluto. C'era quest'idea della linea evolutiva, in cui l'Occidente bianco, cristiano era il punto più alto, e tutto il resto era sotto, svalorizzato e ancora non sufficientemente sviluppato. Questa è stata, diciamo, la posizione occidentale, della scienza occidentale, fino agli inizi del Novecento. Agli inizi del Novecento è successo qualcosa. Prima, la Prima Guerra Mondiale, poi, l'intervallo tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale e la Seconda Guerra Mondiale, quello che ha dimostrato la Seconda Guerra Mondiale. Pensate a Hiroshima e Nagasaki, come la scienza che era stata pensata come il motore di civilizzazione, un motore automatico di civilizzazione, a un certo punto si sia rivelata completamente incapace di produrre civiltà. E allora l'Occidente ha cominciato a entrare in crisi. Ma cosa dell'Occidente è entrato in crisi? E' entrato in crisi proprio la sua anima viva, cioè non gli apparati militari, non gli apparati produttivi, che sono ancora egemoni nel mondo, ma è entrata in crisi proprio la sua anima. E allora la parte più viva dell'Occidente si è aperta verso altre culture. E' andata a cercare altrove dei suggerimenti e altre visioni del mondo, che potessero aiutarla a uscire da questo en passe, da questo momento di crisi. Si è alleata così la parte più viva dell'Occidente, la parte più libera del suo pensiero, con altre culture. E' quello che, in altri paesi del mondo, era stato portato avanti. Come nell'Occidente è stata sviluppata al massimo la tecnologia e quindi la capacità di controllo e di trasformazione della materia, così nell'Oriente è stata sviluppata al massimo la capacità di analisi e di lavoro sullo spirito. E quindi era del tutto normale che in questa situazione queste due parti si mettessero insieme, si rincontrassero.STUDENTESSA: Senta l'iniziale presunzione occidentale è dovuta soltanto a questa maggiore evoluzione da un punto di vista industriale, tecnologico, e poi anche della ricerca scientifica, oppure aveva anche livelli, per così dire, spirituali?Coppo: E' tutta una storia che si compie, secondo me, nell'Ottocento europeo. E' una storia che origina tantissimo tempo fa, è una storia che origina, come abbiamo visto nel filmato, addirittura dalla Grecia classica, che era il risultato già di un'ibridazione di altre culture. Cioè la Grecia classica ha prodotto quello che ha prodotto perché dall'Oriente riceveva viaggiatori e dal Sud , dall'Africa - e anche dall'Africa sotto l'Egitto, cioè dall'Africa Nera - riceveva informazioni tecniche e saperi. E da lì il processo è andato avanti. L'Occidente ha saputo specializzarsi in un conoscenza scientifica analitica, che è diventata capacità di trasformare il mondo di studiare la materia e di trasformare le tecniche in strumenti potentissimi, che hanno permesso un quantità di cose positive nel mondo, di superare una quantità di problemi. Però poi questo processo a un certo punto è diventato molto egoico. E' stato come se a un certo punto questa cosa cominciasse a negare tutte le altre e a dimenticare le sue madri e i suoi padri, da dove veniva, da dove aveva appreso, e ha cominciato a costruire una specie di egemonia, che era l'egemonia poi diventata l'egemonia militare, l'egemonia dei mercati, l'egemonia economica, che l'ha portato poi, a un certo punto, ha portato l'Occidente in una via senza uscita: se una persona diventa talmente presuntuosa e sicura di sé e crede di non aver più bisogno di nessuno e va avanti per la sua strada, a un certo punto si trova in un vicolo cieco e ha bisogno di riprendere il dialogo con gli altri. STUDENTE: Io volevo chiederLe, dunque, quale relazione, cioè come si può, fino a che punto si può mettere in correlazione il misticismo, sviluppato in Occidente, che comunque è tanto, misticismo soprattutto di sette, soprattutto di, diciamo, alternative che si ricercano o alla religione o comunque a una vita, per esempio frustrata, col misticismo, che io vedo molto più, diciamo, alla luce del giorno, in Oriente, un misticismo più, possiamo dire, convenzionale, qualcosa che non ha a che vedere con delle sette, diciamo sotterranee, in un certo qual modo. Fino a che punto quindi in Occidente, diciamo, fino che punto si può determinare un denominatore comune tra i due tipi di misticismo?Coppo: Lei intende misticismo occidentale, quello di oggi? Quello che avviene, oggi, in questa specie di mescolamento di molteplicità, di ricerca che c'è adesso, per cui ci sono molti nuclei, che cercano anche per vie mistiche, ma oggi?STUDENTE: Sì!Coppo: Ma sono due cose secondo me molto diverse, e questo ci riporta un po', secondo me, alla questione della crisi dell'Occidente. Cioè io credo che noi dobbiamo entrare in questa crisi con una grande apertura agli altri modelli e alle altre culture, ma senza rinnegare niente di quella che è la nostra storia, almeno della parte positiva della nostra storia. Quindi qua noi non possiamo oggi; lei non può, io non posso, ma noi, in generale, non possiamo. E' molto difficile, secondo me, che oggi alcuni di noi dimentichino, proprio cancellino Aristotele, Platone, Cartesio, la Rivoluzione Francese, gli Illuministi, Voltaire, eccetera, e entrino in un modello mistico, facendo finta di non contenere tutto quello che la nostra tradizione, la nostra storia ha portato. E' molto difficile che degli europei o degli occidentali - se vogliamo usare questo termine - riescano ad entrare davvero in altri sistemi culturali. Bisogna esserci nati, bisogna avere una tradizione lì dentro, bisogna, fin da piccoli, avere letto il mondo e capito il mondo in quel modo, per esserci davvero nello stesso modo in cui ci sono le culture, che hanno sperimentato questa cosa da sempre, l'hanno portata avanti la loro storia. Io non credo, - e questo è da un certo punto di vista, secondo me, l'equivoco della new age, questo movimento sincretista -, io non credo che sia possibile cambiare mentalità e anima come si cambia un vestito. Cioè noi abbiamo la nostra. Possiamo rivolgerci ad altre, possiamo dialogare con altre, ma dobbiamo riuscire a fare in modo che questo altro e la nostra tradizione siano presenti tutte e due e dialoghino tra loro, ma senza dimenticarne una.STUDENTESSA: Professore, Lei nel suo libro Etnopsichiatria ha detto che il passaggio da normalità all'anormalità, per così dire, sia in Occidente e negli altri paesi è dato però da un diversa visione del mondo. Quindi questo ha portato anche a dei metodi curativi diversi. Quindi dove ci può essere un incontro fra i modi di guarigione, se poi le concezioni sono diverse? Non dovremmo forse cambiare prima il nostro modo di vedere? Se no non ci può essere un punto di incontro fra i metodi di guarigione. Tant'è vero che anche Lei ha detto inizialmente che l'orientale, se dev'esser curato per esempio in un manicomio occidentale, dovrebbe trovare delle difficoltà. Allora l'occidentale, se si rivolge all'Oriente, non dovrebbe trovare anche lui delle difficoltà senza avere poi delle risposte?Coppo: Sì, io credo che se è possibile un certo dialogo, questo dialogo però comporta un lavoro, e questo lavoro comporta dei tempi, e questi tempi sono la crisi che noi stiamo attraversando come Occidente. Pensi, per esempio, a vent'anni fa, venticinque anni fa, la crisi interna alla psichiatria occidentale, lei pensi per esempio in Italia. Noi abbiamo avuto Basaglia e tutto il movimento della rivoluzione psichiatrica, che ha scardinato una quantità di concetti, che noi avevamo ereditato dall'Ottocento e dall'inizio del Novecento, cioè come concezione della malattia mentale. Ora, lì si è aperto - questo scardinamento della struttura rigida della psichiatria occidentale -, ha aperto una specie di porta, attraverso cui noi riusciamo a dialogare con altri sistemi. Per esempio ha messo in crisi l'idea che si tratti, che si tratti di malattie mentali e quindi si tratti di disturbi legati al funzionamento della materia del cervello. E in questo modo noi ci siamo avvicinati a concezioni di altre culture, per esempio, che considerano la malattia in generale, quella psichica in particolare, non come una malattia, un guasto interno a noi, ma come l'effetto di alterati equilibri, tra noi e gli altri, tra noi e il mondo. In questo senso c'è un filmato relativo a una tecnica tradizionale africana di cura, che ci potrebbe dare, così, degli elementi per andare avanti su questo discorso.MEDIATORE: La differenza tra medicina tradizionale e medicina moderna, non sta tanto nell'efficacia, quanto nelle caratteristiche di umanità dell'una e in quelle disumanizzate dell'altra. Certo la medicina moderna obbedisce a regole ferree - in chirurgia e nella cura delle malattie infantili -, ma gli aspetti umani tendono a sfuggirle, e così la gente si rivolge spesso alla medicina che le somiglia di più, che le è più vicina. MEDIATORE: a Tangelan opera un vero e proprio centro di formazione per professionisti della medicina rivelata e della mistica africana, futuri portatori di credenze e di pratiche terapeutiche, lontane dai nostri codici razionali. MEDIATORE: in questo centro vi "dimora" una donna veggente del villaggio. prevede tutto quel che può succedere qui, compresi le disgrazie ed i misfatti che possono verificarsi a causa dello scontento dei nostri progenitori, soprattutto del genio della foresta, perché noi africani crediamo in questa figura - sorcier - chiamiamo così quelli che fanno del male al villaggio con i loro poteri, soprattutto il genio della foresta.Coppo: Ecco, per esempio, potremo vedere una situazione "terapeutica", tra virgolette, di una cultura africana. E' impossibile immaginare una persona, un bianco, lì dentro. Cioè io non ce lo vedo uno di noi ballare insieme a questa gente e partecipare a questo tipo... Quindi non è possibile entrare immediatamente in queste cose, no? E' molto importante invece capirle, studiarle, vedere come è possibile, come sarebbe possibile tradurle, quali lezioni noi possiamo prendere per questo tipo di situazioni.STUDENTESSA: Volevo domandarLe, dove sarà possibile questo incontro? Dal un punto di vista pratico ci sono strutture aperte a questo tipo di incontro?Coppo: Ci sono strutture di ricerca. Qui c'è un po' il pericolo che questa crisi cosiddetta dell'Occidente, anziché andare verso un mondo dove molte diverse culture, tutte uguali dal punto di vista del loro valore, dialogano, il rischio è che l'Occidente, che è più forte, ha i mezzi tecnici, media, in qualche modo faccia una nuova operazione di assimilazione, si mangi tutte queste cose. Questo è un po', diciamo, il rischio del passaggio attuale. Ci sono delle strutture di ricerca, universitarie, anche molto importanti, che lavorano sulle interfacce tra la medicina occidentale e i sistemi medici altri. Ce ne sono in America, ce ne sono in Africa, ce ne sono in Italia e lì si fa proprio questo tentativo di lettura dall'interno di questi sistemi. Cosa poi questo produrrà dal punto di vista pratico, quando questa cosa e come questa cosa si tradurrà in sistemi di cura, diciamo aperti a varie culture, non lo so. Però sono delle esperienze in corso. STUDENTESSA: Ci sono stati ritrovamenti archeologici che hanno determinato l'esistenza di tecniche chirurgiche che avevano, diciamo, la funzione, di un po' curare forse, poi, disturbi mentali in alcuni soggetti. Io volevo sapere quanto queste, queste tecniche erano legate a una conoscenza effettiva scientifica e invece quante a credenze religiose o comunque a impostazioni filosofiche.Coppo: Penso che lei si riferisca alle ricerche paleantropologiche dove son stati trovati dei crani con dei fori.STUDENTESSA: Sì.Coppo: Allora, credo che da sempre tutte le culture hanno sviluppato un sapere sperimentale. In certi casi era evidente che il male veniva dalla testa e che era legato a un specie di pressione che dal di dentro non riusciva a sfogarsi. Pensi, per esempio, a tutte le meningoencefaliti, infiammazioni delle meningi del cervello e a tutta una serie di altri disturbi, per cui trovavano o avevano trovato come sistema per rispondere a queste emergenze, diciamo, la perforazione del cranio e lasciar sfogare questa cosa. Da un lato credo che questo sia proprio il risultato di una specie di scienza limitata dalle possibilità, che allora c'erano, che aveva scoperto che così le cose andavano meglio e che vede sviluppata anche una tecnica abbastanza raffinata, perché pensi lei cosa vuol dire trapanare in quelle condizioni ed evitare poi suppurazioni ed infezioni di tipo mortale. Naturalmente questa cosa si è poi sempre mescolata a ciò che noi chiamiamo credenze, cioè a un complemento che va al di là , ma che sono attive anche nella nostra medicina, che noi riteniamo scientifica. Cioè un complemento di interpretazione che va al di là della parte meccanica, ma della parte proprio tecnico-meccanica, per cui per esempio potrebbe essere anche pensata come modo di far uscire degli spiriti maligni che erano entrati nel corpo per altre vie.STUDENTESSA: Professore, secondo Lei la nostra medicina, per avere maggiore efficacia, deve rimanere attaccata alla tradizione o a elementi di magia come accadeva in Oriente molti secoli fa?Coppo: Sì. Ma io credo che sia in corso un travaglio nella nostra medicina, nella medicina che noi chiamiamo "scientifica", un travaglio molto profondo e molto interessante. E credo che questo travaglio parta proprio dalla base della medicina, che è la concezione dell'uomo. Qui ci sono degli oggetti, che in qualche modo raccontano alcuni aspetti di questa storia. C'è per esempio un orologio, che è il paradigma ottocentesco - anche prima: settecentesco -, ma poi sviluppato nelle scienze umane, nell'Ottocento e nel Novecento, il paradigma del funzionamento dell'uomo. La meccanica dalla fisica entra nella biologia, studia, considera l'uomo come un insieme di ingranaggi che interagiscono insieme. Il movimento di uno determina l'altro. Dalla Grecia antica viene lo studio sul cadavere. Noi abbiamo un'enorme conoscenza anatomica sul corpo dell'uomo, ma sul corpo dell'uomo studiato attraverso la dissezione. Siamo l'unica cultura che fa nascere la propria concezione dell'uomo dal cadavere. Già ai tempi di Aristotele si pensava che si poteva studiare la costituzione dell'uomo solo disseccandolo, cosa che nessun'altra cultura aveva fatto e che nessun'altra cultura ha fatto neanche dopo, tranne in tempi recenti, e addirittura dissecando il corpo dell'animale, ucciso in modo speciale, in modo particolare, per evidenziare alcune parti del corpo. Quindi noi abbiamo una concezione del corpo, dell'uomo, meccanicista, legata al funzionamento delle macchine, e sviluppata attraverso lo studio del cadavere. Altre culture, per esempio ci sono questi manifesti, queste, queste mappe, che mostrano alcune basi dell'antropologia orientale. Una è, come vedete, questa dei Chacra, cioè tutta l'area orientale cinese considera che l'uomo è un contenitore, una specie di contenitore di vie energetiche, che sono in connessione con tutto l'universo. E queste vie energetiche, attraverso queste vie energetiche passano, passa la forza della vita e hanno i loro nuclei, i loro nodi nei Chacra, che sono situati lungo la colonna vertebrale e le loro vie, nel corpo, attraverso i meridiani, che poi vengono usati dalla medicina orientale cinese, nell'agopuntura per esempio. Allora io credo che, nel momento in cui la nostra visione, che è utilissima, per esempio se voi dovete fare - una persona soffre di appendicite acuta con rischio di peritonite -, voi dovete operare e dovete farlo in fretta perché il rischio è di morte, - allora attraverso un sistema di questo genere voi sapete dove andare a mettere le mani, cosa fare e cosa non fare, dove tagliare e dove non tagliare, come chiudere, come curare. Ma se voi dovete andare a lavorare su una depressione, per esempio, su una perdita di energia vitale della persona - non è più capace di fare programmi, si sente stanca, non vede più il futuro, si sente devitalizzata - allora è quel sistema di riferimento, non è più questo. Allora io credo che da un lato quello che idealmente dovrebbe venir fuori dal passaggio attuale, dalla transizione attuale, sarebbe l'articolarsi, il mettersi insieme di questa e quella visione, ciascuna radicata nella sua tradizione. Forse il punto è non buttare via le tradizioni, ma conservarle, facendo entrare anche le altre.STUDENTESSA: E' vero che spesso in Oriente la follia mentale o, come noi la chiamiamo appunto, la "malattia mentale" viene attribuita alla presenza di uno spirito all'interno del soggetto, dell'interessato? E, se la risposta è affermativa, questa situazione può essere ricercata nell'ambito religioso o magari sulla semplice superstizione o su credenze popolari o su cos'altro?Coppo: Ma sì è vero. E' vero che in Oriente, è vero che in Africa, è vero che in America, è vero che ovunque ci siano culture non generate, che non hanno subito, che non hanno fatto il nostro percorso, il disturbo dello spirito - ricordatevi psyché in Omero, da Omero in poi, è la forza vitale, poi diventa l'anima, è lo spirito - allora il disturbo dello spirito è legato agli spiriti, è un disturbo sul livello degli spiriti. Nel nostro mondo, nella nostra concezione antropologica, nella nostra concezione dell'uomo, noi siamo degli individui, chiusi dentro la nostra pelle, ciascuno di noi qui è un individuo autonomo, chiuso nella nostra pelle. Ma perché i nostri occhi vedono così. Ma se, per esempio, noi potessimo vedere le radiazioni di calore o di gas che il nostro corpo nel respirare emette, già noi avremmo un'altra configurazione di chi noi siamo. Allora, altre culture, che non hanno concepito l'uomo come così chiuso nel suo involucro, considerano i disturbi dello spirito come dei disturbi delle relazioni, legate alle relazioni con i mondi visibili e con i mondi invisibili, che sono all'interno della loro concezione del mondo. Per cui essere, avere dei disturbi di comportamento, essere tristi, essere eccitati, vedere delle cose che gli altri non vedono, entra in quella categoria di cose lì, entra in un'alterazione dell'equilibrio nella nostra relazione col resto del mondo visibile e invisibile. In qualche modo non è molto diverso quello che noi facciamo, nel senso che la tradizione biomedica considera il disturbo mentale come prodotto del malfunzionamento di molecole, che pure sono invisibili a noi.STUDENTESSA: Professore, il mondo occidentale non si sta forse avvicinando in modo troppo superficiale al mondo orientale, non calcolando magari che proprio questa differenza di culture, forse sono comunque due culture diametralmente opposte, quindi è impossibile un avvicinarsi così superficiale. E questo non potrebbe poi scaturire in una sorta di fanatismo?Coppo: Sono d'accordo, c'è però che il mondo occidentale è un'entità molto astratta, c'è modo e modo. Sono d'accordo. Più che fanatismo ho paura che questo si trasformi in una specie di nuovo consumo, che bruci questa cosa e non la usi per quello che può dare. In questo senso, forse, un'esplorazione, anche nei siti di Internet, ci può dare un'idea di come le cose si stanno mettendo insieme in questo periodo.STUDENTE: Buongiorno, professore. Abbiamo fatto la solita ricerca su Internet e abbiamo trovato molte cose interessanti e volevamo mostrarLe i risultati della ricerca. Prima di tutto, abbiamo trovato, un sito spagnolo che parla di sciamanesimo e oniromanzia; sa dirci qualche cosa?Coppo: Sì; questo è uno di questi centri di ricerca di cui parlavamo prima, di alto livello universitario, che sta studiando l'uso di piante maestre nelle tecniche tradizionali amazzoniche di sciamanesimo. In pratica gli sciamani amazzonici usano alcune piante, che bevono, per avere delle visioni, per entrare in contatto con gli spiriti della selva e della foresta e per chiedere a loro il modo di guarire certe malattie. E questo è, per esempio, il sito di un istituto di ricerca dove antropologi, psicologi, psichiatri, lavorano con sciamani, in Amazzonia, per cercare di capirsi, intanto, e poi capire quello che lì sta succedendo. STUDENTE: Grazie. Abbiamo trovato anche qualche cosa sui chacra, che adesso Le mostriamo, e poi un articolo molto interessante, che fa un paragone tra alcuni sistemi di centri di energia greci con i chacra della medicina orientale; ne sa qualcosa, cosa ne pensa?Coppo: No, non conosco questa cosa in particolare, però mi sembra del tutto plausibile che tra l'antica Grecia e l'Oriente - pensate che le sapienze cinesi sul chacra, e indiane sul chacra, sono di duemila, tremila anni prima di Cristo -, cioè quindi mi sembra del tutto normale che in tutto questo tempo ci sia stata, diciamo, una diffusione di sapere e che questo in qualche modo abbia determinato dei punto di incontro, di discussione tra realtà anche così diverse. STUDENTE: Poi abbiamo trovato qualcosa sulla psichiatria transpersonale. Se poteva darci qualche chiarimento.Coppo: In California, a Berkeley, c'è un'università, Palo Alto, da cui sono nate le nuove tendenze in psicologia, venti o trent'anni fa, quelle che oggi sono normalmente in circolazione nelle nostre accademie, ma anche nei nostri sistemi di cure. Oggi hanno aperto un istituto di psicologia transpersonale, il che vuol dire che non studiano la psicologia come se fosse un problema interno a ciascuno di noi, ma psicologia come il modo che noi abbiamo per relazionarci tra di noi e con l'ambiente. E questo istituto di psicologia transpersonale sta cercando di mettere insieme i sistemi psicologici orientali, tradizionali orientali, e quelli occidentali. Questo è un bell'esempio di ricerca di lavoro ad un alto livello.STUDENTE: Grazie. Cercando, poi abbiamo trovato anche qualcosa che La riguarda, sulla rivista On line alpha zeta. Salute e malattia tra i dogòn del male è un suo articolo, dove dice che nell'86 ha iniziato l sua attività nell'ambito di un programma di cooperazione bilaterale Italia-Mali. Ci vuole spiegare in cosa è consistito.Coppo: Questo è stato un progetto di cooperazione tra l'Italia e il Mali, per cui è stato costruito un centro di studio sulle medicine tradizionali africane, cioè sulle medicine dei guaritori africani, nel cuore di una cultura, che è la cultura dogòn, che è famosa nell'ambito dell'antropo ed etnologia per la grande sapienza e per la grande sapienza esoterica, che noi chiameremo magica. Lì è stata costruita questa struttura in cui medici, botanici, chimici, psichiatri, psicologi, antropologi, italiani e maliani, lavoravano con i guaritori e con le guaritrici tradizionali africani, per cercare di vedere in che modo i due saperi e le due pratiche potevano essere messe insieme per migliorare il livello di salute della popolazione. Ed è un'esperienza che è ancora in corso, che ha già prodotto molto dal punto di vista scientifico, ma che è ancora in corso e che continuerà, mi auguro, per molto tempo. E in questo senso questo - in qualche modo mi riallaccio alla domanda di prima -, dimostra come il perché questi incontri che non si risolvano in un consumo superficiale che brucia tutto, bisogna che si trasformino in lunghi lavori, lavori lunghi, ma lavori di anni, per generare effettivamente una cultura che poi produca una visione del mondo e capacità di gestire i problemi degli uomini.STUDENTESSA: Buongiorno, noi oggi in Occidente cerchiamo tanti modi di cura alternativa, anche per quanto riguarda le malattie mentali. Io vorrei sapere com'è la situazione, appunto per quanto riguarda la cura delle malattie mentali, nelle civiltà passate, non so, in Egitto?Coppo: E' vero che noi oggi ci rivolgiamo molto alle medicine alternative, qui in Occidente, per ogni tipo di problema, non solo per i disturbi che chiamiamo psichici. Nelle medicine e negli altri sistemi, nei sistemi tradizionali, nei sistemi antichi i disturbi psichici erano curati prevalentemente da degli specialisti che erano un po' a cavallo tra i technitai, cioè tra gli uomini delle arti, tra gli artigiani, e i sacerdoti, cioè le persone che erano competenti da una parte sulle tecniche e dall'altro sul mondo dell'invisibile sul mondo del sacro. E questo è un po' ancora la figura del guaritore, specialista in disturbi che noi chiamiamo psichici, in culture tradizionali, per esempio africane orientali, sono sempre persone che sono un po' a cavallo tra i due mondi, quello degli artigiani e quello dei sacerdoti.STUDENTESSA: Professore, prima avevamo parlato di improvviso distacco fra mondo occidentale e mondo orientale, soprattutto perché il mondo occidentale, abbiamo visto, aveva cominciato a distaccare e a rinnegare quei determinati dogmi del passato e li abbiamo visti in determinati lati negativi. Ma non è forse vero che, comunque sia, tramite questo distacco e questo rinnegare questi dogmi, il mondo occidentale è arrivato a quell'eclatante progresso, a cui abbiamo assistito negli ultimi secoli?Coppo: Sì è vero. E' stato molto doloroso, voglio dire, dentro il processo di sviluppo dell'Occidente, amputare tutta questa parte, che invece altre culture hanno portato avanti. E' chiaro che, attraverso questa specializzazione, portata all'estremo, che punta, appunto, sulle tecniche dell'Occidente, son stati fatti degli enormi progressi. Ora però la questione, a mio parere, è quella che c'è un limite a questo percorso, diciamo così indirizzato, così a punta, così accelerato, in una sola direzione, c'è un limite. Forse questa cosa non potrà portare più di tanto, più di tanto benessere per le persone, pacificazione per il rapporto tra le persone e l'ambiente. Forse è il caso di ringraziare il percorso fatto fino adesso, perché ci ha dato enormi possibilità. Ma forse è il momento di cominciare a vedere come articolarlo con altre sapienze, altre conoscenze, in una logica di pacificazione del pianeta e non più di ricerca, di "assalto al cielo", come si diceva una volta. E credo che, in questo senso, sarà la vostra generazione che dovrà andare avanti, attraverso lo studio, attraverso il lavoro e attraverso una posizione di non rinnegamento delle proprie origini, ma di apertura verso gli altri sistemi e gli altri mondi non svalutati, ma considerati eguali. Se riuscite a fare questo, avrete fatto davvero tantissimo.Coppo: Sono un medico, un neuro-psichiatra. Lavoro in altri paesi, all'estero, studiando sistemi di cura non occidentali e in Italia come medico e psicoterapeuta. Mi sono laureato trent'anni fa, più o meno, e in questi trent'anni ho visto cambiare i modelli di riferimento dell'uomo, che la scienza occidentale usa.Prima vi era un modello neurologico, materialista, tutto era nel cervello nei neuroni, nei sistemi, nei neurotrasmettitori, poi è entrato il modello psicologico e poi è entrato il modello sociale. Oggi si usa un modello che si dice multiplo, psico-bio-sociale. Però nel frattempo, in questi anni, è anche entrato, attraverso i viaggiatori migranti e quelli di noi, che sono andai a lavorare fuori, sono entrati modelli di uomo, che venivano da altre culture. Si è creata così un'esposizione della nostra idea di come è fatto un uomo, che si ibridata, in qualche modo contaminata, con degli altri modelli che venivano da altrove. INTRODUZIONE: L'idea che la cultura occidentale dell'Ottocento e del Novecento aveva degli esseri umani era il prodotto di due principali fattori, del vizio euro-centrico e gerarchico, che li collocava su una semiretta ascendente, al cui punto più alto stava il maschio bianco, cristiano, ricco e dell'influenza della meccanica, che spingeva a pensare gli uomini come le macchine: individui costituiti da un insieme di organi che, funzionando bene, determinano la salute, se no la malattia. Quel modello, oggi improponibile, anche per il progresso delle scienze umane applicate - antropologia, etnologia, psicologia - si incontra e si scontra ovunque con quelli di altre culture. Da molte culture africane, per esempio, gli individui non sono considerati autonomi e isolati, contenenti un interno di loro proprietà, ma come nodi di una rete, traversati da vettori che costituiscono insieme il loro e il resto della comunità. Lì la salute è segno di buone relazioni con gli altri umani, con la natura circostante, col mondo invisibile: antenati, spiriti, forze diffuse ovunque. Lì la malattia può non essere un guasto interno alla persona, ma segno di una cattiva relazione tra individuo, il suo gruppo, il suo ambiente. In molte culture amerindiane e orientali la salute pensata e cercata come equilibrio tra forze di segno opposto: per essere costruito e mantenuto dentro la persona deve essere costruito e mantenuto anche fuori di lei. Oggi sempre più numerosi sono i tentativi di integrare modelli provenienti da varie culture. Ovunque concezioni dell'uomo e del mondo e ideali di salute sono tra loro intrecciati e esposti a particolari ibridazioni e trasformazioni. Per le popolazioni africane, la malattia può nascere da un cattivo rapporto con la società, con l'ambiente. Ma che tipo di malattie sono? Sono malattie mentali oppure qualsiasi tipo di malattia?Coppo: I guaritori africani pensano che qualunque tipo di malattia sia il risultato di qualche cosa che non funziona, non dentro la persona, ma nelle relazioni tra la persona e il suo gruppo, in particolare quelle cosiddette, che noi chiamiamo "psichiche". Ma, per capire questo, bisogna riferirci all'idea che molte culture africane hanno di come è fatta una persona. Una persona è, secondo queste culture, una specie di coagulo attorno a degli assi che la collegano con altri, con il lignaggio, per esempio - gli antenati -, con il mondo della natura, - gli esseri invisibili, che vivono il mondo della natura -, oppure anche con quelli, i pari di età, cioè quelli che hanno lo stesso gruppo, che sono nello stesso gruppo di età, che condividono le stesse occupazioni giornaliere. E allora, quando qualcosa non funziona, che la persona presenta il segno di qualcosa che non funziona, questo non è considerato come un guasto interno alla persona, ma questo è considerato come un segnale di allarme di qualche cosa che si è guastato e non funziona nelle relazioni tra le persone e tutti questi livelli del mondo.Quali sono i gruppi che in Occidente si battono per l'integrazione tra medicina all'europea, medicina classica, e medicina alternativa, come possono essere quelle delle altre culture?Sta succedendo adesso, in Occidente, una grande ebollizione, in questo campo. Ci sono tantissimi attori, cioè persone attive o gruppi attivi in questo campo, e ci sono anche diversi approcci, diversi punti di vista, ci sono degli scienziati, dei ricercatori, delle persone che studiano queste cose, ci sono delle persone che fanno queste cose. Basta che voi andiate in giro in un punto qualunque dell'Italia, della Francia, della Germania e trovate una quantità di ambulatori, di pratiche, di medicine diverse. E poi ci sono le persone che vengono dall'esterno, quelli che noi chiamiamo gli "immigrati", che stanno, che si organizzano per portare qui i loro sistemi di cura. Questi sono organizzati in qualche modo parallelamente ai sistemi di cura delle aziende sanitarie o degli ospedali: cioè loro portano, assieme alla loro cultura, anche i loro sistemi di cura. Quindi ci sono molti attori diversi, che lavorano in quest'area adesso.Nell'ambito della cultura occidentale, adesso stiamo assistendo a questa ibridazione della medicina. Quanto può essere preso di originale rispetto ad altre culture, quanto invece deve essere integrato e cambiato, nell'ambito della società occidentale, perché queste pratiche alternative siano efficaci?C'è un lavoro di ibridazione. L'ibridazione è un fenomeno naturale, quasi biologico. E' successo che, con l'estensione delle comunicazioni dei trasporti, le culture umane sono entrate ciascuna in contatto con l'altra, cioè tutte queste cose - gli oceani, le montagne -, che una volta erano degli ostacoli naturali alla comunicazione, si sono dissolti. Allora in questo momento tra tutte le culture del mondo c'è questo fenomeno spontaneo e positivo di contaminazione, di ibridazione. Questo riguarda tutto. Riguarda gli oggetti, riguarda le merci, riguarda i pensieri, riguarda i vestiti, riguarda gli stili di vita, riguarda tutto, e riguarda anche le modalità di cura ovviamente. Non riguarda solo le modalità di cura, cioè la terapia. Riguarda anche i modelli di uomo, che stanno dietro le terapie, che regolano, diciamo, le terapie. Allora secondo me è impossibile pensare che questi sistemi entrino così come sono e restino così come sono, ma credo che si debba più pensare a una specie di lavoro, di mescolanze e di rielaborazione.Per quello che riguarda le malattie, le malattie quindi sono viste come un problema, cioè in questa società, in questo gruppo - perché ogni persona fa parte di un gruppo - sia in Africa - cioè può essere in Africa -, ma magari diversamente in altre culture, come quella cinese o sudamericana. Quindi la morte è vista come una liberazione, per il gruppo, di un certo male, o qualcosa di simile?No, non necessariamente la morte è vista come una liberazione del gruppo, del male che è entrato nel gruppo. La morte è vista come una sconfitta del gruppo nel suo lavoro di cercare di tenere in mezzo a sé la persona che è andata in crisi. Se - per esempio, nel sistema africano -, se la persona va in crisi, perché qualche cosa non funziona nelle relazioni tra il gruppo e l'ambiente, può non essere colpa sua, può essere il fatto che qualcuno del gruppo ha fatto qualcosa che non doveva nella sua relazione con l'ambiente esterno, l'ambiente geografico. Allora la persona che si ammala diventa un po' il capro espiatorio, se vuole, di questa situazione e il gruppo intero si muove per recuperarla, per risolvere il problema e recuperare la persona al suo interno. Se la persona muore, è considerato un fallimento di questo lavoro del gruppo. In altre culture, cioè, ci sono delle culture più o meno fataliste, rispetto a questa. Ma ogni gruppo umano vuole tenersi i suoi membri, cioè considera gli individui come delle parti importanti di se stesso.Quindi una concezione completamente diversa da quello che noi pensiamo della morte.Sì, è una concezione diversa della nostra morte, ma soprattutto una concezione diversa della nostra vita. Cioè in situazioni di tipo ancora comunitario, l'individuo è considerato una parte integrante del gruppo. Cioè il gruppo è considerato un macro-organismo, costituito da tutti i singoli individui, e ogni singolo individuo è fondamentale per l'esistenza del gruppo. Quindi siamo al di là della, anche, della solidarietà o dell'umanitarismo, della nostra cultura, perché organicamente è così, è, diciamo, una cosa quasi fisica. Cioè ciascuno di noi è collegato all'altro, ciascuno di noi fa parte di un insieme di cui ogni parte è indispensabile. Quindi c'è, diciamo, un diverso atteggiamento soprattutto rispetto alla vita, dove gli individui non sono considerati delle persone che possono esserci o non esserci, ma sono considerati degli elementi fondamentali per l'esistenza del gruppo e che il gruppo deve difendere e proteggere.Dal momento che abbiamo parlato di malattie, come mali sociali e quindi anche interne al gruppo, volevo chiederLe come vengono accolti i medici occidentali, che si propongono a loro per curare le loro malattie e se queste persone, queste persone, che appunto vivono in questi gruppi e quindi intendono la malattia come un male all'interno del gruppo, come accolgono la medicina occidentale e se sono disposti ad accogliere la medicina occidentale.Sa, in rapporti tra i gruppi umani, ogni gruppo sta a vedere che cosa l'altro ha d' interessante, che cosa l'altro gli può portare, a cosa l'altro può servire. Quando i nostri medici, noi, io per esempio o i miei colleghi, andiamo a lavorare in queste situazioni, in culture non occidentali, la prima cosa che la gente guarda è che cosa noi abbiamo di interessante, di utile da portare. E prendono ciò che è utile, ciò che noi portiamo, che effettivamente serve loro. Rifiutano quello che a loro non serve e che anzi va a, diciamo, contrastare quella che è la loro visione del mondo, se questo contrasto non porta qualche cosa di immediatamente utile. Per esempio, nella relazione con le culture islamiche, passa dalla nostra medicina - penso al Nord-Africa, per esempio, ma non solo -, passa dalla nostra medicina tutta la parte - gli antibiotici, la chirurgia -, tutte le parti che sono, le cose tecniche, che si vedono immediatamente efficaci, ma non passa nulla della psichiatria, cioè della nostra concezione dello spirito, di che cosa è fatto..., di come è fatta una persona, di quali sono le sue relazioni col mondo, perché loro nelle culture islamiche, nel sistema islamico, hanno un loro sistema, contro il quale il sistema psichiatrico, che viene dall'Occidente, dalla scienza occidentale, dalla religione occidentale, eccetera, va a sbattere. e questo loro non serve. Quindi c'è un filtro, diciamo: vengono accettate, vengono lasciate passare le cose che servono e che non sono in contrasto con la visione del mondo. Per modificare delle visioni del mondo, occorrono dei tempi storici, occorre un lungo lavoro e occorrono dei tempi storici.C’è un proverbio asiatico che dice: "Dio dorme nella pietra, sogna nel fiore, si desta nell'animale e sa di essere desto nell'uomo". Perché c'è questa differenza fra: "si desta nell'animale" e "sa di essere desto nell'uomo"? Perché, secondo questo, secondo questo tipo di concezione l'uomo è la creazione più perfetta di un Dio?No, io non credo che sia così, personalmente, poi ognuno ha le sue idee, in proposito, no? Cioè, io non credo che sia così. Io credo che l'uomo sia un animale, molto particolare biologicamente, molto particolare, che ha avuto una storia e un'evoluzione, uno sviluppo molto particolare, per cui ha un aspetto specifico, che è la consapevolezza, la coscienza e la consapevolezza, che è legata al linguaggio, il linguaggio è legato al pensiero, il pensiero è legato a un tipo di struttura fisica che noi abbiamo, cioè un cervello che può essere così perché siamo dei bipedi, perché se no, eccetera eccetera, eccetera, eccetera.Allora credo che lo specifico dell'uomo sia: ha questa cosa diversa dall'animale, che è la sua dannazione, poi, da un certo punto di vista, è il suo grande successo biologico, perché, voglio dire, abbiamo colonizzato il mondo, adesso, se non stiamo attenti ci casca sulla testa, però l'abbiamo colonizzato, siamo forti, in questo, però è anche la dannazione dell'uomo, perché è una complicazione in più. Prima stava parlando degli apporti che noi abbiamo dato alle medicine di altri paesi, come, ad esempio, quella africana, eccetera. Volevo sapere se concretamente le medicine dei loro paesi hanno dato degli aiuti alla nostra medicina, che noi, europei, almeno consideriamo come molto avanzata, se loro, con le loro tecniche, che magari sono, non dico più arretrate, però molto diverse dalle nostre, hanno potuto contribuire a un miglioramento della nostra medicina.Guardi, poco, un po' di tempo fa stavo parlando con dei nordafricani, e parlavo della nostra medicina come di medicina europea; Mi hanno sgridato moltissimo perché è una medicina arabo-europa, cioè l'impianto della nostra medicina scientifica viene da un centro culturale che non è europeo. E' mediterraneo. Poi a un certo punto noi abbiamo espulso tutta la parte, diciamo, non europea, però le matrici sono mediterranee. Nel Mediteranno si affaccia il Nord Africa, c'è tutta la parte del Medio Oriente. No? Poi, pensi, per esempio, le dico solo due esempi. Cioè molti farmaci che noi usiamo sono prodotti di sintesi, molecole, prodotti di sintesi, a partire da molecole naturali, scoperte in piante, usate dai guaritori africani o amerindi, nelle loro terapie. Cioè noi li abbiamo studiati questi rimedi e abbiamo visto cosa c'è che è attivo dentro e abbiamo ricostruito queste molecole e adesso vengono sfornate dall'industria sotto forma di compresse, nei blister Bristol che voi comprate in farmacia quando siete malati. Oppure pensi al tempo della conquista dell'America da parte degli Spagnoli, quando - siamo nel 1500 -, quando gli Spagnoli vanno in America, scrivono , mandano un messaggio alla corona spagnola, dicendo: "Non mandateci medici, non mandateci medici, ma dateci soldati, maniscalchi, mandateci..., ma non medici, perché qui ci sono degli indiani, dei guaritori, che sanno fare assolutamente tutto quello di cui noi abbiamo bisogno". Hanno preso tutte le piante che i guaritori sapevano usare, se le son fatte dare, le hanno importate in Europa, e da lì, da questo innesto, nel 1500-1600, nella medicina spagnola, che non era molto diversa da quella amerindiana - a quel tempo non c'era stata, diciamo la rivoluzione scientifica della medicina -, allora da questo innesto, la farmacopea, i rimedi disponibili nei paesi europei sono aumentati tantissimo, si sono arricchiti tantissimo. Quindi abbiamo un continuo innesto, solo che, fino poco fa, erano dei rimedi, cioè delle tecniche degli strumenti. Adesso sta entrando anche la visione del mondo e la visione dell'uomo e questa è molto più grossa come cosa.Secondo quello che ha detto Lei, i medici occidentali adesso non cercano di imporre la loro medicina, ma cercano di, insomma, creare un parallelismo fra la medicina appunto occidentale e quella che invece occidentale non è. Le volevo chiedere: voi personalmente come vi rapportate un po' con i medici, insomma non occidentali, e un po' con le persone che vedono invece voi, appunto occidentali, che entrano nel loro paese e insomma in un certo modo cercano di curarli con cure per loro magari anche incomprensibili.Guardi bisogna fare una pausa..., delle distinzioni nell'ambito medico, perché ci sono dei medici che non impongono e dei medici che impongono. Pensi a quella che è la pressione di tutta l'industria farmacologica e tecnologica che ha l'interesse a diffondere nel mondo farmaci, apparati medici. Quindi c'è. E invece c'è una parte dell'area medica che è più interessata a vedere come - anche perché ha fatto dei conti e si rende conto che forse economicamente non è immaginabile che ovunque ciò siano delle strutture tecnologicamente attrezzate ad altissimo costo - e invece sta cercando di lavorare per sviluppare le risorse spontanee, le risorse locali che ci sono nei paesi, no, che sono culturalmente più idonee e meno dispendiose e indebitano meno i paesi rispetto ai paesi occidentali, all'industria occidentale. Allora, quest'area, che potremmo chiamare - quest'area, diciamo, aperta della medicina, non legata a degli interessi economici - sta cercando di dialogare con altri sistemi medici, senza obiettivi speculativi, economici, ma cercando di capire e di migliorare i diversi saper fare. Quando andiamo a lavorare in situazioni di questo tipo, abbiamo due obiettivi: uno, quello di stabilire delle relazioni con i medici locali, con i guaritori. E questo è quello che richiede più tempo, perché in genere sono diffidenti, hanno paura, sanno che cosa i bianchi e gli occidentali hanno fatto ai loro paesi, cioè questo aspetto predatorio della nostra cultura rispetto a tutte le altre culture, lo sanno, quindi sono molto protette e molto sicure. L'altro aspetto è quello della cura, del curare le persone. E allora lì vengono dietro, vedono, studiano, cercano di capire quello che noi facciamo e poi ci chiedono di poter usare gli stessi strumenti - a volte molto potenti -, che noi abbiamo nella cura e che a loro mancano. Per esempio, un caso specifico, in Mali, i guaritori che si ocupano degli studi psichici, ci hanno chiesto di insegnare loro ad usare alcuni psicofarmaci, perché loro non ne hanno. Hanno delle erbe, ma che non hanno la potenza di alcuni psicofarmaci, che pure a loro servirebbe, servirebbero per trattare alcuni disturbi. Quindi c'è da un lato una posizione di diffidenza, giustificata, che va superata col tempo e nella relazione, e dall'altro lato c'è un tentativo di imparare, di prendere ciò che noi abbiamo e che loro non hanno.Quindi, se voi vedete che i guaritori insomma sono diffidenti nei vostri confronti non è che abbandonate, insomma, il progetto, ma restate lì a cercare di far capire ai guaritori che la vostra medicina può aiutarli?Sì, a cercare di far capire ai guaritori che loro sono dei guaritori, noi siamo dei guaritori e abbiamo tutto l'interesse a scambiarci ciò che sappiamo e a trovare insieme un miglioramento delle nostre pratiche. Questo è.In che modo questi guaritori africani curano i loro malati di mente: con la magia, con la religione, con che cosa?Ci sono molti diversi sistemi, cioè, poi, tra l'altro, i guaritori africani appartengono a tante diverse famiglie e scuole, e quindi ci sono sistemi molto diversi. C'è un registro di azioni molto vasto - azioni terapeutiche, intendo -: uno, si va dalla negoziazione con l'intero gruppo alla famiglia, il tentativo di capire che cosa è successo e perché la persona è in crisi, usando spesso anche delle tecniche divinatorie. Per esempio le conchiglie, che vengono gettate per interrogare il mondo invisibile sulla ragione della sofferenza della persona, poi si va a dei riti particolari, cioè ci sono dei riti che vengono fatti su dei feticci in luoghi particolari, dei sacrifici di animali, poi ci sono dei riti collettivi, per esempio delle, delle musiche, delle danze, che vengono fatte collettivamente. Ci può essere l'uso di libri sacri, come per esempio Il Corano, oppure ci può essere anche la somministrazione di piante, sia in infusione che in altre forme. Cioè, quindi c'è tutto un ventaglio di opzioni terapeutiche che il guaritore usa secondo la sua tradizione e del caso specifico.Come la cultura orientale dell'uomo, la visione dell'uomo orientale, ha cambiato, diciamo, la visione occidentale della psicologia dell'uomo e anche della figura dell'uomo stesso.Ci sono dei gruppi di lavoro, in particolare uno a Palo Alto, in California, che stanno cercando proprio di mettere insieme queste due cose. Sono delle voct... c'è una rivista internazionale che lavora su questo. Quindi è un lavoro in corso. Grosso modo potrei dirle che, per esempio, alcuni ricercatori occidentali stanno pensando all'uomo - lei sa che in Oriente la visione è prevalentemente di tipo energetico, cioè noi siamo delle condensazioni di energia, la nostra salute è legata al fatto che questa energia, di cui ci sono prevalentemente due tipi - in e yang -, deve stare in equilibrio, lo scompenso di questo equilibrio, per cui domina un aspetto energetico piuttosto che l'altro, produce la malattia. Questo, grosso modo, è la visione, diciamo. Per cui, per esempio la terapia orientale si rifà a questa visione dell'uomo. L'agopuntura va a cercare di rimodificare i canali energetici eccetera. Allora, per esempio, dialogando con questo aspetto energetico e questo bisogno dell'uomo come un caso dell'energia diffusa, gli psicologi occidentali si rifanno ai modelli della fisica, sia ai modelli olografici che ai modelli dei frattali. Cioè voi sapete che nei frattali, ogni singolo pezzettino riporta la figura dell'insieme. E nello stesso modo, nei modelli olografici, ogni punto dell'ologramma contiene tutte le informazioni dell'insieme. Quindi stanno cercando di tradurre in termini, diciamo, occidentali, nlla lingua della scienza occidentale, la visione orientale in cui ogni persona contiene in sé tutto il cosmo, diciamo concentrato nel suo specifico equilibrio energetico. Quindi ci sono dei tentativi, diciamo, di traduzione che sono l'inizio - perché questo lavoro è cominciato seriamente non molto tempo fa, qualche anno fa. Io volevo chiedere quale difficoltà aveva incontrato nel conciliare questi due metodi scientifici, cioè quello occidentale e quello africano, che sono così diversi, e come c'era riuscito, data anche la sua specializzazione, che magari, essendo quella di psichiatria, e vista la concezione così diversa nella cultura africana, che magari lega la psiche allo spirito, quindi anche alla religione, quindi volevo sapere se era stato maggiromente difficile per Lei rispetto a un medico specializzato in un altro campo.Quello che è importante secondo me è riuscire a veder le cose dal di fuori, tutto dal di fuori. Se noi vivessimo solo in una stanza, stessimo nella stanza tutto il giorno, sarebbe, avremmo una visione molto limitata del mondo e della nostra posizione. Potremmo pensare che questa stanza è il mondo, non avremmo nessun elemento per pensare che c'è qualcosa al di fuori. Qui ci sono due cose, due oggetti, di cui uno è una retta e l'altro è una vaschetta coi pesci rossi. Non servono le reti per pescare i pesci rossi, ma sono due oggetti per dire che il pesce, rifacendoci a una frase di un antropologo, Linton, il pesce vede attraverso l'acqua, ma non vede l'acqua. Cioè il pesce non sa che è nell'acqua, il pesce usa l'acqua come ..., per viverci naturalmente, e attraverso l'acqua vede gli oggetti. Allora noi, attraverso la nostra cultura, la nostra formazione vediamo il mondo, ma non vediamo la nostra cultura e la nostra formazione, la sua limitatezza, la sua specificità, anche la sua bellezza, finché non andiamo fuori. Allora la difficoltà che io ho vissuto, per esempio, nell'incontro con le culture africane, che tra l'altro è stata la difficoltà ad accettare l'idea che gli uomini sono dei nodi dentro delle reti, cioè che gli uomini non sono ... Cioè io, la mia formazione mi faceva pensare che noi siamo degli individui, ciascuno come delle palline, buttate in giro, per cui ognuna è indipendente, va per conto suo. Gli Africani, i miei amici africani, guaritori del Mali, in particolare, Dogol, mi hanno insegnato, mi han fatto vedere, mi ha fatto sperimentare che gli individui sono dei nodi di rete. Allora la difficoltà che io ho provato immagino sia quella che qualunque persona vive in queste... L'importante è riuscire a sperimentare un posto altrove, fuori, da cui vedere chi noi siamo. Cioè è questa distanza, questa presa di prospettiva, che è possibile solo nel momento in cui in qualche modo ci si affida davvero all'altro, perché allora si va nel terreno dell'altro e dal terreno dell'altro si vede chi noi siamo. Questa distanza permette le cose di cui lei parlava, cioè questa dottrina ..E usano altre culture?E' molto difficile per me pensare al futuro in questo senso, anche perché io non sono uno specialista delle culture, dei processi sociali, eccetera, della storia. Credo che ci siano persone che studiano queste cose qui. La mia impressione è che si vada da un lato verso una cultura del mondo, globale, dove tutte le cose che servono, in particolare la tecnica, si mettono insieme. Quindi da un lato c'è un movimento, diciamo, di globalizzazione, che mette insieme le cose che servono, dall'altro lato c'è un movimento di riaffermazione delle proprie radici, quindi delle proprie specificità culturali, ambientali, eccetera, quindi c'è, anche qui, un doppio movimento dialettico. Io credo che il futuro sarà il risultato di questo doppio movimento, quale il risultato però non sono proprio in grado di pensarlo. So che sia lavorare per una cosa - per esempio per rendere disponibili tutte le cose utili a tutti, nel mondo -, sia lavorare per l'altra - cioè trovare, risentire le nostre matrici culturali, i nostri collegamenti con il territorio e la nostra storia -, tutte e due le cose mi sembrano molto importanti e urgenti.Le volevo fare una domanda più specifica a proposito dell'AIDS, in quanto in Occidente è vista come una causa- effetto, se è un male sociale, quindi di una società che va pian piano in un degrado più profondo, se è come un male fisico, in quanto è una malattia che si manifesta in modo fisico. Ecco, io volevo sapere come questa malattia viene vista e in un certo senso affrontata in paesi, tipo come l'Africa, che è un male molto diffuso.Io conosco la parte del Mali, che è una parte dell'Africa, un pezzetto dell'Africa. Lì l'AIDS è arrivato negli ultimi anni. La gente non lo conosce, nelle campagne. - nelle città c'è da più tempo -, ma nelle campagne è arrivato negli ultimi anni. I guaritori non lo conoscono. E infatti ci sono delle attività della difformazione dei guaritori sull'AIDS, cioè bisogna spiegare loro quello che noi sappiamo. Anche perché ci sono delle pratiche tradizionali, per esempio di scarificazione, che loro usano nelle varie malattie, per cui fanno dei taglietti sulla pelle, bisogna che sappiano che, quando fanno questo taglietto, devono disinfettare prima di farlo a un'altra persona. Quindi c'è, è in corso . Ecco, questo è un esempio, secondo me, di reale diciamo collaborazione, ibridazione di saperi, perché noi abbiamo un'idea approssimativa, perché c'è grande discussione. E' una malattia virale, sicuramente, ma è anche una malattia che si impianta su una caduta delle difese dell'organismo, su una fragilità dell'organismo, quindi, diciamo, su una ridotta capacità vitale dell'organismo. Quindi è da un lato una malattia specifica virale, ma dall'altro lato è anche una malattia sociale, come dice lei. Quindi noi portiamo quello che noi sappiamo e cerchiamo di dare a loro gli elementi perché loro possano migliorare le loro pratiche. In Dogon, in Mali, abbiamo anche dovuto con loro costruire un nome per questa cosa, che non è mai esistita lì, e il nome che abbiamo trovato è la Madre di tutte le malattie, cioè la malattia che facilita - perché lei sa che nell'AIDS poi ci sono quelle che vengono chiamate le infezioni opportuniste, che loro vedono, no, cioè la diarrea, le forme dermatologiche, eccetera -, allora è una situazione che genera tanti diversi tipi di malattie. E su questo l'Organizzazione Mondiale della Sanità sta lavorando con i guaritori in tutta l'Africa per cercare di dare le informazioni necessarie.Nel processo di mondializzazione, che stiamo vivendo in questi anni, come è possibile che le medicine, che non sono europee, non vengano completamente schiacciate o vissute solo come folklore da parte del mondo occidentale, cioè qual' è la via da seguire affinché queste vengano parallelizzate al mondo nostro.E' un bel problema questo, perché comunque e qualunque cosa noi facciamo il dispositivo, diciamo, mercantile, che origina dall'Occidente, e la produzione di immagini, che origina dall'Occidente, tende a schiacciare le diversità. Però ... Quindi è vero c'è questo rischio e c'è questo movimento, diciamo spontaneo e automatico. L'unica via però d'uscita, che è un po' quella di cui abbiamo discusso, oggi, che è un po' diciamo il senso della nostra conversazione di oggi, è il fatto che ci sono persone, come per esempio me, come le persone che lavorano al campo dell'etnopsichiatria, amici, colleghi, antropologi, etnologi, cioè c'è una fetta della scienza e degli operatori occidentali, che si sta muovendo per recuperare queste conoscenze, per sostenerle, per dare loro, nei luoghi in cui sono nate, spazio e dignità, di conoscenza e di sapienza. Quindi è solo nella misura in cui noi riusciamo a criticare questa tendenza espansiva e distruttiva dell'Occidente da un lato e dall'altro lato riusciamo a sopportare, a sostenere, a dare forza agli altri saper fare, che c'è la possibilità che questi saper fuori possano continuarsi ..., continuare a svilupparsi. Cosa per noi fondamentale, perché o abbiamo degli altri oppure siamo finiti, o siamo in grado di dialogare con dei sistemi altri, realmente diversi, e lasciarli entrare, oppure ci sterilizziamo. Qualunque sistema biologico e culturale è fatto così: se non c'è il dialogo con l'altro, finisce col seccare.Questo è stato un po' il senso della conversazione di oggi: questa tensione di apertura verso l'altro. Questo credo che sia una cosa che va tenuta in evidenza.<br />
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GRAZIE DI ESISTERE PIERO........................MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-5025572269587347362009-04-08T16:10:00.000-07:002009-10-19T07:50:52.546-07:00ARCHITETTURA AFRICANA - Fabrizio Carola<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: left;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: left;">‘Volevo una vita verae l’ho avuta.Ho avuto molto e orasento il bisogno di restituire’.............................<br />
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</div><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnuJWTLA38oLgw8OQxK5ca3cHror4IL-SKut8N5RzqLf2hEy1hWz2P-kY-x6CW0rzbMQ3yxzRjh7ALMUCG8xETXrDX71cwo5ljxiCPpT6POiNk8ySB0Dmkq9wYrKHW-zb1YwHBh8ZTtN5q/s1600-h/carola.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnuJWTLA38oLgw8OQxK5ca3cHror4IL-SKut8N5RzqLf2hEy1hWz2P-kY-x6CW0rzbMQ3yxzRjh7ALMUCG8xETXrDX71cwo5ljxiCPpT6POiNk8ySB0Dmkq9wYrKHW-zb1YwHBh8ZTtN5q/s200/carola.jpg" vr="true" /></a>Intervista ad un Architetto Italiano che si è innamorato delle forme d'africa e si è distinto per la ricerca sugli elementi naturali nel continente neroFabrizio Caròla, da circa trent’anni col suo ostinato lavoro di architetto-costruttore è impegnato a sostenere l’efficacia di un modello costruttivo fondato sul recupero di elementi della tradizione mediterranea: archi, volte, cupole; lo fa a partire dalle origini, dando corpo e significato ad un’idea di architettura come spazio primario, un’ostinazione che lo ha portato a trascorrere gran parte della sua vita in Africa.Architetto napoletano formatosi alla Scuola Nazionale Superiore d’Architettura di Bruxelles, quella fondata da Van de Velde. «A 18 anni sono andato via da casa, sono andato in Belgio dove, nel 1956, ho preso la laurea alla Scuola superiore di Architettura “La Cambre”. Nel 1972 sono andato in Africa, (…) ho trovato un architetto che mi ha offerto di lavorare con lui ad Agadir, in Marocco, per la costruzione dell’ospedale».Il percorso formativo all’interno di una scuola che aveva un’impostazione analoga a quella della Bauhaus, Van de Velde era stato membro della Bauhaus, lo porta a prediligere un approccio ‘concreto’ all’architettura. Materia, struttura e forma sono i presupposti del suo agire, che e sempre ancorato al ‘fare’, alla ‘concretezza del costruire’.La sua ‘natura nomadica’ e la vocazione alla ricerca sperimentale lo spingono verso nuovi ‘orizzonti’, nuovi scenari: inizia un ‘percorso’ di ricerca che dall’Italia, a partire dal 1972, si sviluppa prevalentemente in Africa, in particolare nel Malì, dove ancora oggi, a distanza di 35 anni, è impegnato professionalmente. In Africa avviene l’incontro con le tecniche ed i materiali della tradizione, in particolare con le cupole di derivazione nubiana realizzate con l’ausilio del ‘compasso ligneo’. In Africa, per conto di organizzazioni non governative, Caròla conduce una serie di ricerche sull’abitare, sull’edilizia scolastica, sulle tecniche costruttive tradizionali. La sua attenzione è rivolta prevalentemente alle relazioni tra materia e luogo. Indaga il ‘luogo’ nella sua ‘fisicità materica’. L’architettura spontanea, l’architettura senza architetti costituisce uno dei suoi riferimenti privilegiati: agendo sui significati che entrano nella ‘costruzione delle forme’ Caròla mette a fuoco un repertorio di soluzioni, di segni, che ricorrono all’interno del continuo divenire della tradizione.Con l’ADAUA, agenzia di cooperazione internazionale svizzera, nell’81, in Mauritania, impara ad utilizzare il compasso ligneo, di cui intravede l’efficacia e le possibilità. La terra, sia cruda sia sotto forma di mattone cotto, è il materiale privilegiato. Un materiale che lavora bene a compressione, facilmente reperibile e producibile in sito. Volte, archi e cupole rispondono efficacemente ai criteri di economicità e rapidità di esecuzione.Tra le sue opere, il Kaedi Regionale Hospital, in Mauritania, rappresenta sicuramente l’espressione più alta di un pensiero e di un agire ‘sostenibile’. L’ospedale, una struttura in bilico tra ‘zoomorfismo’ e ‘fitomorfismo’, nella sua articolazione planimetrica propone un’organizzazione degli spazi aderente alle necessità e ai costumi delle popolazioni locali.<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFNzG4d2M3el6a9KW2XSguC7-2EE-fhiQisc_32TH5-9AmJVtgJZmx8ghU0dD_1Cuyxaa9_-Ia02pmeY6-jZFAzfnmexIUHHhJZ-iyKrWrhq2uczGbFkyyz9077jOT-rt4kMHRylDVsWZR/s1600-h/OspedaleKaedi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFNzG4d2M3el6a9KW2XSguC7-2EE-fhiQisc_32TH5-9AmJVtgJZmx8ghU0dD_1Cuyxaa9_-Ia02pmeY6-jZFAzfnmexIUHHhJZ-iyKrWrhq2uczGbFkyyz9077jOT-rt4kMHRylDVsWZR/s400/OspedaleKaedi.jpg" vr="true" /></a><br />
</div>Data l’abbondanza in sito di argilla di ottima qualità, Caròla opta una struttura monomaterica. I mattoni utilizzati sono stati prodotti in sito: due forni alimentati con pula di riso, abbondante in loco, hanno reso possibile la produzione di decine di migliaia di mattoni. Quest’intuizione gli consente di realizzare una struttura molto complessa con un sistema a bassissimo impatto, con una positiva ricaduta anche sulla economia locale: il 75% delle risorse utilizzate sono state investite in sito.Le cupole dell’ospedale sono a doppia calotta: l’intercapedine tra i gusci garantisce un’efficace isolamento termico. Alla base delle cupole, bocchette di ventilazione, realizzate anch’esse in terracotta, consentono il passaggio dell’aria nell’intercapedine. Le cupole, ottenute come solidi di rotazione, sono realizzate con l’ausilio del tradizionale ‘compasso ligneo’, che indica al muratore la posizione nello spazio e l’inclinazione esatta di ciascun concio: un meccanismo costruttivo che le rende autoportanti durante le fasi di costruzione.La straordinaria esperienza sostenuta da Carola, oltre che nella messa a sistema, nella sistematizzazione e divulgazione di un sapere tecnico che si era perduto, sta nell’aver rivolto lo sguardo verso un orizzonte apparentemente ‘marginale’. Negli anni in cui la cultura architettonica ‘ufficiale’, sostenenva l’idea di uno stile internazionale, FABRIZIO CAROLA compiva un’operazione apparentemente di retroguardia. Rivolgendo il suo sguardo acuto verso quella ‘periferia’ del mondo che è l’Africa, Caròla mette a fuoco una diversa interpretazione delle relazioni tra architettura e luogo: il luogo si manifesta attraverso la materia, che è intimamente connessa alla forma: Caròla ha «guardato attentamente il luogo e osservato meticolosamente la cultura dell’abitare prima di costruire. Si badi: il luogo nella sua fisica evidenza, e non il suo ‘geniusì ineffabile»1Nell’opera di Caròla, la terra è la materia prima attraverso cui ‘mani pensanti’ plasmano architetture. Materia, luogo, ambiente, forma, sono espressione di una realtà e di un principio che governa il suo agire. La materia si fa elemento strategico del comporre: il processo che regola l’uso del materiale determina necessità e specificità, anche figurative. Il ‘compasso ligneo’ nelle sapienti mani di Fabrizio Carola si fa generatore di possibilità. Negli anni Caròla ne ha modificato le caratteristiche, ne ha variato l’assetto e la geometria con piccole innovazioni, che gli hanno consentito di ottenere una più ampia gamma di geometrie. Variando la geometria e l’asse di rotazione dello strumento, le cupole sferiche divengono a sesto acuto, una soluzione che rende possibile una maggiore efficacia nell’uso dello spazio interno, unitamente ad una migliore ventilazione.Volevo una vita vera e l’ ho avuta. Ho avuto molto e ora sento il bisogno di restituire’». E’ questa, a mio giudizio, la frase rivelatrice della natura di Fabrizio Caròla, una natura che lo ha portato a scegliere un percorso di vita e professionale meno agevole di quello che avrebbe potuto avere con poca fatica restando in Italia. Invece, ha scelto una strada più faticosa. La stessa che con ostinata convinzione lo ha condotto a fondare l’Associazione N:EA (Napoli, Europa Africa) nella convinzione che solo attraverso il dialogo e il confronto si possa immaginare e realizzare ‘un futuro possibile’. Quel futuro che sta cercando di ‘costruire’ a San Potito Sannita, un piccolo paese in provincia di Benevento. «Il vescovo di Alife, Pietro Farina ci ha fatto avere un comodato d’ uso per 30 anni di un ettaro e mezzo di proprietà della parrocchia e lì con gli studenti di architettura stiamo costruendo un villaggio. L’ obiettivo è la formazione. Si chiamerà “Sette piazze”. I ragazzi imparano a costruire con un grande compasso in legno, archi, volte e cupole. Sono strutture completamente diverse e molto più facili da vivere».San Potito Sannita è un piccolo paese, anch’esso apparentemente fuori dal ‘centro’, dove architetti, studenti di architettura ed insegnanti si ritrovano ogni anno per dar vita ad un ‘laboratorio’, dove l’architettura viene praticata come ‘mestiere’. Fare è imparare a fare. Questa regola governa la comunità che si raccoglie intorno a Fabrizio Caròla, un ‘antico’ maestro che insegna ai giovani architetti del futuro a costruire cupole, metafora di un agire più vasto. Antiche e alchemiche formule rivivono nel lavoro di nuove generazioni di architetti. La sua sapienza, la sua approfondita conoscenza di tecniche costruttive, che si sono ‘affinate e precisate nel corso di tren’tanni di sperimentazioni sul campo, la sua esperienza Caròla la trasmette alle nuove generazioni. Ci consegna un bagaglio di conoscenze tecniche, di sapienza che tocca a noi rinvigorire, approfondite trasmettere.Ho incontrato Fabrizio Carola a San Potito. Durante la visita al cantiere. Durante la lunga chiacchierata che n’è seguita mi ha colpito la sua posizione, il suo modo di relazionarsi con l’architettura, con il mondo: «molte cose me le porto dentro come ragionamenti non esplicitati in parole ma in sostanza costruita (…) sono più il frutto di una intuizione, di una conoscenza istintiva che di un ragionamento scientifico».Una traccia che forse stavo cercando anch’io. Un agire, un modo di ‘fare’ in cui l’azione sembra essere governata più dalle ‘mani’ che da astrusi ‘ragionamenti’.Anche per questo motivo penso che il lavoro di Caròla costituisca un esempio di ricerca condotta ‘fuori’ dagli schemi.Per approfondire questo ragionamento sono state poste Fabrizio Carola alcune domande.D: Quando hai deciso che saresti diventato un architetto?Fabrizio Caròla: A tredici anni, non so perché ma non ho mai cambiato idea.D: L’architettura era qualcosa che avvertivi esser parte della tua vita sin da ragazzo, è stato un lento avvicinamento o una rivelazione improvvisa?FC: Ho alle mie spalle tre generazioni di ingegneri-imprenditori da parte di mio padre e tre generazioni di architetti da parte di mia madre. Può essere una spiegazione?D: Hai studiato alla Scuola Nazionale Superiore di Architettura di Bruxelles fondata da Van de Velde, uno dei fondatori della Bauhaus. In che modo l’impronta e il modello didattico che caratterizzava quella scuola ha inciso sui tuoi percorsi, sul tuo modo di ‘fare’ architettura, di praticarla come ‘arte-fatto’.FC: A Bruxelles ho avuto degli ottimi professori: De Konink per i primi due anni e Victor Bourgeois per i tre anni seguenti: mi hanno messo sulla buona strada. Ma non è solo merito loro: tutto il sistema, impostato da Van de Velde, era estremamente efficace.Prima di Bruxelles avevo frequentato per un anno e mezzo la Facoltà di Napoli; lì ci facevano copiare dei progetti di architetti famosi; a Bruxelles invece fin dal primo anno eravamo messi di fronte alla progettazione e producevamo un progetto per ogni trimestre. Il professore criticava e correggeva il mio progetto rispettando però la mia idea e l’ impostazione che io avevo scelto. Eravamo liberi di esprimerci e di avere delle idee a condizione che le idee nascessero dalla logica della funzionalità.D: Durante gli anni trascorsi a Bruxelles, quando eri un giovane studente, quali sono stati gli architetti ai quali guardavi con più interesse e quali le discipline che più ti affascinavano.FC: Wright, perché mi sembrava il più umano e Gaudì, di cui mi affascinava la straordinaria capacità di costruire messa al servizio di libertà e fantasia.D: Come è avvenuto il tuo incontro con l’architettura della tradizione africana ed in particolare con l’uso del ‘compasso ligneo’ e delle tecniche costruttive di derivazione nubiana.FC: Le cose sono accadute in momenti diversi:1) tra il ‘61 e il ‘63 sono stato impegnato in Marocco con un incarico di urbanista: sistemare le agglomerazioni rurali.2) L’incontro con l’Africa nera, sub-sahariana, è avvenuto in Mali, nel 1971: vi ero andato non con un incarico di architetto ma di direttore dei lavori per la costruzione del nuovo molo e di alcuni edifici del porto fluviale di Mopti. Lì ho scoperto e studiato l’architettura sub-sahariana, frutto di un adattamento millenario alle condizioni locali, e ho cercato di oppormi al disastro culturale provocato dall’immissione cieca di modelli di architettura nord-occidentale.3) Nell’81, in Mauritania, lavorando per l’ADAUA , sono venuto a conoscenza del sistema “compasso” per la realizzazione delle cupole. L’ho subito adottato, modificandolo e adattandolo alle esigenze del mio progetto.D: Hassan Fathy è stato un precursore, ha reso fruibile e sistematizzato tutta una conoscenza ed un sapere su queste tecniche che era prevalentemente fondato sulla trasmissione orale. Tra il tuo lavoro e quello di Fathy esistono delle evidenti assonanze. In che misura il suo lavoro ha rappresentato per te un riferimento.FC: Non è l’architettura di Hassan Fathy (che apprezzo molto) che mi ha influenzato ma l’uso del suo compasso. Fin dall’università ero attirato dalle coperture a cupola, ma non sapevo realizzarle se non con strutture metalliche. Il compasso mi ha aperto la strada, che però era limitata a cupole sferiche. Modificandolo, ottenendo cupole ogive, ho ampliato le possibilità di forme e di spazi fondendo in una sola curva muro e tetto (con evidente risparmio di costi).D: In Africa hai costruito molto anche in terra cruda. Una materiale ‘vivo’. Qual’è stato il tuo approccio nell’uso di questo materiale ‘speciale’FC: Mi piace costruire in terra cruda, è un materiale molto duttile perché il mattone e la malta sono fatti della stessa terra, per cui si saldano e si fondono generando un monolite che può essere anche scolpito. Non sono però un fanatico della terra cruda: la uso quando giudico utile usarla. La terra cruda richiede manutenzione o protezione, perché esposta alla pioggia fonde come neve al sole. Nelle regioni aride dell’Africa questo difetto ha minore importanza.D: Come è nato il progetto del Kaèdi Regional Hospital in Mauritania.FC: E’ una lunga storia: nel ‘78 fui incaricato dal FED (Fondo Europeo di Sviluppo) come consulente presso uno studio tecnico di Parigi per la progettazione dell’ospedale di Kaédi.Producemmo un progetto che fu accettato dal FED (finanziatore). Passò un po’ di tempo e seppi che l’incarico era stato trasferito all’ADAUA, associazione svizzera.L’ADAUA, che avevo conosciuto in occasione di una visita a Kaédi, mi propose di dirigere la costruzione dell’ospedale. Alla fine del 1980 mi trasferisco in Mauritania. Visito Kaédi e il piccolo ospedale che bisognava ampliare e mi rendo conto che il progetto elaborato a Parigi era inadeguato. Lo rielaboro completamente e lo presento all’ amministrazione mauritana e al FED di Nouakchot. Il nuovo progetto viene approvato ed inizio i lavori.Kaèdi è una piccola città della Mauritania. L’Ospedale è stato progettato come estensione del piccolo ospedale esistente realizzato dai francesi ancora ai tempi coloniali. Durante la mia indagine preliminare, visitando le vecchia struttura, fui colpito dalla confusione creata dalla presenza permanente delle famiglie dei pazienti che intralciavano i movimenti dei medici e degli infermieri. Interrogati, i medici mi risposero che l’assistenza dei familiari era indispensabile, avendo constatato che questa presenza continua dei parenti contribuiva alla loro guarigione. Fui molto toccato da questa informazione e posi questo dato, che ho chiamato famiglio-terapia, alla base del nuovo progetto. Dopo molte riflessioni e tentativi pensai di fare “esplodere la pianta” e, invece di un ospedale compatto, realizzare un edificio aperto che permettesse alle famiglie di accamparsi in prossimità delle camere di degenza.Relativamente alla scelta del materiale e della tecnica costruttiva adottata, fui condizionato dal fatto che a Kaédi come in tutto il Sahel il materiale più abbondante e più economico è la terra. Il legno è raro e usarlo significava contribuire alla desertificazione in corso. Il cemento armato è costoso, perché viene importato, e poi non ha prestazioni adeguate a quelle condizioni climatiche. Scelsi dunque come materiale di base la terra, confezionata in mattoni alla maniera tradizionale. Nella tradizione però il mattone viene utilizzato semplicemente essiccato al sole perciò è molto vulnerabile alla pioggia e richiede una manutenzione costante. Ridurre il più possibile le manutenzione garantendo nel contempo prestazioni efficienti nel lungo tempo mi indussero alla decisione di utilizzare mattoni cotti, al fine di renderli resistenti all’acqua. Restava però il problema della produzione in sito dei mattoni e della loro cottura. Una risaia di 600 ettari, più uno stabilimento cinese per la pulitura del riso, producevano a Kaédi, in grande quantità, riso, crusca e pula. Quest’ultima, non commestibile, si ammucchiava inutilizzata a disposizione del vento. Dopo un certo numero di tentativi, riuscii a creare un forno semplice ed economico in terra cruda, realizzabile con la mano d’opera locale, che permetteva di bruciare efficacemente la pula di riso ottenendo una temperatura fino a 1200 gradi. Per la tecnica costruttiva, avendo scartato legno e cemento a vantaggio del mattone non restava che l’utilizzo delle strutture curve: archi e volte.D: Il metodo, come una impalcature, sostiene il nostro agire. Giulio Carlo Argan ha proposto questa definizione di progetto. “Progettare è come attraversare un bosco per uscire dal quale quel che conta è dare coerenza ai movimenti”. Il bosco e la coerenza dei movimenti. Una metafora molto interessante: esplorare mondi sconosciuti e contemporaneamente ancorare il nostro agire ad un metodo.Quando cominci a lavorare ad un progetto, quali sono i dati su cui ‘costruisci’ la proposta.FC: Tutti i dati del luogo: il clima, le condizioni sociali dei futuri utenti, i materiali e mezzi disponibili, la qualità della mano d’opera, il budget disponibile, il tempo di consegna.D: Le tue architettura sono intimamente connesse al luogo. Sembrano essere una emanazione, una estensione di quel luogo. La ri-velazione del luogo sembra essere lo scopo del progetto.FC: Questo deriva dal rispetto o meno dei dati enunciati nella risposta precedente al quale si aggiunge la sensibilità che è propria di ciascun architetto e che deriva dal suo curriculum umano e culturale.D: Il tuo interesse per l’Africa, per un’architettura che vive in sintonia con la natura credo abbia delle motivazioni che vanno al di là del contesto con cui ti sei confrontato. Penso si tratti di una motivazione più ‘profonda’. Un ‘sentire’ che ha una connessione più ‘intima’ con l’ambiente, non solo con l’ambiente naturale.Mi ha molto colpito in questo senso l’associazione che hai fatto tra architettura e uomo, tra spazio e qualità dello spazio in relazione ad una distinzione tra strutture in-tensione e strutture ‘a riposo’ come le cupole.FC: L’Africa mi ha sempre attirato e non so perché ma nello specifico mi ha dato l’opportunità di esprimermi liberamente: nel bene e nel male, ma libero.L’Africa non è ancora oberata da norme, articoli, commi, divieti, che opprimono la nostra vita e la nostra naturale creatività. Sappiamo benissimo che tutte queste normative servono a proteggere la collettività dagli abusi sul territorio, ma chi giudica?D: Luce e materia sono gli elementi di un sistema di relazioni molteplice, fatto di mille sfumature, che spinge la nostra ’immaginazione’ ad andare ‘oltre’.Nelle tue architettura sovente ad una componente massiva, fa da contrappunto, una progressiva ‘smaterializzazione’ della massa muraria in elevazione, come accade nell’ Herb Market di Medina, dove la luce e le sue relazioni con la materia, la sua porosità, manifestano una sorprendete leggerezza.FC: Sento l’obbligo di precisare che io non ho un pensiero dell’architettura ma un procedimento logico nel progettare. Ogni elemento del progetto ha per me una sua precisa funzione. Non vi è nulla di inutile o di preconcetto. Se il risultato ha in più un valore estetico vuol dire forse che le scelte sono giuste e forse che non sono tutte dettate dal freddo raziocinio ma anche da una partecipazione del sub-cosciente, che è più o meno carico di valori umani e culturali e che subdolamente influenza il progetto.D: Le connessioni tra materiali, tecnologia e progetto sono molto evidenti nella tua ricerca progettuale, che sembra svilupparsi tutta all’interno della ‘dimensione costruttiva dell’architettura’.FC: Sono sempre stato rispettoso del rapporto fra materiale, tecnologia, funzione e forma perché dal corretto rapporto di questi quattro elementi dipende l’economia del progetto ed anche la sua riuscita.Nella maggior parte dei casi, nel nostro mondo occidentale questo rapporto conduce a una soluzione a superfici piane a ‘reprimere’ il desiderio di superfici curve, giudicate troppo complesse e onerose da realizzare.In Africa, invece, ho trovato condizioni del tutto diverse che ribaltavano la situazione, per cui l’uso delle forme curve, si rivelava una soluzione logica.Nei paesi del Sahel (la zona dell’africa compresa fra il deserto e la foresta) la mano d’opera è abbondante, sotto-occupata e a basso costo; per contro i materiali moderni, come il cemento e il ferro, sono importati e perciò costano molto e implicano la fuoriuscita di moneta pregiata, mentre l’uso del legno contribuisce alla desertificazione. La terra, materiale abbondante e a costo quasi nullo, sotto forma di mattoni cotti o crudi, è il materiale più economico e diffuso.Per utilizzare il mattone o la pietra anche in copertura, in sostituzione del legno, ferro o cemento, bisogna ricorrere necessariamente alle strutture compresse e cioè: volte, archi e cupole.Applicando e sperimentando l’uso di queste strutture ho potuto rilevarne vari vantaggi: sono economiche, di facile e rapida esecuzione anche per una manodopera non qualificata e si comportano meglio del cemento armato in difficili condizioni climatiche.D: L’architettura, almeno in certe condizioni sembra essere governata dall’economia, a volte n’è la diretta emanazione. In che misura ti sei dovuto confrontare con questo dato del progetto e come ha inciso sulle tue scelte.FC: L’economicità deriva soprattutto dal poter risolvere con un materiale economico il problema. Nel caso delle strutture a cupola, l’operaio in una sola operazione realizza l’intera costruzione dalle fondazioni alla chiusura.E’ un’operazione semplice, più di quanto lasci supporre la forma ardita di una cupola. Con l’aiuto del ‘compasso’ il muratore procede sicuro, senza rischio alcuno di poter sbagliare. Questa operazione non richiede nessuna particolare competenza: non bisogna fare altro che posizionare il mattone secondo l’inclinazione indicata dal compasso. Questo sistema è talmente semplice che ho potuto realizzare decine di cupole, di varie forme e dimensioni, con operai non qualificati, improvvisati muratori dopo poche ore di apprendimento.Come vedi la mia scelta risponde a criteri di efficienza e di economicità.D: L’articolazione planimetrica delle tue architetture sovente sembra privilegiare una struttura ‘a grappolo’.FC: Quando utilizzi un principio costruttivo fondato sull’uso della cupola, il sistema di pianta può essere sia ortogonale (quadrati e rettangoli) sia polare (una combinazione di cerchi). La pianta polare si è rivelata, prima in teoria e poi nella pratica, più economica, per tempo e quantità di materiale, e più adeguata alle caratteristiche della manodopera disponibile in AfricaD: Un’ultima curiosità. In più di trent’anni di attività le superfici curve non ti hanno mai ‘abbandonato’, non lo hai mai avvertito come un limite.FC: La cupola è una forma di copertura che mi ha sempre attratto ed affascinato fin da quando, ancora ragazzo, ho pensato di diventare architetto.Quando mi chiedo il perché di questa attrazione, trovo più risposte, nessuna sufficiente ma forse tutte valide, perché tutte insieme danno una risposta, se non completa almeno sufficiente.Prima di tutto la cupola appartiene al mondo delle curve: pur senza disdegnarle, non ho amore per le superfici piane, squadrate, piegate ad angolo retto con spigoli vivi. Trovo che le superfici curve e raccordate siano più vicine alla forma della natura e perciò più adatte a racchiudere o accompagnare la vita dell’Uomo.In secondo luogo posso supporre che la mia appartenenza alla civiltà mediterranea, che di archi, cupole e volte ha fatto grande uso, abbia la sua parte nella predilezione che ho per queste forme.Infine, ti confesso, che le curve soddisfano maggiormente il mio tipo di sensibilità perché sono morbide e sensuali, ma questa è un’altra storia!<br />
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</div>MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-68619939870643791362009-04-08T16:08:00.000-07:002009-10-19T07:51:36.685-07:00Leggende Africa Nera: GENESI DOGON<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><br />
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</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVwYQ0tPAQohn6Q9XvOIwgEn6kw3xcLHB1o65Yjof9kqzGb2tjYoDuWxC4WSuOoA_NDDlz04WgEtDAP1-XBDxoej1FbwoDD2lKwkFGH79Ab5ZYWATJKSt2Zc94vttz8DjTDm0iV5ggiJTw/s1600-h/08+daga+(4).JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVwYQ0tPAQohn6Q9XvOIwgEn6kw3xcLHB1o65Yjof9kqzGb2tjYoDuWxC4WSuOoA_NDDlz04WgEtDAP1-XBDxoej1FbwoDD2lKwkFGH79Ab5ZYWATJKSt2Zc94vttz8DjTDm0iV5ggiJTw/s400/08+daga+(4).JPG" vr="true" /></a><br />
</div><div align="left" class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">La terra è rotonda e piatta. è circondata da una grande distesa d'acqua, "nendi", acqua di sale, a forma di corona. questo mare stesso è circondato da un immenso serpente, "yuguru na", che mantiene l'insieme mordendosi la coda. se lasciasse la presa affonderebbe il tutto. al centro della terra, a nord delle falesie, si leva un palo di ferro detto "Amma dyì (forca di Amma). sale fino ad un'altra terra che sostiene senza attraversare e che si trova al di sotto del cielo visibile; malgrado il suo nome, non termina con una forcella ma s'allarga sia in alto che in basso presentando una base più larga. la terra inferiore è comparabile a quella dove sono gli uomini. sette dischi sono sovrapposti così verso l'alto. d'altra parte la terra degli uomini è la prima di un'altra serie di sette dischi che si sovrappongono verso il basso. se la terra superiore è sormontata da un cielo, quella di sotto non ne domina alcuno; riposa su del ferro, e l'ha posto tutto in essa. per ciascun disco c'è un sole ed una luna. il sole è al di sotto dei confini della terra, di cui non rischiara che una parte, come un lampo. è immobile, mentre il disco terrestre gira in un giorno attorno al perno di ferro. così tutti i paesi sono, di volta in volta rischiarati. la pioggia è prodotta dal cielo; esso solleva l'acqua che lo domina e la trasforma in nuvole. la pioggia è dunque fatta dell'acqua che circonda la terra e che trabocca. la nostra terra fa parte dei sette mondi inferiori, ma essa sola è abitata da esseri umani. negli altri sei mondi di sotto, sono costruiti i villaggi di gente con la coda "inne dullogu anna" che sono più cattivi degli uomini della nostra terra; ma lo sono meno degli abitanti dei sei mondi superiori, dove si trovano i villaggi degli uomini con le corna "inne kekegu anna", che inviano le malattie agli umani e gettano sulla terra le pietre di tuono "anagulo" (materiale neolitivo). il mondo appartiene a 14 "amma" di cui sette risiedono sotto e sette sopra. il dio di ciascuna terra abita il cielo che lo domina. l'amma della terra di sotto è il più vecchio e più potente di tutti; quando creava un essere, avvisava gli altri tredici che lo imitavano subito. amma creò la terra, il cielo, l'acqua ed il genio "nommo". circondò le acque con un serpente. amma creò "aggoinne" (camaleonte), "kiru" (tartaruga) i geni "yéban" che furono posti sui massi presso l'acqua, i piccoli "andoumboulou", anch'essi posti sui massi nelle montagne, gli alberi, le altre piante, i geni "gyinou" che furono posti su grandi alberi, "geo" (lucertola), i rapaci, la tortora, il leone, la iena, la pantera, il gufo. tutti questi esseri erano immortali. poi amma creò tutte le cose, tutti gli uomini, le donne ed i bambili. pose gli uomini sotto il "gobu" che era stato il primo albero. amma creò prima una donna. essa ebbe un marito che le diede un figlio ed una figlia. questi dormivano sulla stessa stuoia e quando furono diventati grandi, il ragazzo volle unirsi alla sorella, che rifiutò.- perchè disputate? - domandò la madre- il ragazzo si vuole unire a me - rispose la figlia- giacchè è così - riprese la madre - vi toglierò dalla stuoia, il ragazzo vi dormirà e tu andrai più lontano - fatta sera la madre indicò ai ragazzi dove dormire. tra i due letti dispose delle foglie secche. ma durante la notte, senza far frusciare le foglie, il ragazzo si accostò a sua sorella e riposò presso di lei. al mattino tornò al suo posto e quando la madre interrogò la sorella, lei rispose- no! non è venuto - quanto al ragazzo, anche lui disse- no! non ci sono andato - nella seconda notte, il ragazzo lasciò ancora il suo letto ed andò in quello di sua sorella. ma dimenticò di rientrare al mattino e la madre li sorprese insieme.- la ragazza mi ha detto che era il ragazzo a cercare la lite ed ora eccovi insieme. allora potete restare così -la ragazza in seguito ebbe un bambino. in quell'epoca la donna comandava l'uomo e per questo che ancora oggi l'anima, dopo la morte, va dapprima nella famiglia materna. la prima donna si chiamava Adama; suo marito, venuto più tardi si chiamava Sana ed è perchè ella è stata creata prima di lui che egli gli era sottoposto. <br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7RYdAxOFSLlPb2t_Akni3aubspIygobVeWIKEHBZ1xmcA7_mFGiwu5FiXhw1TdMkhhdDzSoM38vLoRWovu5uAzDRCazPDQFD2_ZK8oOgzYG2DP54kl2tScJCbeJV0hVnmtk7uPt-ujj9k/s1600-h/12+villaggi+dogon+(2).JPG" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7RYdAxOFSLlPb2t_Akni3aubspIygobVeWIKEHBZ1xmcA7_mFGiwu5FiXhw1TdMkhhdDzSoM38vLoRWovu5uAzDRCazPDQFD2_ZK8oOgzYG2DP54kl2tScJCbeJV0hVnmtk7uPt-ujj9k/s320/12+villaggi+dogon+(2).JPG" vr="true" /></a><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">il loro figlio si chiamava Kanna e la loro figlia Yanda. tutto ciò che era stato creato, tutti gli esseri viventi ed alcune cose furono provvisti di una forza imperitura "nyama" solidale col suo supporto. certi uomini erano "komogu" (visionari); essi scoprivano l'invisibile e prevedevano l'avvenire. ma erano tutti immortali. divenivano estremamente vecchi sotto le loro spoglie umane, poi la loro anima, separandosi momentaneamente dal corpo, si recava nel mondo degli "yéban" e dei loro branchi di animali selvaggi. poco dopo questa separazione, il corpo che si era trasformato in "yuguru na" (grande serpente), raggiungeva l'anima. il contatto con gli uomini non fu interamente rotto da questo fatto. i serpenti avevano l'abitudine di recarsi, ogni notte, nelle abitazioni degli uomini, allora stabilite in caverne e ripari sotto le rocce, per prendervi nutrimento e bevande. divoravano dei polli nel cortile e bevevano l'acqua versata nelle "tono" (pietre cave) che erano molte e lasciate abbandonate. gli uomini, sapendo che questi rettili erano i loro antenati, li lasciavano fare e non facevano loro alcun male. queste relazioni dovevano limitarsi a ciò; non comportavano alcun contatto diretto ne alcuno scambio di parole. dopo un periodo molto lungo, dei piedi, delle braccia una testa, spuntavano dai serpenti, che allora si trasformavano in "yèban". gli "yeban" erano gli antenati degli uomini."traduzione della leggenda della creazione del mondo"<br />
</div><div align="left" class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqwCiRZkqJB6BMq4fhGRVd_slZ48MSI93EY89wK8jiUAfX9s900CsPuCwYnbOZBmirEwmPTPcso0cUx3hqVCNMUPVxcP5yD_adQew4sa49AJIu5VSuXRDCUhbaz_AifJk4GLhpjohEyl8c/s1600-h/12+villaggi+dogon+(17).JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqwCiRZkqJB6BMq4fhGRVd_slZ48MSI93EY89wK8jiUAfX9s900CsPuCwYnbOZBmirEwmPTPcso0cUx3hqVCNMUPVxcP5yD_adQew4sa49AJIu5VSuXRDCUhbaz_AifJk4GLhpjohEyl8c/s400/12+villaggi+dogon+(17).JPG" vr="true" /></a><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div>MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-25737046141237014782009-04-08T16:05:00.000-07:002009-10-19T07:52:24.615-07:00Leggende Africa Nera: Lite tra cielo e terra (Dogon)<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPM9ne_C4u7akQltBoPRZ_X6u0Ah3nU8rXx4lC7E8fegjWMRpeUCYdFsDixg2_PBsC6iyv9E3FCaWoV5-VMMhT8dIlulfz4qNncZUAtkmWpPZpeBU51kMCI0BzhmrTTLJpyeCrMokiKB6X/s1600-h/13+villaggi+dogon+(7).JPG" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPM9ne_C4u7akQltBoPRZ_X6u0Ah3nU8rXx4lC7E8fegjWMRpeUCYdFsDixg2_PBsC6iyv9E3FCaWoV5-VMMhT8dIlulfz4qNncZUAtkmWpPZpeBU51kMCI0BzhmrTTLJpyeCrMokiKB6X/s320/13+villaggi+dogon+(7).JPG" vr="true" /></a><br />
</div>Tutto andò così fino al giorno in cui si levò una disputa tra Cielo e terra.questa pretendeva di essere più vecchia del cielo. il dio "Amma" dell'ultima terra (vedi: genesi dogon) ne fu scontento e rovescò il palo che sosteneva il cielo; questo si abbattè sulla terra. gli animali, gli uomini ed i vegetali furono stritolati nello sconvolgimento del suolo. gli uomini divennero come la terra, persero corpi ed anime. fra di essi, soltanto i vecchi che avevano preso forma di serpenti, ed i "kumogi" (visionari) che nel cataclisma si erano tramutati in rettili furono risparmiati. i geni "yéban" non ne soffrirono. in seguito a questi avvenimenti, la terra riconobbe che il cielo era più forte. il dio "amma" del mondo inferiore, placato, rialzò il palo del mondo inferiore e fu imitato dagli altri dèi. ciascun cielo risalì al di sopra della terra corrispondente ma ad una distanza così piccola che gli uomini creati di nuovo da "amma" non potevano crescere.la luna era come uno specchio appena formato di materia ancora molle. la iena avendola trovata bella, volle toccarla col suo artiglio e lasciò nel centro un'impronta, perchè l'astro era ancora caldo. <br />
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<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgC3zc0R3YtTU_q-rXukBKCFnsYiXWPs_4TIWcrQ3gVnMsniiN9fBXd0Gw5t4wGjfb0MuG-P99fQ3xOhPNfvVztrdSWjw5wTKEVXDsRWZEpQ11y2wsXY4YLtjhtak4qyc_fkzoGFHJ8XbXF/s1600-h/06+songho+(21).JPG" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgC3zc0R3YtTU_q-rXukBKCFnsYiXWPs_4TIWcrQ3gVnMsniiN9fBXd0Gw5t4wGjfb0MuG-P99fQ3xOhPNfvVztrdSWjw5wTKEVXDsRWZEpQ11y2wsXY4YLtjhtak4qyc_fkzoGFHJ8XbXF/s320/06+songho+(21).JPG" vr="true" /></a><br />
</div>gli uomini cacciarono la bestia nella boscaglia. a quel tempo le donne prendevano le stelle per darle ai bambini. gli astri brillavano e spandevano raggi. quando i bimbi erano stanchi di questi giochi, le madri li rimettevano al loro posto. il sole assai vicino bruciava gli uomini; era molto più grande di oggi, più grande di tutta la regione di Sangà. il cielo troppo basso intralciava le donne quando sollevavano il pestello del mortaio.una vecchia un giorno lo respinse col suo bastone, mettendolo al posto che occupa oggi. così gli uomini poterono crescere.MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-39042053464886041632009-04-08T16:03:00.000-07:002009-10-19T07:55:12.627-07:00DOGON: IL POPOLO CHE VIENE DALLE STELLE<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiLr5LrDz0z_sbE3Gy2hdJ9_WMmUIPd33Jo16STAS25nbvbksotCzcRx2_xgMFEvSgxmKHSnHjIGbbXaX7ASTdbxgEg5ZTYg_DkVUcpt_NQB4aOii8o8BGTMwVivJfSDV6KXk8qenrc-Z4m/s1600-h/07+sangha+(16).JPG" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiLr5LrDz0z_sbE3Gy2hdJ9_WMmUIPd33Jo16STAS25nbvbksotCzcRx2_xgMFEvSgxmKHSnHjIGbbXaX7ASTdbxgEg5ZTYg_DkVUcpt_NQB4aOii8o8BGTMwVivJfSDV6KXk8qenrc-Z4m/s320/07+sangha+(16).JPG" vr="true" /></a><br />
</div>Il popolo Dogon vive tra i dirupi rocciosi dell’arido altipiano del Bandjagara, 100 Km ad est di Moptì, presso il confine con il Burkina Faso, nell’odierna repubblica del Mali, dove fu costretto a rifugiarsi per sfuggire alle spinte espansionistiche dei grandi e potenti imperi medievali nati sulle sponde del Niger, nella regione del Medio Niger, intorno al 1000 d.C..I membri della comunità Dogon vivono principalmente di agricoltura e di allevamento ed il loro sistema sociale è strutturato in villaggi autonomi federati retti da un capo elettivo, detto "Hogon", che ha anche funzioni sacerdotali ed il compito di tramandare il sapere e le tradizioni alle generazioni più giovani.Ogni villaggio è costituito da un certo numero di clan ed ognuno di questi è a sua volta organizzato in famiglie patrilineari, nonostante ancora oggi sia possibile riscontrare nel sistema sociale Dogon residui culturali di antiche istituzioni matriarcali, quali, ad esempio, la libertà sessuale prenuziale, il dualismo simbolico della figura umana, i culti legati all’agricoltura, alla Grande Madre Terra ed agli antenati mitizzati.I Dogon, il cui ultimo censimento ha stabilito assommare a quasi un milione di individui, credono in un dio supremo, Amma, creatore dell’universo e che il cosmo sia scaturito dai movimenti del cosiddetto "uovo del mondo".La leggenda narra che i Nommo, gli otto antenati dei Dogon, arrivarono sulla Terra dalle stelle e vi portarono un paniere contenente l’argilla necessaria alla costruzione dei granai dei villaggi. All’interno di questi granai, che nella cosmogonia dei Dogon rappresentano l’universo, vi sono delle scale, che, oltre a simboleggiare le coppie di maschi e femmine che generarono i Dogon, costituiscono anche la trasposizione a terra di costellazioni e stelle: a nord le Pleiadi, a sud Orione, ad est Venere e ad ovest una stella cometa.Nella raffinata e complessa mitologia cosmogonica dei Dogon è spiegata l’origine dell’universo, il principio secondo cui l’uomo, la società ed il cosmo sono tra loro intimamente collegati e che il tutto è contenuto in ogni sua più piccola parte proprio come quest’ultima costituisce il tutto.<br />
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<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5IDcAHH2rzcFAriWBedF7Dsb_1WRZBy4RFDkqIqCcYOKbinN6V9KzKQLfuo9fDjF2cYB6Bg9L3oHrEvkbJC7YI6az5RHCMgwi42PYXEcE7gGNMx7v3qRNltj1X_2us4CxIlb6mnyStE0T/s1600-h/11+villaggi+dogon+(8).JPG" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5IDcAHH2rzcFAriWBedF7Dsb_1WRZBy4RFDkqIqCcYOKbinN6V9KzKQLfuo9fDjF2cYB6Bg9L3oHrEvkbJC7YI6az5RHCMgwi42PYXEcE7gGNMx7v3qRNltj1X_2us4CxIlb6mnyStE0T/s320/11+villaggi+dogon+(8).JPG" vr="true" /></a><br />
</div>I Dogon sono da sempre abili intagliatori del legno, un’arte ereditata dai Telem che vissero in questa regione molti secoli prima dell’arrivo del "popolo delle stelle". L’abilità dei Dogon nel lavorare il legno si manifesta soprattutto nel ritrarre figure femminili; tuttavia, molto apprezzate, sono anche le porte e le splendide ed elaborate maschere rituali, quale, ad esempio, quella chiamata Kanga, sormontata da una croce uncinata o svastica, un simbolo, quest’ultimo, antichissimo e ricorrente in numerose culture e civiltà del passato che, secondo il celebre antropologo francese Marcel Griaule, rappresenterebbe l’equilibrio tra cielo e terra e quindi l’ordine universale.La sconcertante peculiarità antropologica, che differenzia questa etnia da altri popoli tribali, consiste nel fatto che gli anziani dimostrano di possedere delle anacronistiche e complesse cognizioni astro-cosmogoniche incredibilmente precise e dettagliate.Il primo contatto tra i Dogon e la cosiddetta civiltà risale al 1907 e a partire dal 1931 due antropologi francesi, il già citato Marcel Griaule e Germaine Dieterlen, iniziarono a studiare questa etnia, vivendo per molti anni a stretto contatto con i suoi membri e riuscendo persino a conquistare la stima e la fiducia degli anziani e dei sacerdoti. Ciò che più sorprese i due antropologi francesi, non appena ebbero modo di conversare con i sacerdoti e che continua ancora oggi a meravigliare chiunque si avvicini in un modo o nell’altro a questo popolo, consiste nel fatto che, nonostante che i Dogon abbiano stabilito il primo contatto con l’uomo civilizzato alla fine della prima decade del secolo scorso, essi possedevano già a quei tempi conoscenze di carattere astronomico che teoricamente non avrebbero dovuto avere, conoscenze parte delle quali non era ancora stata acquisita dalla stessa scienza ufficiale dell’epoca.Molti studiosi ritengono che il sapere iniziatico dei Dogon derivi da un retaggio culturale antico migliaia di anni ed il fatto che gran parte di tale sapere sia di carattere scientifico indurrebbe ad accarezzare, anche solo per un istante, l’idea che in epoche remote gli antenati dei Dogon abbiano interagito con una civiltà molto più evoluta e soprattutto, tecnologicamente più avanzata.<br />
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<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIYNaeEqV782GJuYtgn0B1UOo2m3b5kZgqhNXFmyJq9cUtsW28BCGCk4md-qZIWRH7_zbgdJxaUh21U93i9m8IHk6n-uJGMEzN-0lTObpsLA2KqYyFaJ8nDr4odL98_zqz6bCwZUVPz5WR/s1600-h/12+villaggi+dogon+(6).JPG" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIYNaeEqV782GJuYtgn0B1UOo2m3b5kZgqhNXFmyJq9cUtsW28BCGCk4md-qZIWRH7_zbgdJxaUh21U93i9m8IHk6n-uJGMEzN-0lTObpsLA2KqYyFaJ8nDr4odL98_zqz6bCwZUVPz5WR/s320/12+villaggi+dogon+(6).JPG" vr="true" /></a><br />
</div>Nel 1946 Marcel Griaule venne iniziato dagli anziani della tribù ed ebbe così accesso al "corpus" di conoscenze che fino a quel momento era stato di dominio esclusivo dei membri della casta sacerdotale.Lo sciamano Ogo Temmeli, con cui Griaule strinse una profonda amicizia, spiegò all’antropologo che le conoscenze astro-cosmogoniche, in possesso degli anziani e dei membri della casta sacerdotale, erano state trasmesse loro dai misteriosi Nommo, creature anfibie civilizzatrici originarie del sistema stellare di Sirio.Nel saggio dal titolo "Le Renarde Pale", che G. Dieterlen fece pubblicare nel 1965 dall’Istituto Francese di Etnologia dopo la scomparsa di Griaule ed in cui venne trascritta tutta l’esperienza che i due antropologi vissero con i Dogon, è riportato che in un’occasione i sacerdoti tracciarono sul terreno alcuni disegni, dimostrando a Griaule di possedere una solida conoscenza astronomica, soprattutto relativa alla stella Sirio. Quest’ultima, dopo il Sole, è la stella più luminosa dell’emisfero boreale ed è situata nella costellazione del Cane Maggiore, a circa 8,7 anni luce dalla Terra.In realtà Sirio è un sistema ternario, ossia un sistema stellare costituito da almeno tre stelle, di cui le prime due furono rilevate grazie all’impiego di telescopi mentre l’esistenza della terza fu dedotta matematicamente. Gli astronomi hanno denominato le prime due stelle del sistema di Sirio, Sirio A e Sirio B; l’esistenza di quest’ultimo astro fu per la prima volta teorizzata dall’astronomo tedesco Friedrich Bessel a seguito di una serie di osservazioni di irregolarità nel moto di Sirio A, tuttavia bisognerà attendere il 1862 per la sua scoperta ufficiale, anno in cui l’astronomo statunitense Alvan Clark, utilizzando un telescopio tra i più perfezionati dell’epoca, ne scoprì l’esistenza.La conferma dell’effettiva scoperta di Sirio B, tuttavia, giunse solo nel 1970, quando venne fotografata per la prima volta.È estremamente interessante notare come i Dogon sapessero e sappiano che Sirio non è un’unica stella, bensì un sistema ternario, un sistema stellare, cioè, costituito da tre stelle e di come siano anche al corrente del fatto che Sirio B effettua una rivoluzione intorno a Sirio A, descrivendo un’orbita ellittica in un periodo di 50 anni. I Dogon, inoltre, conoscono l’esatta posizione che Sirio A assume all’interno dell’orbita ellittica descritta da Sirio B. Questo astro viene chiamato dai Dogon "Digitaria", anche se nella lingua iniziatica i sacerdoti lo designano con il termine "Po Tolo", dove "Tolo" significa "stella" e "Po" è il nome che i Dogon assegnano ad una particolare varietà di cereale la cui peculiarità risiede nel fatto che è piuttosto pesante nonostante le sue ridotte dimensioni, denotando quindi una notevole densità.I sacerdoti non potevano scegliere un nome più appropriato per designare questo cereale, in quanto, si da il caso che Sirio B sia una nana bianca, ossia una stella caratterizzata da una densità estremamente elevata! Tale peculiarità fisica era conosciuta assai bene da questo popolo, difatti, di Po Tolo, i sacerdoti dicono che sia composta da una sostanza "più pesante di tutto il ferro della Terra"!La cerimonia più importante dei Dogon è indubbiamente il rito Sigui, dedicato a Digitaria, che viene celebrato ogni 50 anni, periodo corrispondente a quello di rivoluzione di Sirio B intorno a Sirio A (l’ultima celebrazione risale agli anni Sessanta). Durante questa cerimonia rituale i partecipanti bevono una birra ottenuta facendo distillare l’estratto del seme del cereale da cui Sirio B prende il nome. Nel periodo delle celebrazioni in onore di Sirio, gli uomini intagliano la Grande Maschera, detta "Iminana", dalle fattezze di un serpente allungato che talvolta raggiunge anche un’altezza di 10 metri.Durante il Sigui, i Dogon mettono in scena danze rituali e narrano la storia delle loro origini servendosi dell’Iminana, la quale viene conservata in una caverna segreta sopra il villaggio ed utilizzata in occasione di questa cerimonia e dei funerali. Secondo una tradizione, difatti, allorché un membro della comunità viene a mancare, il suo spirito vaga inquieto alla disperata ricerca di una nuova "dimora" che lo possa ospitare. Il timore per ciò che potrebbe accadere ad un vivente, qualora lo spirito del trapassato prendesse possesso del suo corpo, spinge i Dogon a recarsi nella caverna nella quale è custodita l’Iminana e a portarla nella casa del defunto per una cerimonia rituale, il cui fine è quello di sollecitare lo spirito a entrare all’interno della maschera anziché del corpo di un vivente. <br />
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<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiv3T1UsR6Nz-3mjT49TvvEYQ5wL0TfgSehTuTZmGIvMFHXk3HtvGr7fnev5V1TCief7YlEZjVzPJ8LXGsmKByop8uMCeuQZCJ5fbRIxVa2Tp75sxdqtm9pgQsrhz3tCk5XfVLIoZFs0On6/s1600-h/14+villaggi+dogon+(11).JPG" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiv3T1UsR6Nz-3mjT49TvvEYQ5wL0TfgSehTuTZmGIvMFHXk3HtvGr7fnev5V1TCief7YlEZjVzPJ8LXGsmKByop8uMCeuQZCJ5fbRIxVa2Tp75sxdqtm9pgQsrhz3tCk5XfVLIoZFs0On6/s320/14+villaggi+dogon+(11).JPG" vr="true" /></a><br />
</div>La profonda conoscenza che i Dogon dimostrano di possedere in merito al sistema di Sirio, comunque, va oltre. Difatti Ogo Temmeli rivelò a Griaule che una seconda compagna di Sirio A accompagna "Po Tolo" nella sua rivoluzione intorno alla stella principale, una compagna che i Dogon chiamano "Emmeia" o "Sorgo Femmina".Quando il sacerdote Dogon svelò a Griaule l’esistenza di una terza stella nel sistema di Sirio, si rivolse all’antropologo francese con queste parole: "La stella Emmeia o Sorgo Femmina è più grande e quattro volte più leggera di Po Tolo e viaggia su una traiettoria maggiore nella stessa direzione. È proprio Sorgo Femmina la sede delle anime di tutti gli esseri, viventi e futuri."Fino a poco tempo fa, nel mondo accademico, non si faceva menzione di Sirio C, ritenendo il sistema stellare di Sirio binario e non ternario; tuttavia, recentemente, gli astronomi si sono dovuti ricredere, dando ragione ai Dogon, in quanto l’esistenza di Sirio C è stata rilevata a seguito degli effetti perturbatori che questa stella esercita sulle orbite dei due corpi principali. Sirio C orbiterebbe intorno a Sirio A in un periodo di 6 anni ed è quasi certamente una nana rossa di magnitudine 15, vale a dire milioni di volte meno luminosa di Sirio A, quindi la sua luminosità verrebbe celata da quella ben maggiore della stella principale.Non esistono ancora strumentazioni ottiche sufficientemente sofisticate da consentire l’osservazione di un corpo celeste la cui luminosità risulta essere di diversi ordini di grandezza inferiore a quella della stella principale intorno alla quale ruota, né, a maggior ragione, è possibile osservare un simile astro ad occhio nudo. L’esistenza di Sirio C, difatti, è attestata solo da complicati algoritmi eseguiti nel 1997.La straordinarietà delle cognizioni astro-cosmogoniche relative al sistema stellare di Sirio, come di altri corpi celesti, risiede nel fatto che un tale nozionismo scientifico non può essere in alcun modo acquisito senza l’ausilio di adeguate e sofisticate apparecchiature strumentali.La conoscenza che i Dogon hanno dell’universo non è tuttavia limitata al sistema stellare di Sirio, difatti i sacerdoti sono soliti raffigurare, ad esempio, il pianeta Saturno con due cerchi concentrici, inducendo a ritenere che essi sappiano che il sesto pianeta del Sistema Solare è circondato da un sistema di anelli. Di Giove i Dogon sanno che si muove assieme a "quattro compagne", verosimilmente identificabili con i quattro satelliti galileiani, Io, Europa, Ganimede e Callisto, corpi che l’astronomo pisano scoprì nel 1610 grazie al suo rudimentale telescopio.Anche la Terra sembra non avere segreti per i Dogon, i quali, difatti, amano raffigurarla come una sfera, dando dimostrazione del fatto che un gruppo etnico allo stadio tribale e ad un livello di civilizzazione preindustriale era a conoscenza del fatto che il pianeta che lo ospita non è piatto, come fino a qualche secolo fa riteneva la scienza ufficiale, bollando come eretici chiunque osasse proporre teorie alternative.Della Terra i Dogon sanno anche che ruota intorno al proprio asse e insieme ad altre sfere, verosimilmente gli altri pianeti del Sistema Solare, anche intorno al Sole. Sanno inoltre che il satellite naturale della Terra, la cara vecchia Luna, è "morta e disseccata" e che l’Universo "è un’infinità di stelle e di vita intelligente"! I sacerdoti, infine, sostengono che la galassia di cui il Sistema Solare fa parte, la Via Lattea, esegue un movimento a spirale cui partecipa anche il Sole con tutti i suoi pianeti. Questo dato venne ottenuto dagli astronomi occidentali solo all’inizio del ventesimo secolo, nonostante i Dogon lo conoscessero, sia pure in forma simbolica, da migliaia di anni.Molte antiche civiltà svilupparono una conoscenza della volta celeste piuttosto approfondita, basandosi, nella quasi totalità dei casi, sulla paziente osservazione ad occhio nudo del cielo stellato. Tale conoscenza, nella stragrande maggioranza dei casi, era finalizzata all’interpretazione del moto dei corpi celesti, poiché si riteneva che essi potessero influenzare le decisioni, le azioni ed i pensieri degli uomini e perché si credeva che potesse essere utilizzata anche per preconizzare gli accadimenti futuri. L’etnia Dogon, tuttavia, si differenzia notevolmente da queste civiltà in quanto le cognizioni astronomiche di cui gli anziani ed i sacerdoti sono in possesso costituiscono un vero e proprio nozionismo scientifico, la cui natura e origine sfuggono ancora ad una spiegazione razionale.I propugnatori dell’ipotesi extraterrestre e gli studiosi di paleoastronautica, ossia di quella disciplina di frontiera che si prefigge lo scopo di studiare ed analizzare gli anacronismi storico-archeologici presumibilmente imputabili a possibili incontri avvenuti nel passato tra l’uomo ed antichi astronauti esponenti di una o più civiltà aliene giunti sulla Terra, avanzano l’ipotesi secondo cui le incredibili cognizioni astro-cosmogoniche in possesso dei Dogon costituiscano una sorta di reminiscenza culturale di contatti verificatisi nel lontano passato tra gli antenati di questi ultimi ed una legazione aliena proveniente da uno o più mondi appartenenti al sistema stellare di Sirio.È interessante sottolineare che i Nommo, le creature civilizzatrici provenienti dalle stelle e considerate semidivine, sono raffigurati per metà umani e per l’altra metà pesci, ossia come esseri anfibi.Una leggenda Dogon narra che i Nommo raggiunsero la Terra a bordo di una grande arca circolare, la quale atterrò producendo un rumore assordante e provocando una violenta tempesta di sabbia. Ogo Temmeli descrisse l’evento a Marcel Griaule con le seguenti parole: "Il dio dell’universo Amma aveva mandato sulla Terra il Nommo. <br />
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<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7UesENJKiBSXDk_cN8qv0weIChDuiOFJntOdcaWI5JDOC-7JarkHMrlVLZAg5kmZUTbqpvie9l4JGxyovJPRtVmpFtSWJa9neQhmg2YWPL9Pamlu7gkPLbYSik9dDtSicMightXE4pFfv/s1600-h/14+villaggi+dogon+(2).JPG" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7UesENJKiBSXDk_cN8qv0weIChDuiOFJntOdcaWI5JDOC-7JarkHMrlVLZAg5kmZUTbqpvie9l4JGxyovJPRtVmpFtSWJa9neQhmg2YWPL9Pamlu7gkPLbYSik9dDtSicMightXE4pFfv/s320/14+villaggi+dogon+(2).JPG" vr="true" /></a><br />
</div>Il Nommo atterrò nell’arida valle della volpe. Mentre la sua arca scendeva, un’enorme nuvola di polvere si alzò dal terreno. Il Nommo era rosso come il fuoco, ma quando atterrò divenne bianco. Intanto, una stella era apparsa nel cielo, ma sparì quando il Nommo se ne andò."Alcuni studiosi interpretano alla lettera questa rivelazione ed ipotizzano che il Nommo sia in realtà la rappresentanza aliena incaricata di stabilire un contatto con la nostra civiltà e che la frase "atterrò nell’arida valle della volpe" si riferisca al fatto che la legazione extraterrestre atterrò da qualche parte in Egitto a bordo di un veicolo spaziale. Nel corso della manovra di atterraggio, l’arca dei Nommo, ossia la navicella spaziale, avrebbe sollevato una tale quantità di polvere e di sabbia dal terreno da sembrare a tutti gli effetti una vera e propria tempesta di sabbia naturale. La quarta frase, sempre secondo i fautori dell’ipotesi extraterrestre, è particolarmente illuminante, in quanto il Nommo sarebbe il veicolo alieno mentre il cambiamento di colore dal rosso al bianco di quest’ultimo, verificatosi durante la manovra di atterraggio, richiama alla memoria una caratteristica che contraddistingue gli odierni UFO ("Unidentified Flying Objects", oggetti volanti non identificati) in numerosi avvistamenti; ossia il fatto che il colore della luminescenza da loro emessa muta a seconda della manovra che stanno compiendo. Al fine di comprendere la causa della variazione cromatica associata alla modificazione dell’assetto di volo di tali velivoli di presunta natura aliena, è inevitabile fornire qualche dettaglio tecnico.L’intensa luminosità che caratterizza la maggior parte degli oggetti volanti non identificati avvistati nei cieli di tutto il mondo e che potrebbe celare al suo interno un oggetto strutturato sarebbe in realtà una sorta di involucro di plasma formatosi intorno al veicolo a seguito della ionizzazione delle molecole dei gas presenti nella regione di spazio atmosferico localizzata nelle sue immediate vicinanze.Il sistema propulsivo del veicolo comporterebbe l’emissione di un campo energetico radiante di natura elettromagnetica, la cui intensità sarebbe tale da eccitare e rimuovere gli elettroni della configurazione elettronica esterna degli atomi costituenti le molecole di determinati gas atmosferici. In questo modo verrebbe a costituirsi una sfera di plasma in cui coesistono molecole ed atomi ionizzati ed elettroni liberi; stato della materia, quest’ultimo, molto particolare, in cui gli elettroni liberi sono caratterizzati da un’elevata energia e sono responsabili dell’eccitazione di quelli contenuti nelle molecole dei gas. Tale eccitazione, a seguito della collisione tra gli elettroni liberi e le molecole dei gas atmosferici, è sufficiente a scagliare gli elettroni di queste ultime ad un livello energetico superiore e non appena essi ritornano allo stato energetico fondamentale (ossia di riposo) le molecole dei gas cedono l’energia precedentemente assorbita attraverso l’emissione di fotoni, la cui lunghezza d’onda è compresa nella banda del visibile dello spettro elettromagnetico e corrisponde, ad esempio nel caso in cui l’oggetto si muova in quota, al colore rosso. È lecito a questo punto ipotizzare che una variazione dell’assetto di volo, finalizzata ad esempio a compiere una manovra di atterraggio, comporti una modificazione dei parametri del sistema di navigazione e che tale modificazione si rifletta in una variazione delle modalità di funzionamento del sistema propulsivo ed in un conseguente mutamento dell’intensità del campo elettromagnetico emesso dall’oggetto.Al variare dell’intensità del campo elettromagnetico varierebbe anche il grado di ionizzazione delle molecole dei gas atmosferici e la natura stessa di tali gas ed in ultima analisi la lunghezza d’onda dei fotoni emessi, lunghezza d’onda che potrebbe corrispondere ad un colore dell’alone di ionizzazione, nella fattispecie il bianco, diverso da quello associato allo spostamento dell’oggetto in quota.L’ultima frase del sacerdote Dogon induce gli studiosi di paleoastronautica ad ipotizzare che la stella apparsa nel cielo durante l’atterraggio dell’arca dei Nommo sia in realtà un’astronave madre di grandi dimensioni rimasta in quota e da cui sarebbe partita l’arca, identificabile, a questo punto, in una sorta di navicella di ricognizione. Tale ipotesi, peraltro, sarebbe coerente con l’ultima parte della frase, quella in cui Ogo Temmeli racconta che la stella apparsa in cielo scomparve non appena il Nommo se ne andò, fatto che potrebbe essere interpretato come la partenza dell’astronave madre dopo il rientro della navicella di ricognizione. Sempre secondo quanto narrato da questa leggenda, le creature anfibie provenienti dalle stelle, una volta ‘sbarcate’ dall’arca, cercarono un luogo in cui vi fosse dell’acqua in cui immergersi, comportamento che avrebbe ingenerato negli antenati dei Dogon la credenza che i Nommo fossero effettivamente esseri anfibi.Lo studioso statunitense Robert Temple, nel libro "The Sirius Mystery" - "Il Mistero di Sirio", avanza l’ipotesi secondo cui il presunto "incontro ravvicinato" che i Dogon avrebbero avuto con la delegazione aliena proveniente da Sirio non abbia avuto luogo in realtà nella regione in cui oggi risiedono i Dogon, cioè il Mali, bensì altrove, in quanto i loro antenati vi si stabilirono a ondate successive in epoca relativamente recente, tra il 1200 ed il 1500 d.C..Secondo quanto riportato da Temple nel suo libro e postulato anche da alcuni etnologi, questo gruppo etnico in realtà sarebbe costituito dai diretti discendenti di un antico popolo di origine mediterranea, i Garamanti, i quali, in un remoto passato, stabilirono contatti culturali e commerciali con gli antichi Egizi e gli Assiro-babilonesi in Mesopotamia. <br />
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<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0m62Q7GlYqdWkFlnpWAhBRikAH6IpdWoBivsbqdRskVR1qaqQGzhFENz5EXgzJW4iips7K_53XsVe_OsuE2_baDZ1WrBS7hZiHfPWkXDa-mLuw3ti7vbrVyj_DJykZlILgXryrplhs-QM/s1600-h/13+villaggi+dogon+(11).JPG" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0m62Q7GlYqdWkFlnpWAhBRikAH6IpdWoBivsbqdRskVR1qaqQGzhFENz5EXgzJW4iips7K_53XsVe_OsuE2_baDZ1WrBS7hZiHfPWkXDa-mLuw3ti7vbrVyj_DJykZlILgXryrplhs-QM/s320/13+villaggi+dogon+(11).JPG" vr="true" /></a><br />
</div>Nel corso dei secoli i Garamanti si sarebbero progressivamente spinti verso le regioni situate a sud-ovest del deserto del Sahara, dove si sono definitivamente stabiliti.Il fatto che in Egitto e soprattutto in Mesopotamia, siano state rinvenute curiose raffigurazioni e bizzarre statuine di creature anfibie, quali, ad esempio, il mostruoso istruttore Oannes babilonese ed i mitici Dagon e Atargatis dei Filistei, nonché testi in cui tali ibridi uomo-pesce sono i protagonisti di leggende e tradizioni, induce i fautori dell’ipotesi extraterrestre a ritenere che gli antenati dei Dogon, i Garamanti, abbiano acquisito le conoscenze astro-cosmogoniche, che in futuro avrebbero reso così famosi i loro discendenti, a seguito degli scambi culturali con le popolazioni dell’antico Egitto e della terra del Tigri e dell’Eufrate, popolazioni che avrebbero interagito nella notte dei tempi con una civiltà proveniente dal sistema stellare di Sirio.MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-14802084706734738742008-08-25T05:09:00.000-07:002008-11-19T01:07:44.593-08:00Mali - MUSICA, UN PO' D'ARTE E NON SOLO....<div align="justify"><strong>Pemessa:</strong><br />L’africa è la patria della tradizione orale, quell’insieme di saperi che presentano una modalità di trasmissione diretta, senza l’uso di supporti scritti. Questo genere di sapere si traduce in molte forme differenti di narrazione e performance ed è particolarmente diffuso tra le popolazioni che vivono nell'Africa sub-sahariana, tanto da riferirsi ad esse come a "civiltà della parola". Il veicolo di comunicazione è dunque interamente ed esclusivamente dato dalla voce. I saperi relativi alla<br />tradizione orale africana possono appartenere ad ambiti molto diversi: possono esserci tradizioni orali storiche, mitologiche, musicali, religiose, politiche, giuridiche, letterarie.<br />Come sostiene il famoso intellettuale maliano Amadou Hampâté Bâ (1900-1991): "le tradizioni orali sono gli archivi letterari, storici e scientifici dell'Africa".<br />Amadou Hampâté Bâ (Bandiagara, 1900 – Abidjan, 15 maggio 1991) è stato uno scrittore, filosofo e antropologo maliano - Figlio di Hampâté Bâ e di Kadidja Pâté Poullo Diallo, egli apparteneva ad una famiglia nobile fulbe. Dopo la morte di suo padre, sarà adottato dal secondo marito di sua madre e iniziato ai saperi e alle pratiche del suo popolo. Frequentò la scuola coranica di Tierno Bokar, un membro della confraternita tidjaniyya ed in seguito occupò diversi ruoli all'interno dell'amministrazione coloniale francese, prima a Bandiagara, poi a Djenné. In seguito a numerosi scontri con gli amministratori, si spostò frequentemente nella regione allora chiamata Alto Volta (oggi Burkina Faso). Tra il 1922 e il 1932, occupò diversi incarichi in svariate città burkinabé e nel 1933, ottenne un congedo di 6 mesi che trascorse dal suo maestro Tierno Bokar. Nel 1942, ottenne un incarico dall’Institut Français d’Afrique Noire (IFAN) di Dakar grazie al suo direttore, il professor Théodore Monod. In questo contesto, poté effettuare importanti ricerche sulle tradizioni orali. Nel 1951, ottenne una borsa di studio dall'Unesco che gli<br />permise di svolgere un soggiorno di studi a Parigi e di conoscere i maggiori africanisti dell'epoca, come Marcel Griaule. Nel 1960, in seguito all'indipendenza del Mali, fondò l'Istituto di Scienze umane a Bamako e rappresentò il suo paese alla conferenza generale dell'Unesco. Nel 1962 venne nominato membro esecutivo dell'Unesco e nel 1966 partecipò all'eleborazione di un sistema unificato per la trascrizione delle lingue africane. Nel 1970, Hampate Ba decise di lasciare i suoi<br />incarichi ufficiali e diplomatici per dedicarsi interamente ad un progetto di ricerca e d'archiviazione del patrimonio orale dell'Africa occidentale, consacrandosi perciò ad un lavoro di ricerca e di scrittura: gli ultimi anni della sua vita, trascorsi ad Abidjan, lo porteranno alla scrittura di due romanzi autobiografici, Amkoullel, il bambino fulbe e Signorsì, comandante, pubblicati postumi, nel 1991.</div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong>La MUSICA<br />I suoni Malinkè</strong><br />La armonie tradizionali Maliane si sono sviluppate grazie all’uso di strumenti “classici” come il Balafon, la Korà ed il doundoun. In linea generale, narrano trame epiche e canti di lode.<br />Questi motivi vengono espressi prevalentemente dai “Djeli” (Griot) appartenenti al gruppo etnico Malinkè (Mandingue). L’arte dei djeli viene trasmessa di padre in figlio, ed i musicisti appartengono a poche famiglie ben conosciute: Kouyate, Diabate, Sissoko, Kone, Kamissoko, Sacko Koite, Tounkara, Konate, i Kanoute, i Kante.<br />I maninka non appartenenti a queste famiglie non possono definirsi djeli e non possono svolgere il loro ruolo sociale.<br />Esistono comunque artisti che non rientrano nel “rango nobiliare” della musica tradizionale, che producono ottima musica libera da vincoli tradizionali, ma non saranno mai coinvolti nel circuito dei concerti privati e di cerimonie insite nella società maliana, che assicurano ai djeli un lavoro costante e un conseguente introito economico sicuro. Un esempio di “djeli libero” lo troviamo in Salif Keita o Habib Koite. I malinke si distinguono in tre sottogruppi dialettali, ciascuno con la propria tradizione musicale.<br />La musica “classica” del Djeli che si identifica quindi con la tradizione dei Maninka abitanti nel Mali occidentale, si avvale di scale armoniche “eptatoniche” unite al grande repertorio epico proveniente da siti storici come Kita e Kela, sono interpretati da nomi illustri come Kandia Kouyate, Amy Koita, Kassemady Diabate. (brani di riferimento: Sundjata, Kulandjan, Mali Sadjo)<br />A differenza degli altri stili, la musica dei djeli malinke che aderisce in maniera ferrea alle regole ed ai vincoli della tradizione, tende a mantenere la sua specificità di musica nobile, di corte, alla quale è affidata la rilevante responsabilità di custodire la cultura del passato. A tal proposito, esisterebbe un certo snobbismo nei confronti degli altri musicisti e generi musicali.</div><div align="justify"><br /><strong>I ritmi Bambarà</strong><br />Il gruppo etnico più diffuso nel Mali, con centro geografico a Segou, i Bambara invece producono una musicalità che fluisce incessantemente dalle numerosissime radioline sparse in ogni luogo, dal taxi alla bottega alimentare. Questa melodia si differenzia da quella maninka innanzitutto perché si basa su una scala armonica pentatonica, ed i suoi ritmi sono influenzati dalla sonorità del nord, di matrice Songhai, con elementi arabi. Nel canto invece, la voce ricorre a forme “antifonali” (con più linee melodiche del tutto indipendenti l’una dall’altra, sia dal punto di vista<br />melodico che ritmico), basate su dialoghi tra solisti e cori. Lo strumento prevalente è lo n’goni, mentre è raro ascoltare il suono della korà.<br />Il suono Bambarà differisce inoltre da quella Djeli a causa delle sue radici. La musicalità derivante dalla casta di cacciatori, che nasce da antichi rituali propiziatori. Musicalità dunque di struttura molto semplice, con canti antifonali esclusivamente maschili accompagnati da percussioni.</div><div align="justify"><br /><strong>La sonorità Fulani</strong><br />L’etnia nomade dei Fulani (Peul), diffusa in tutta l’area sahelica, ha invece una sua tradizione musicale specifica, caratterizzata da strumenti musicali facilmente trasportabili, come il flauto o il violino tradizionale ad una corda, o utensili adibiti anche ad altri usi, come i recipienti di zucca, o calabasse. Accade spesso che musicisti peul, soprattutto flautisti, vengano inseriti in ensable nelle tradizionali espressioni musicali e culturali, appartenenti ad altre etnie.</div><div align="justify"><br /><strong>Influenza araba</strong><br />Nel campo musicale, altre tradizioni etniche da rammentare sono quella Dogon dell’area nord orientale, mentre spingendoci sempre più verso nord, si fanno decisamente sentire quelle delle etnie del deserto, i Songhai e i Tamashek, dove viene riscontrata una tradizione musicale con forte influenza araba.<br />Artisti come Ali Farka Toure o i Tinariwen, con il loro “desert blues”, hanno contribuito a trasmettere anche oltre confine le forme ritmiche tradizionali del deserto, trasportando le stesse sulle corde di una chitarra elettrica. </div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong>Armonie Wassoulou</strong><br />Una particolare nota di attenzioneva data ad una tradizione musicale importante, che nasce nella regione di Wassoulou a cavallo tra Mali e Guinea. La musica del Wassoulou, non è legata a famiglie djeli, usa la scala pentatonica e il canto è affidato soprattutto alle donne, accompagnate da un coro femminile. La ritmica è potente ed è basata soprattutto sul djembe, sul karignan e sui flé, strumenti di zucche e conchiglie, mentre i testi delle canzoni sono spesso di critica costruttiva<br />alla società tradizionale.</div><div align="justify"><br /><strong><em>Artisti di riferimento</em></strong>:<br /><em>Ali Farka Toure, Baba Sissoku Oumou Sangare, Rokia Traore, Nahawa Doumbia, Lobi Traore, Neba Solo, Abdulaye Diabate, e Issa Bagayogo,<br /></div></em><p align="justify"><strong>DA SAPERE:<br /></strong>MARTIN SCORSESE ha ricercato e trasportato in un film, il percorso di scoperta delle radici africane del blues. «Dal Mali al Mississippi », un viaggio che si conclude ai margini del deserto, il<br />Ténéré.<br />Dall’anno 2001, in pieno deserto, si tiene ogni metà gennaio un festival, nell’oasi di Essekrane a nord di Tombouctou. È una manifestazione che si svolge nella terra dei Kel Tamashek, «quelli che parlano tamashek», i Tuareg. Un nome che significa «abbandonati da dio» e che loro, giustamente, respingono.<br />Sulle sabbie a nord del fiume Niger è avvenuta una fusione tra la musica contemporanea e la poesia tradizionale Tamashek. I suoni Maliani, espressi da Selif Keita e Ali Farka Toure si amalgamano a versi poetici colmi di struggente nostalgia per la vita libera negli infiniti spazi desertici. Una denuncia su un futuro che avrebbe potuto esserci ed invece non c’è stato.<br />Risulta un incontro quasi leggendaro con il gruppo Tamashek più rappresentativo, i Tinariwen.<br />La storia dice che:<br />Il padre del fondatore del gruppo, Ibrahim, è fuggito in Algeria portandolo sulle spalle, prima di essere ucciso dai soldati maliani nel 1963, ai tempi della prima rivolta tamashek. Ibrahim iniziò costruendo da solo delle chitarre artigianali. L’incontro con le chitarre elettriche vere e proprie avvenne nei campi in Libia dove il colonnello Gheddafi addestrava i tamashek. La prima formazione dei Tinariwen è nata lì. Ibrahim faceva parte del Movimento popolare dell’Azawad, che combatteva contro il governo del Mali per l’emancipazione delle regioni settentrionali. Assieme a lui c’erano i primi membri del gruppo: Kheddou, Enteyedden e Mohammed. Le chitarre furono comprate dal capo dell’Mpa, Iyad Ag Ghali. La leggenda dice ancora che nella scaramuccia che fece scattare la seconda ribellione tamashek, a Menaka, un avamposto ell’esercito maliano vicino alla frontiera con il Niger, il 30 giugno 1990, Kheddou partìÏ all’attacco, kalashnikov in mano e chitarra elettrica sulla schiena.<br />Nel 1992, dopo l’accordo di pace, i Tinariwen hanno lasciato i kalashnikov, ma tenuto le chitarre diventate la cifra sonora dei loro due dischi «The Radio Tisdas sessions» e il recente Amassakoul», un’implosione di malinconia, misticismo e passione per le sorti del proprio popolo. Anche il deserto, che secondo un proverbio tamashek è stato creato da Dio perché gli uomini potessero trovare la propria anima, è assediato dalla modernità. Una modernità subìta, che sfilaccia i legami sociali, forse irrimediabilmente. Ma che offre anche, in angoli insperati, le risorse<br />per affidare la poesia di un popolo del deserto a una musica profonda e toccante, capace di viaggiare e farsi ascoltare e amare ovunque.............................................</p><p align="justify"> </p><p align="justify">Un ringraziamento particolare all'amico G.M.Rampelli di <a href="http://www.tpafrica.it/">http://www.tpafrica.it/</a> per la gentile concessione di alcuni estratti di testo che sono stati utili per la creazione del post Mali- MUSICA, UN PO' D'ARTE E NON SOLO.... e la sua divulgazione</p><p align="justify"></p>MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-17260025169938763842008-08-25T03:55:00.000-07:002008-08-25T04:15:37.228-07:00Mali - AFROCUCINAUn piccolo tour culinario, qualche ricetta per poter degustare i sapori Maliani<br /><div align="justify"><br /><strong>Gnintinnadégué - Crema con gnocchetti di farina dimiglio fine<br /></strong><em>Ingredienti<br /></em>Farina di miglio fine, acqua, sale, fèfè, zucchero, burro, caglio, latte in polvere, noce moscata e zucchero vanigliato.<br /><em>Preparazione</em><br />Fare degli gnocchetti con la farina di miglio fine aiutandosi con un po' d'acqua. Mettere sul fuoco una casseruola con circa 2 litri d'acqua. Quando l'acqua inizia a bollire mettere sopra la casseruola<br />una couscoussiera contenente i gnocchetti formati e adagiati su di un fazzoletto ben pulito e lasciarli cuocere per circa un'ora. Successivamente assicuratevi che i gnocchetti siano pronti, dovrebbero diventare verdastri. A quel punto versate i gnocchetti in una ciotola e aggiungetevi un po' di burro mescolando bene, poi un pochino d'acqua per evitare che i gnocchetti si secchino.<br />Quando i gnocchetti si sono raffreddati, aggiungete lo zucchero, il sale, il fèfè (un goccio), del latte<br />in polvere ed infine il latte cagliato (almeno 3 litri), un po' d'acqua nel caso in cui il latte cagliato<br />non fosse sufficiente, dello zucchero vanigliato e un po' di noce moscata. La crema è pronta.<br /><em>Note<br /></em>Questa crema è utilizzata durante le grandi cerimonie di famiglia: matrimoni, battesimi, circoncisioni… e molto gradevole. Per la farina: utilizzate 2 kg di miglio decorticato, lavato e<br />trasformato successivamente in farina (macinato nel mulino o battuto. Il latte in polvere è<br />facoltativo così come anche i diversi odori. </div><div align="justify"><br /><strong>Moni - Pappa alla farina di miglio<br /></strong><em>Ingredienti<br /></em>Farina di miglio, limone o tamarindo, acqua, sale (facoltativo), latte cagliato (facoltativo) e zucchero.<br /><em>Preparazione<br /></em>Con la farina, fare dei gnocchetti aiutandovi con un po' d'acqua. Mettere sul fuoco una casseruola<br />con corca 2 litri d'acqua. Quando l'acqua inizia a bollire aggiungetevi i gnocchetti e fate cuocere per circa 20 minuti, successivamente aggiungete del limone (o del tamarindo) più un po' di farina<br />liquefatta (non bisognerà aggiungere acqua a questa farina) per rendere la pappa più compatta.<br />Aggiungere il sale (facoltativo) e lasciate cuocere per circa 15 minuti. Servire il piatto caldo. Si può aggiungere del latte cagliato.<br /><em>Note<br /></em>Questa pappa si serve anche come colazione. Si può anche somministrare ai malati. </div><div align="justify"><br /><strong>Riso Jollof</strong><br /><em>Ingredienti<br /></em>450 gr di carne, 225 gr di riso, 450 g di pomodori, 140 g di passata di pomodoro, 2 cipolle, 1 grosso peperone verde, 3 cucchiai di burro d'arachidi, Olio, 1 cuc.no di pepe di Cajenna o paprica, ½ cuc.no di timo, ½ cuc.no di spezie, 1 cuc.no di pepe nero, sale.<br /><em>Preparazione<br /></em>Fare soffriggere a fuoco lento in una grossa pentola la carne con olio e burro d'arachidi. Togliere la carne dalla pentola e nello stesso fondo di cottura fare ammorbidire le cipolle, il peperone ed i<br />pomodori tutti a pezzi non troppo sottili. Aggiungere la carne, la passata di pomodoro e le spezie.<br />Salare. Aggiungere acqua o brodo e portare ad ebollizione. Aggiungere il riso e portarlo a cottura<br />(aggiungendo, se necessario, dell'altra acqua). (tempo di preparazione 40 min.).<br /><em>Note<br /></em>Il riso Jollof è di origine Nigeriana ma diffuso in tutta l'Africa occidentale. E' un piatto unico,<br />abbastanza simile alla paella spagnola. Può essere realizzato indifferentemente con un solo tipo di<br />carne oppure utilizzando un insieme di tipi diversi (pollo, manzo, agnello). Per le spezie potete<br />usare una mistura di spezie già pronta (tipo curry) oppure prepararla da soli mescolando cumino,<br />curcuma e coriandolo. </div><div align="justify"><br /><strong>Riz gras<br /></strong><em>Ingredienti<br /></em>300 gr. riso (tipo Thai), 1 pomodoro, 1 cipolla, 2 gombo, 2 gobo (o melanzana), un litro e mezzo<br />brodo di carne o dado, peperoncino piccante.<br /><em>Preparazione<br /></em>Soffriggere la cipolla nell'olio, aggiungere il pomodoro con i gombo e i gobo tagliati a pezzetti; una<br />volta rosolati aggiungere il riso ed il peperoncino. Unire il brodo e portare a cottura (circa 20 minuti).<br /><em>Note<br /></em>Il Riz gras, presente in tutta l'Africa occidentale, è sostanzialmente un risotto arricchito da verdure. <em>Vi troverete degli alimenti particolari come Il gombo è una tipica verdure africana che non assomiglia a nessuna verdura italiana; da qualche tempo è comunque possibile reperire il prodotto anche in alcuni negozi italiani (europei). Il gobo è una piccola melanzana coltivata in Africa che può essere, grossomodo, sostituita da una nostra melanzana. </em></div><em><div align="justify"><br /></em></div><strong>Salsa d’arachidi</strong><br /><em>Ingredienti<br /></em>400 gr arachidi sgusciate, olio d'arachidi, ½ limone, peperoncino, sale.<br /><em>Preparazione<br /></em>Mettere nel mixer le arachidi sgusciate con un cucchiaio di olio d'arachidi. Azionare fino a che le arachidi siano perfettamente macinate. Aggiungere il succo di mezzo limone ed il peperoncino macinato. Regolare il sale.<br /><em>Note<br /></em>Il Mali è uno dei maggiori produttori mondiali di arachidi; nella sua cucina non potevano quindi<br />mancare preparazioni che utilizzano questo seme sia come ingrediente che come derivato (olio e<br />burro d'arachidi). Questa salsa è utilizzata per condire il To. <div align="justify"><br /><strong>Salsa nera – salsa al gombo fresco</strong><br /><em>Ingredienti<br /></em>Gombo fresco, 1/4kg di carne senza ossa e tritata, un bel pezzo di pesce secco (meglio se pesce<br />cane), un po' di potassa, soumbala (bacche) , sale e peperoncino (facoltativo)<br /><em>Preparazione<br /></em>Tritare o tagliare finemente il gombo fresco, tritare anche la carne senza ossa (oppure pestarla).<br />Mettere sul fuoco una casseruola con almeno 1 litro d'acqua. Aggiungete il gombo tritato e un<br />cucchiaio di potassa e una presa di sale. Lasciate cuocere per circa 30 minuti, poi aggiungere la<br />carne tritata, il pesce secco battuto e un momento dopo i soumbala. Lasciate cuocere a fuoco lento per circa 30 minuti ancora. La salsa è cotta quando i grani del gombo diventano rossi. Servite con del toh e salsa rossa. </div><div align="justify"><br /><strong>Seri - Pappa di riso<br /></strong><em>Ingredienti<br /></em>1/2 kg di riso per 5 persone, acqua, zucchero, latte cagliato (o altro latte in polvere o concentrato<br />zuccherato o concentrato non zuccherato), sale (facoltativo).<br /><em>Preparazione<br /></em>Mettere sul fuoco una casseruola con circa 1 ½ litri d'acqua. Quando inizia a bollire, aggiungete il<br />riso ben lavato e un po' di sale (facoltativo). Lasciate cuocere circa 45 minuti. Il riso sarà cotto ma senza aver assorbito tutta l'acqua di cottura. Versare, alla fine, il riso in una tazza e aggiungere zucchero e latte.<br /><em>Note<br /></em>Questa pappa è molto spesso servita come colazione in molte famiglie e spesso come dolce dopo<br />cena. </div><div align="justify"><br /><strong>Stufato di igname</strong><br /><em>Ingredienti<br /></em>1 kg di carne, 2 igname (tubero), 1 grossa cipolla, ½ litro d'olio, 5 pomodori freschi, pomodoro<br />concentrato, aglio, pepe, sale e lauro.<br /><em>Preparazione<br /></em>Sbucciare gli ignami e tagliarli a cubetti e lasciarli da parte. Scaldare l'olio in una casseruola con un pizzico di sale, i pomodori freschi schiacciati e infine il pomodoro concentrato (un cucchiaio circa). Lasciate cuocere per circa 20 minuti, aggiungete un po' d'acqua, lasciate cuocere ancora un<br />momento. Successivamente aggiungete ancora un po' d'acqua (circa ½ litro). Lasciate cuocere.<br />Ripetete questa operazione fino a che la carne sia ben cotta e alla fine aggiungere circa 1 litro<br />d'acqua. Quando inizia a bollire, versate i cubetti d'igname lavati e coprite la casseruola lasciando<br />cucinare per circa 1 ora. Aggiungete, verso la fine della cottura, l'aglio, il pepe, il lauro… Lo stufato<br />è così pronto.<br /><em>Note<br /></em>Generalmente è un piatto che si serve a cena e in occasione di grandi cerimonie di famiglia:<br />matrimoni, battesimi… </div><div align="justify"><br /><strong>To<br /></strong><em>Ingredienti<br /></em>400 gr di farina di miglio, un litro e mezzo di acqua, sale.<br /><em>Preparazione</em><br />Portare l'acqua a bollore, aggiungere il sale e quindi versare a pioggia la farina mescolandola per<br />evitare la formazione di grumi. Mescolare regolarmente durante la cottura (circa 30 min.).<br /><em>Note<br /></em>Il To è una polenta di miglio piuttosto consistente che viene consumata in tutto il Mali ed anche in altri paesi limitrofi. Viene solitamente servito con una salsa, tipicamente una salsa di arachidi o con altri vegetali. Nei paesi Dogon è accompagnato da una salsa di foglie di baobab. </div>MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-76689051733516513402008-08-25T03:41:00.000-07:002008-08-25T05:08:29.314-07:00Mali - PARCHI ed AREE PROTETTE<div align="justify"><strong>La fauna del territorio<br /></strong>La situazione climatico-ambientale, che contribuisce ad inaridire il Mali, amplia le aree sabbiose esistenti. L’alto incremento percentuale di inaridimento, vicino al 65% del territorio globale, porta lo stesso ad una morfologia assimilabile a quella del deserto.<br />La secchezza dei terreni, è dovuta soprattutto ad alcuni fattori quali, la siccità, il pascolo intensivo, l’erosione data dai costanti venti periodici (es: Harmattan ) ed all’uso continuo di legna da ardere.<br />Anche se sono presenti alcune vaste aree boschive, soprattutto al sud del paese, non si notano sul territorio ampie distese di foreste lussureggianti accompagnate da una fauna diversificata e ricca.<br />Vi sono comunque alcune aree protette, salvaguardate o degne d’attenzione.<br />La cura di queste nicchie naturali, parchi nazionali e riserve faunistiche, è data in gestione al Dipartimento dei Parchi Nazionali (Direction des parcs nationaux).<br />Il Servizio Forestale si occupa della gestione dei territori all'interno del patrimonio forestale, comprese le foreste demaniali. Sia il Servizio Forestale che il Dipartimento dei Parchi Nazionali fanno parte del Dipartimento delle Acque e delle Foreste (Direction générale des eaux et forêts), all'interno del Ministero delle Risorse Naturali e del Bestiame.<br />Di contro invece, la zona sahariana e i suoi habitat godono di limitatissime protezioni.<br />Senza considerare le foreste demaniali, il sistema di aree protette copriva nel 1992 il 3.7% del Paese.<br />Fin dalla dominazione coloniale francese, a tutela di talune aree, furono promulgati decreti e convenzioni che permisero la creazione di parchi e riserve. Il primo parco nazionale istituito fu il Boucle de Baoulé, le successive aree faunistiche che seguirono, furono istituite durante gli anni 50 nel sud del Paese. La convenzione di Ramsar, fu il primo vero trattato intergovernativo con scopo globale, nella sua accezione più moderna, riguardante la conservazione e la gestione degli ecosistemi naturali. Se la confrontiamo con le più moderne convenzioni (vedi ad esempio la Convenzione sulla Diversità Biologica) le indicazioni di Ramsar sono specifiche e spesso di limitato<br />impatto in quanto si riferiscono a siti specifici. La Convenzione di Ramsar nacque dall'esigenza di invertire il processo di trasformazione e distruzione delle Zone Umide che sono gli ambienti primari per la vita degli uccelli acquatici, che devono percorrere particolari rotte migratorie attraverso diversi Stati e Continenti per raggiungere ad ogni stagione i differenti siti di nidificazione, sosta e svernamento. Lo stesso nome del trattato riflette il fatto che l'enfasi originale, compresa l'accezione di uso saggio, doveva essere la conservazione degli uccelli acquatici, ma con il tempo, e con l'aumentare dei trattati internazionali per la conservazione della natura, la Convenzione ha cercato di allargare i suoi obiettivi su tutti gli aspetti riguardanti la<br />conservazione e l'uso sostenibile delle zone umide. Secondo molti, però, la Convenzione non è mai riuscita ad acquisire la forza e le capacità necessarie per coordinare il difficilissimo dibattito internazionale riguardante alcuni aspetti della gestione dell'acqua, per i quali altri movimenti internazionali si sono iniziati. La Convenzione di Ramsar, ad oggi sottoscritta da più di centocinquanta paesi e con oltre 900 Zone Umide individuate nel mondo, rappresenta ancora l'unico trattato internazionale moderno per la tutela delle Zone Umide, sostenendo i principi dello<br />sviluppo sostenibile. </div><div align="justify">Alcune aree protette, tra le più significative:<br />il <strong><em>Parco nazionale dell'ansa del Baulé</em></strong> è una vasta zona protetta di quasi 800.000 ettari, che si estende da Siby a Kita, fino ai dintorni della frontiera mauritana. Comprende diversi ecosistemi: foreste a galleria, palmeti, foreste di bambù, laghi. Nella zona esistono le specie più belle di antilopi africane, sono state reintrodotte delle giraffe, abbondano scimmie e facoceri. La stagione migliore per osservare questa fauna è tra febbraio e giugno. Gli amanti di archeologia troveranno anche qualche sito, di loro gusto, nella riserva.<br />La <strong><em>riserva faunistica di Bafing Makana</em></strong>, creata nel 1990 è forse uno degli ecosistemi tra più particolari nel Mali, in quanto vi presiede un progetto specifico di reintroduzione di specie autoctone estinte da tempo immemore da queste zone. Gli amanti della fauna selvaggia potranno incontrare: leoni, leopardi, lontre, ippopotami, coccodrilli e moltissimi scimpanzé.</div><div align="justify">La <strong><em>riserva faunistica parziale del Gourma</em></strong>, situata intorno a Douentza, è conosciuta per la sua popolazione di elefanti, il cui numero attuale ammont a più di 750. Il loro itinerario è ora ben conosciuto. Per andare a vederli, è consigliabile informarsi prima alla pro loco di Douentza, per sapere esattamente dove trovarli.<br />Rammentando che il MALI è tagliato longitudinalmente dal fiume NIGER, possiamo ben comprendere che la parte preponderante della fauna, che raccoglie innumerevoli specie di origine autoctona o migratoria, è data dall’AVIOFAUNA. Numerose sono le specie di anatidi e di aironi che stazionano sulle rive, rapaci, stigiformi, trampolieri e quant’altro che possano soddisfare interesse e curiosità di qualsiasi birdwatcher. Di seguito, si propone una checklist che elenca quasi tutte le specie di uccelli osservate in Mali ed è basata su aggiornamenti incrociati con le informazioni disponibili da BIRDLIFE International<br /><strong>Ceck AVIOFAUNA</strong>:<br />Pivanello maggiore, pivanello tridattilo, pivanello pancianera, pivanello comune, Combattente, Beccolargo, Labbo codanera, gabbiano testagrigia, gabbianello, sterna zampenere, sterna maggiore, mignattino, sterna comune, sterna dougall, beccapesci, piccione selvatico, parrocchetto dal collare, barbagianni comune, gufo di palude, avvoltoio capovaccaio, topino comune, rondine comune, astrilide, tessitore testanera, martin pescatore, aquila dal cappuccio, dendrocigna, alzavola, codone, mestolone, sgarza ciuffetto, airone comune, airone dorso verde, airone guardabuoi, airone cenerino, airone rosso, airone bianco maggiore, garzetta, mignattaio, spatola bianca, pellicano, falco pescatore, gheppio, falco pellegrino, gallinella, faraona, piviere, pittima<br />reale, pittima minore, voltapietre, piro-piro, chiurlo...............</div><div align="justify">Per quanto riguarda la fauna comprendente <strong><em>grossi mammiferi</em></strong> o <strong><em>grossi rettili</em></strong>,<br />occorre considerare che con un po di fortuna e magari un pizzico d’esperienza, potremo incontrare solamente alcune delle specie indigene, che sopravvivono relegate in determinate zone al di fuori delle aree di conservazione. Si potranno osservare gli Ippopotami di karioumé, i coccodrilli di Gao, gli elefanti del Gourma, qualche raro facocero nella brousse, il lamantino nelle acque di Youvarou (studiato anche dall’acquario di genova), qualche scimmia, soprattutto babbuini, nelle boscaglie ai bordi del fiume o nelle foreste al confine col Burkina, verso sud nei dintorni di Sikassò.<br />Sparsi o addomesticati infine, asini africani e dromedari (selvatici o domestici) contendono il territorio arido ai conigli selvatici ed alle ultime gazzelle. I rarissimi pitoni ormai sono da considerarsi un miraggio, però potrebbe capitare di fare un incontro, non troppo gaio, con un cobra sputatore o una vipera.<br />Nelle aree delimitate (parchi e riserve) invece potremo trovare le specie autoctone, oggi estinte e reintrodotte, quali: Leoni, Leopardi, antilopi, bufali e giraffe.</div><div align="justify">Un paragrafo particolare, anche per gli appassionati di pesca, va dedicato invece all’abbondante <strong><em>Fauna Ittica</em></strong>. </div><div align="justify">Il grande nastro dorato, coi suoi affluenti, è tuttora e lo è sempre stato, l’habitat di numerosi pesci, anche di notevoli dimensioni. Si pensi al Capitaine, un grosso persico carnivoro che può raggiungere il quintale di peso, gustoso piatto base di alcune pietanze ed ingrediente fondamentale per alcune salse, i grossi pesci-gatto, che sono alla base del commercio ittico della popolazione di pescatori Bozo, che raccolti in ceste, debitamente affumicati raggiungono tutti i mercati del terrirorio, i combattivi tiger-fish dai lunghi denti aguzzi, ottimi per zuppe anche se pieni di spine. Grossi siluri e tilapie contendono infine le acque ai minuscoli ti-nani, eccellenti pesciolini che vengono per lo più cucinati in frittura o affumicati al fuoco di paglia.</div>MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-10694006459841085592008-08-24T00:37:00.000-07:002008-08-25T03:38:15.258-07:00Mali - VEGETAZIONE ARBOREA<div align="justify"><em><strong>G</strong></em><em><strong>li alberi...........dentro, intorno e fuori la “Brousse”</strong></em><br /><strong><em></em></strong><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEai8b0g30QNhlb3qrk6qGEITb__eyexM7e921HqvYRCpNkn7HABsHXEn0Z6WS_CzP6_WYP7CeO7pJWbfbsnp8W5ChP-gYVpZjcORss8xBJzgZvmsSQ-JAS3luf0CD7kZKdKDbPAqtC1_6/s1600-h/IMG_1126.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238400233300498530" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" height="172" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEai8b0g30QNhlb3qrk6qGEITb__eyexM7e921HqvYRCpNkn7HABsHXEn0Z6WS_CzP6_WYP7CeO7pJWbfbsnp8W5ChP-gYVpZjcORss8xBJzgZvmsSQ-JAS3luf0CD7kZKdKDbPAqtC1_6/s320/IMG_1126.JPG" width="281" border="0" /></a>Nel Mali, la vegetazione che segue l’andamento morfologico del terreno, si diversifica a seconda della latitudine trasformando il paesaggio a vista d’occhio.<br />Il terreno, dunque, è rivestito da un vasto patrimonio arboreo, diversificato non solo per quantità ma anche per differente numero di specie presenti.<br />Si possono ammirare questi cambiamenti partendo dall’osservazione delle foreste che rivestono le regioni più meridionali, passando alla meravigliosa imponenza dei grandi “patriarchi” che, solitari punteggiano la Brousse fino ad incuriosirsi per gli esili gruppi d’arbusti che arrancano solitari nelle zone pre-sahariane.<br />Importante sapere cos’è la “Brousse”. Il termine, letteralmente, sta a significare “Savana” anche se viene generalmente utilizzato per indicare tutto ciò che è al di fuori di qualsiasi agglomerato urbano. Per meglio comprendere quanto sopra, immaginiamo di fare un viaggio tra le differenti latitudini del paese.<br />L’estremo sud, rastremato da rare piste in rossa laterite, è il regno dei grandi alberi che uniti in grandi distese caratterizzano le foreste. È la patria dei mogani, bombacacee, “piedi d’elefante”, sicomori e manghi.<br />Più si sale verso nord, meno aggregazione ad alto fusto possiamo osservare. Piantagioni e coltivazioni dividono il territorio con alberi di medio o piccolo fusto, quali banani, anacardi ed ancora manghi che competono con alberi di karité, neré e nim.<br />In questo quadro compaiono anche balazan e cassie, con una propria nicchia ecologica che permette loro di trovare la giusta collocazione.<br />Continuando in direzione nord, si entra nella brousse arbustiva, dove constateremo una maggior diradazione di campi coltivati. Qui, la morfologia del territorio permette la sopravvivenza di grossi ed isolati alberi, i quali vegetano contendendosi la falda freatica. Borassi, palme dum, baobab, acacie e tamarindi.<br />Salendo ancora di latitudine, entriamo nella brousse tigrata, che prende il nome dalla caratteristica vegetazione, poiché presenta tratti di terreno spoglio che si alternano con striscie di vegetazione. Gli arbusti quì imperversano con il dattero selvatico ed il cram-cram, una graminacea che produce bacche spinose.<br />Le aree desertiche sono punteggiate da forme scheletriche con chiome crespe e ruvide, che arrancano nel terreno ormai prossimo ad avere peculiarità non dissimili a quelle della rena. Alcune di esse difendono la loro esistenza con caratteristiche che le assoggettano alla categoria di piante velenose. A tal proposito basterebbe ricordare il lattice tossico delle calotropis. Le piccole acacie spinose invece annunciano il nostro arrivo alle porte del deserto vero e proprio.<br />A seguire, verranno illustrate alcune delle più significative specie vegetali che sono presenti in Mali.<br /><strong>ACACIA SEYAL<em> </em></strong><em>in Bambara: sadee o zayee<br /></em><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqc21ImTDJfA3-1uHTeKTr1D554sqlGn2lO1IRQlyWH76qXsHogvzmyEgeWfPpE8a_ewQ0yYBXl3jKwDJv4AE92FCdeOXSrUl_hiclyBEFgD3fF9MY37iT9ndmzuefvbLkFSPN2GC5XffG/s1600-h/acacia+seyal+1.bmp"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238393694052492082" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqc21ImTDJfA3-1uHTeKTr1D554sqlGn2lO1IRQlyWH76qXsHogvzmyEgeWfPpE8a_ewQ0yYBXl3jKwDJv4AE92FCdeOXSrUl_hiclyBEFgD3fF9MY37iT9ndmzuefvbLkFSPN2GC5XffG/s320/acacia+seyal+1.bmp" border="0" /></a>Appartenente alla famiglia delle mimosacee, raggiunge un’altezza considerevole per la sua specie, oltre i 15 metri. La chioma presenta foglie minute di un verde intenso che affiancano grosse spine di circa 6-7 centimetri di lunghezza. I fiori, che si presentano come sfere di un bel colore giallo ed i baccelli arcuati, adornano le terminazioni della pianta. Il tronco invece ha una caratteristica tonalità verdastra o color bruno ruggine. La piccola quantità di gomma che viene ricavata da quest’albero viene usata solamente come afrodisiaco. La chioma costituisce un buon foraggio per gli animali. Le radici e la <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwyTrE-NJs6F61t8xYyzgHd4g68uET1wi2aLpjlFbN9rKI5NUoWUeAk7L1kMloSWfRyGFsv7oVIEfkjyxtVQG78Vb232pGBpUDiK6HPaO1XUbK1IWxwJ3gCKmyA54wC8IN_AjhEh_QX8hu/s1600-h/acacia+seyal.bmp"></a>corteccia, in decotti, vengono somministrate contro dissenteria, sifilide, lebbra. La concentrazione del liquido ottenuto dalla decantazione delle radici e della corteccia, unito al burro liquido, viene invece utilizzato per curare cefalee.<br /><strong>ACACIA ALBIDA - BALANZAN</strong><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkx-fRSaXrctHE5MR-Twr4UbScbQS6ZwXytm1Xn-Ob3_TkQDogMYphuM2m4K5xj9PW7sET6eGD9mmchZXIWKkXaJuDreBJTjpD17RjJlO4zF4STT_ZQpBxiN6ZNyuMGPmizR8YaREvM-M8/s1600-h/balanzan.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238394295878125058" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkx-fRSaXrctHE5MR-Twr4UbScbQS6ZwXytm1Xn-Ob3_TkQDogMYphuM2m4K5xj9PW7sET6eGD9mmchZXIWKkXaJuDreBJTjpD17RjJlO4zF4STT_ZQpBxiN6ZNyuMGPmizR8YaREvM-M8/s320/balanzan.jpg" border="0" /></a>Specie nativa dell'Africa e del Medio Oriente, solo in seguito diffusasi in Asia fino a India e Pakistan. E’ un albero spinoso che Può raggiungere i 30 m di altezza e i 2 m di diametro del tronco. Ha radici che possono penetrare nel suolo fino a grandi profondità, grazie alle quali riesce a sopravvivere a periodi di siccità; vive in aree con precipitazioni comprese fra i 250 e i 600 mm. Nel Sahel. svolgendo un ruolo determinante per l'apicoltura, perché i suoi fiori sbocciano all'inizio della stagione delle piogge, quando la maggior parte delle altre piante locali non sono fiorite. In molti luoghi i frutti sono usati come foraggio per il bestiame, e in Nigeria sono il principale nutrimento dei dromedari. Il legno è un buon combustibile, e viene usato anche per costruire canoe e pestelli. La corteccia o suoi estratti hanno anche applicazioni mediche, in particolare nella cura delle infezioni del tratto respiratorio, della malaria, della febbre e del mal di denti. Un estratto della corteccia serve anche per trattare le infezioni oftalmiche degli animali da allevamento. è la pianta ufficiale della città di Segou, nel Mali. Il nome balanzan deriva dalla lingua autoctona di etnia bambara. Secondo una leggenda locale, a Segou ci sono 4.445 alberi di balanzan, uno dei quali è il misterioso "albero mancante", che nessuno sa dove si trovi.<br /><strong>ADANSONIA DIGITATA – BAOBAB</strong><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh54WTPzUf6-BzifijqLyOHsM0UUjtfURaEeup_USLKNpDynauFwnAbg-u2fpf6tuG0IIeR19behaRmODm1v8wz9sMqDP0iGiK5i67rf00WRcEdTRU5kOpO3pExIJTHrsA4t24KDvzRi3oE/s1600-h/IMG_1596.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238394740450413618" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 154px; CURSOR: hand; HEIGHT: 225px" height="254" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh54WTPzUf6-BzifijqLyOHsM0UUjtfURaEeup_USLKNpDynauFwnAbg-u2fpf6tuG0IIeR19behaRmODm1v8wz9sMqDP0iGiK5i67rf00WRcEdTRU5kOpO3pExIJTHrsA4t24KDvzRi3oE/s320/IMG_1596.JPG" width="136" border="0" /></a>Pianta della famiglia delle Bombacacee, diffusa in gran parte dell'Africa, il baobab africano è leggendario per l'eccezionale longevità e le dimensioni impressionanti che il tronco, può raggiungere dimensioni ragguardevoli, addirittura più di 10m di diametro. L’origine del nome ha diverse paternità. La derivazione senegalese di "baobab", significherebbe "albero dai mille anni” o dall’arabo che starebbe a significare "frutto dai molti grani". Il nome scientifico deriva invece da Michel Adanson, naturalista ed esploratore. Sono alberi caducifogli con grandi tronchi, che raggiungono altezze tra i 5 e i 25 m (eccezionalmente 30 m). Sono famosi per la loro capacità d'immagazzinamento d'acqua all'interno del tronco, che riesce a contenere fino 120.000 litri d'acqua per resistere alle dure condizioni di siccità di alcune regioni. La chioma si riempie, per pochi mesi all'anno, di foglie composte palmate. Temporalmente molto limitata, la fioritura esibisce grandi fiori molto odorosi, che si schiudono la notte. Questi fiori, producono frutti ovoidali con un pericarpo commestibile e un grosso seme reniforme. L’impollinazione è legata all’azione di diverse specie animali e prevalentemente mediata da alcune specie di pipistrelli. Le foglie sono usate come vegetale commestibile in tutte le aree di distribuzione del continente africano e sono mangiate sia fresche che sotto forma di polvere secca. La polpa secca del frutto, dopo la separazione tra i semi e le fibre, viene direttamente mangiata o mescolata nel riso o nel latte. I semi sono usati principalmente come addensante per le zuppe, ma possono anche essere fermentati in condimenti, arrostiti per un consumo diretto, o tritati per estrarre olio vegetale.<br /><strong>ADENIUM OBESUM - PIEDE D’ELEFANTE</strong><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFXft9U6dFp-_pS4qs72QYOGzz_6v72j67H7b3hyphenhyphen_q2j2c_hB8G6LHaMzQ1EE8hbuYIgLPZ1TTKsilIPnvQJhN_UZQczU34lyPAI23E7xkv3XBrkbGthfn_n65-cjv0D1lB2lG4JngloQm/s1600-h/piede+d"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238395031269085266" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 183px; CURSOR: hand; HEIGHT: 258px" height="291" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFXft9U6dFp-_pS4qs72QYOGzz_6v72j67H7b3hyphenhyphen_q2j2c_hB8G6LHaMzQ1EE8hbuYIgLPZ1TTKsilIPnvQJhN_UZQczU34lyPAI23E7xkv3XBrkbGthfn_n65-cjv0D1lB2lG4JngloQm/s320/piede+d%27elefante.jpg" width="199" border="0" /></a>Con un arbusto non molto alto, al massimo 4 metri, la sua forma panciuta lo fa assomigliare ad un piccolo baobab. Raggiunge però un metro circa di diametro alla base. Mentre la chioma e rigogliosa di foglie durante la stagione delle piogge, la fioritura avviene nella stagione secca. Questa pianta è anche conosciuta come “rosa del deserto” per la forma ed il colore intenso dei<br />petali dei suoi fiori, che donano una tonalità rosata alla brousse.<br />I frutti sono baccelli allungati che contengono migliaia di microscopici semi. La scorza presenta una superficie liscia e gonfia. Dalle ferite della pianta sgorga un liquido biancastro e trasparente, nocivo per gli occhi. avendo un contenuto tossico cardiaco, in alcune “regioni” viene utilizzato per avvelenare frecce o preparare esche per iene e sciacalli. Le radici, ridotte in poltiglia, servono come veleno per catturare i pesci. Trattato, in medicina, rileva la sua utilità nella cura di ulcere, dermatosi e carie dentali<br /><strong>ANACARDIUM OCCIDENTALE - ANACARDIO </strong><em>In Bambara: somo</em><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiago98OmmJeRM2Gl3biP50k81nQMJ3YJYOCMcjs8K8wnwLk75vp2kCLOsVS-JlsAqE-4Dc5AVdDYh_kSJVFEV7JV3-DaWPrE4Ri9MgRtH8wKBt_9tXJFBG1F9AGTWrS2CNqUxEPZTt9t6E/s1600-h/anacardio%20frutto.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238395390102965970" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 314px; CURSOR: hand; HEIGHT: 231px" height="241" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiago98OmmJeRM2Gl3biP50k81nQMJ3YJYOCMcjs8K8wnwLk75vp2kCLOsVS-JlsAqE-4Dc5AVdDYh_kSJVFEV7JV3-DaWPrE4Ri9MgRtH8wKBt_9tXJFBG1F9AGTWrS2CNqUxEPZTt9t6E/s320/anacardio%2520frutto.jpg" width="314" border="0" /></a>L'Anacardio e' un albero da frutta tropicale, originario dell’Amazzonia, in Brasile.<br />Venne introdotto in Africa dai Portoghesi nel XVI secolo, ed oggi, con l’India, l'Africa risulterebbe una delle maggiori produttrici ed esportatrici di mandorle commestibili.<br />Appartiene alla Famiglia delle Anacardiacee, e ha una caratteristica forma di fruttificazione.<br />Infatti l'anacardio fornisce ad un tempo due tipi di frutti intimamente uniti: uno fresco, la "mela d'anacardio" e uno secco, la "mandorla o nocciola d'anacardio".<br />La mela d'anacardio e', botanicamente, un falso frutto in quanto è il risultato di una ipertrofia del peduncolo floreale che arriva a raggiungere le dimensioni di una mela più o meno piriforme.<br />Si presenta con superficie liscia, sottile e fragile, di colore dal giallo al rosso vivo, e con una massa polposa ma fibrosa dal gusto dolce e lievemente asprigno e rinfrescante. La "mandorla o nocciola d'anacardio" (il vero frutto) e' una noce reniforme provvista di un duro pericarpo, contenente un seme oleoso e commestibile.<br />Nei paesi produttori, invece del seme se ne mangia il frutto (falso frutto). Durante il periodo<br />stagionale della produzione, che in Africa corrisponde al periodo primaverile, dal frutto, si estrae un succo che viene bevuto dopo essere stato leggermente fermentato. La pianta dell'anacardio riveste un notevolissimo interesse economico per i molteplici usi, oltre a quello alimentare, che si fanno di ogni sua parte: dal guscio si estrae un inchiostro indelebile, il succo ha un potere antitermiti molto apprezzato, dal frutto si ricavano alcool e aceto e, previa pressione, un olio pregiato. Il succo, di colore nerastro, è resinoso ed estremamente caustico, e viene usato in medicina. Il seme contiene un olio irritante che deve essere eliminato con il calore prima che il seme possa essere estratto con molta cura per evitare di contaminarlo. Trasformare gli anacardi in noce commestibile é una procedura complicata e richiede molta mano d’opera. Solo il 10% della produzione grezza passa indenne attraverso le varie fasi della trasformazione e confezionamento. Questo spiega il prezzo elevatissimo degli anacardi sul mercato europeo. L'anacardio in guscio viene tostato in modo da prepararlo alla rottura del guscio stesso, fatta per lo più a mano. Il frutto viene nuovamente scottato per facilitare la rimozione della leggera pellicola scura che lo ricopre. L'anacardio è un frutto che tende a irrancidire molto facilmente per cui, per ben conservarlo, occorre limitare il contatto con l'aria.<br /><strong>AZADIRACHTA INDICA – NIM<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj19y00BvvuRhD-RjUqeg70IwuNA3FeKDUKAZs_TEe5IY3EWVQ16XxuIVfMTYFeMDd_Murh38wcldObCk5Xn30BmmSiMBakadxqBZbVFQyBlDow_0uloUUG8RNeqE5j17XEA88uM5uZ9dEq/s1600-h/nim.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238395664409420194" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj19y00BvvuRhD-RjUqeg70IwuNA3FeKDUKAZs_TEe5IY3EWVQ16XxuIVfMTYFeMDd_Murh38wcldObCk5Xn30BmmSiMBakadxqBZbVFQyBlDow_0uloUUG8RNeqE5j17XEA88uM5uZ9dEq/s320/nim.jpg" border="0" /></a>Albero della famiglia delle Meliaceae, originario dell’india, venne introdotto nell'Africa occidentale ai primi del XX secolo per fornire ombra e impedire al deserto del Sahara di estendersi a sud. Presenta numerose proprietà medicamentose tanto che in alcuni luoghi viene chiamato "la farmacia del villaggio". Per secoli si è ricorso a questa pianta per curare dolore, febbre e infezioni. Esiste una credenza che attribuisce a questa pianta un “potere” depurativo per il sangue, per cui, in alcuni casi qualche foglia viene talvolta consumata. Inoltre si puliscono i denti con i suoi rametti, si curano i disturbi della pelle con il succo ricavato dalle foglie e se ne beve l'infuso come tonico.<br />Il nim, presente nelle regioni tropicali, appartiene alla famiglia del mogano. Raggiunge 30 metri di altezza e circa 2,5 metri di circonferenza. Dato che di rado perde le foglie, la sua chioma fornisce ombra tutto l'anno. Cresce in fretta, richiede poche cure e sopravvive bene nei terreni poveri. Oltre a provvedere ombra tutto l'anno nei paesi in cui fa molto caldo, questo albero può fornire legna da ardere. Per di più, il suo legno inattaccabile dalle termiti è utilizzato nell'edilizia e in falegnameria. Quindi, anche solo a giudicare dalla sua utilità come albero, il nim ha parecchi pregi. Si dice che le sue foglie allontanino gli insetti molesti; Nel 1959 un entomologo tedesco e i suoi allievi, dopo avere assistito nel Sudan a un'impressionante piaga di locuste durante la quale miliardi di esse divorarono le foglie di tutti gli alberi tranne quelle del nim, si misero a studiare questa pianta con grande impegno. Gli scienziati hanno appreso da allora che il complicato arsenale chimico del nim è efficace contro oltre 200 specie di insetti come pure contro vari acari, nematodi, funghi, batteri e perfino diversi virus. I ricercatori hanno fatto un esperimento, mettendo in un contenitore foglie di soia insieme a coleotteri giapponesi (Popillia japonica). Metà di ciascuna foglia era stata irrorata con estratto di nim. I coleotteri hanno divorato la metà non<br />irrorata di ogni foglia ma non hanno toccato le parti trattate. Sono morti di fame piuttosto che<br />mangiare anche piccole parti delle foglie trattate. E’ un pesticida poco costoso, non tossico e di<br />facile preparazione in alternativa a quelli sintetici. Con 80 grammi di semi per ogni litro d'acqua,<br />tenuti a bagno per 12 ore, successivamente pestati e scolati si ottiene un composto liquido utile ad irrorate le colture. I prodotti ricavati da questa pianta non uccidono direttamente la maggioranza degli insetti. Questi spray alterano i processi vitali dell'insetto, che alla fine non riesce più a nutrirsi, riprodursi o fare la metamorfosi. Ma anche se i prodotti ricavati dal nim sono efficaci contro gli insetti, non sembra che siano nocivi per gli uccelli, gli animali a sangue caldo e gli esseri umani. Il nim può essere utile alle persone anche in altri modi. I semi e le foglie contengono dei composti che hanno rivelato proprietà antisettiche, antivirali e fungicide. Secondo alcuni, potrebbe essere efficace contro le infiammazioni, l'ipertensione e le ulcere. Si dice che medicinali ricavati da estratti del nim combattano il diabete e la malaria. Una sostanza ricavata da questa pianta, detta salannina, è un forte repellente per certi insetti che pungono. È in commercio un insettifugo contro mosche e zanzare ricavato dall'olio di nim. Utile per l'igiene della bocca, un rametto di nim, con l’estremità masticata, per ammorbidirla, funge da presidio medico orale strofinato su denti e gengive. Le ricerche indicano che ciò è utile perché le sostanze contenute nella corteccia hanno un forte potere antisettico.<br /><strong>BALANITES AEGYPTIACA - DATTERO SELVATICO </strong><em>In Bambara: seguene o zegene - In tamachek: taborak<br /></em><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIdXDEty5sYGjb2wYFfFxlHJHm-Wv4TJWoJnA4WEnxz80PlfYy0yWc1VoJHiY8iyqnF0R1TtgFgZqsUquxQklYleLsnTdFRlOpuokMQt9YJ4ur5g3OV0hqPut0cry8llwEYHqiQ6agJk3g/s1600-h/BalanitesFruit.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238396083411940594" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIdXDEty5sYGjb2wYFfFxlHJHm-Wv4TJWoJnA4WEnxz80PlfYy0yWc1VoJHiY8iyqnF0R1TtgFgZqsUquxQklYleLsnTdFRlOpuokMQt9YJ4ur5g3OV0hqPut0cry8llwEYHqiQ6agJk3g/s320/BalanitesFruit.jpg" border="0" /></a>Con caratteristiche simili a quelle dell’acacia spinosa, ha una taglia medio piccola che porta le sue dimensioni massime a circa 6 metri d’altezza. Ha foglie piccole di forma lanceolata ed enormi spine di color verde intenso che raggiungono anche una decina di centimetri. Non ha esigenze<br />particolari e vegeta tranquillamente in terreni sabbiosi. Con fiori piccoli ed insignificanti, questa pianta fruttifica a grappoli una sorta di dattero dalle dimensioni di un’oliva. Sotto la scorza secca, una polpa collosa dal gusto dolce amaro (ricorda il rabarbaro) avvolge il seme. Questo frutto, oltre ad essere energetico, visto che contiene il 40% di zuccheri, è anche leggermente lassativo. I noccioli commestibili vengono per lo più pestati nei mortai e trasformati in sapone. Coi frutti si ricava una prodotto utile nella lotta contro le mosche (vettori del verme di Guinea) mentre le radici regalano un detergente ed un lenitivo contro le coliche. Dalla scorza infine, si ottengono rimedi contro mal di denti, vermi intestinali, epilessia, malattie mentali, febbre gialla, sterilità e sifilide.<br /><strong>BORASSUS AETHIOPUM – BORASSO </strong><em>In Bambara: sebe - In Peulh: akot o dubé<br /></em><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiX6VtSLf29Xxv5NnJPxAVjkn-Z3zwG3sdC6VpHliZ9vRW9lbVRKctwlAZso3-mwHbloHxreBsEdzzfYVFUuosrFp92D9UNEO34Rt9B3hREpd84AHCSHw6JvSW9GYbf68Gx7PIIDNNkMi0G/s1600-h/DSCN3322.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238396413855664242" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiX6VtSLf29Xxv5NnJPxAVjkn-Z3zwG3sdC6VpHliZ9vRW9lbVRKctwlAZso3-mwHbloHxreBsEdzzfYVFUuosrFp92D9UNEO34Rt9B3hREpd84AHCSHw6JvSW9GYbf68Gx7PIIDNNkMi0G/s320/DSCN3322.JPG" border="0" /></a>È una pianta appartenente alla famiglia delle Palme che cresce in tutta l’Africa tropicale.<br />È molto alta e può raggiungere 25/30 metri. il tronco può arrivare ad un diametro di 60 centimetri e la Corteccia ha un colore grigio verde. Le foglie, molto tipiche, sono lunghe e flabelliformi. Negli esemplari di sesso maschile, le stesse, caratterizzate da infiorescenze ramificate, possono raggiungere la lunghezza di quasi 4 metri. le piante femmina le hanno corte e non ramificate. I frutti si presentano in grandi grappoli di noci sferiche arancio/brune. Un intero grappolo può pesare da 25 a 30 chili. La polpa dei frutti è biancastra, molto oleosa e succosa. Contiene grandi semi brunastri. Tutte le parti di questo albero sono utilizzate. I giovani germogli della pianta sono un ottimo legume. Dalla linfa si estrae zucchero che viene trasformato in una bevanda alcolica molto apprezzata. La polpa oleosa del frutto ed i semi ricchi di amido, sono alimenti molto utilizzati nella cucina. I frutti contengono un liquido dolce che viene bevuto come latte. I noccioli e la scorza dei semi servono per fabbricare oggetti di artigianato. Con le foglie, si intrecciano stuoie, cesti e molti tipi di corda. Con le parti fibrose della pianta si confezionano reti e si fabbricano mobili, recinzioni e scope. Il legname che si ricava dalla pianta, è utilizzato nella costruzione di abitazioni o palizzate. Viene venduto a prezzo elevato, soprattutto quando è trasformato in travi per la copertura dei tetti. Molte sono le utilizzazioni medicinali: il decotto di radici è una bevanda rinfrescante per i neonati. La polvere dei fiori delle piante maschio, mescolata a burro di karitè, guarisce le irritazioni della pelle. Alcune altre parti della pianta vengono usate contro il mal di gola e la bronchite.<br /><strong>BUTYROSPERMUM PARKII - KARITE’ </strong><em>In Bambara: si<br /></em><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpbv9ZRDt0XtZ1mTJF45P_ddDMZVY1d9OXLBDZqenXZ_Z1fTBINe5g73nBULm5l7IArhAVrievFtSD-2RKZ1xbomd_hiJAJi812E4Te7abazJiOzRjYnIbqLdxGh3ou5XETNS49-clXVE-/s1600-h/IMG_0540.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238396732152744434" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpbv9ZRDt0XtZ1mTJF45P_ddDMZVY1d9OXLBDZqenXZ_Z1fTBINe5g73nBULm5l7IArhAVrievFtSD-2RKZ1xbomd_hiJAJi812E4Te7abazJiOzRjYnIbqLdxGh3ou5XETNS49-clXVE-/s320/IMG_0540.JPG" border="0" /></a>Molto diffuso nella savana di tutto il Sahel Occidentale e nell’Africa centrale, il suo Habitat comprende una vasta zona che si estende tra il Sudan a Est e il Senegal e l'area del Gambia a Ovest. È un albero che raggiunge l’altezza di una ventina di metri al massimo e raramente raggiunge i 25 metri. Ha una forma un po’ grossolana ed una chioma emisferica molto ramificata, con rami tozzi e muniti anch’essi di una spessa corteccia, portano in grossi ciuffi le foglie, che hanno un picciolo lungo 5-15 cm e sono di forma allungata. La sua corteccia lo protegge efficacemente dai fuochi della savana., poichè ha una consistenza spessa, sugherosa. Il tronco presenta con molte fenditure che creano delle placche rettangolari. Le foglie, raggruppate a ciuffi, hanno un picciolo lungo 5-15 cm e sono di forma allungata. Nella giovinezza sono pubescenti e di color rosso ruggine; in seguito diventano glabre, coriacee e lucide, di color verde scuro, lunghe 12-25 cm e larghe 4-7 cm, con i margini ondulati. I fiori sono verde-giallastri, molto profumati e sono portati a ciuffi di 30-40 alle estremità di rami che sono per lo più già privi di foglie. Il periodo della fioritura va da dicembre a marzo. I frutti sono bacche ellittiche di color verdegiallo,<br />di 5-8 cm di lunghezza e 3-4 cm di larghezza, circondate da un pericarpo spesso 4-8 mm, molto carnose, zuccherate e viscose. In genere contengono un solo seme (a volte due), ovale, arrotondato, rosso scuro, lungo 2,5-4 cm, munito di un guscio lucente, fragile, spesso 1 mm.<br />L'estrazione del Burro di Karité avviene ancora, nel luogo di origine, con un processo artigianale.<br />Dopo la selezione dei semi e la loro frantumazione si ottiene un prodotto di colore variabile dal<br />verde chiaro al giallino, di odore gradevole e di sapore quasi dolce, che può essere impiegato puro, oppure si può usare come base di molti prodotti cosmetici. Il Burro di Karité ha un’utilizzazione importante nell’industria cosmetica, viene usato a scopo alimentare e può essere impiegato in usi medicinali, da solo o in combinazione con altre piante. Viene utilizzano ad esempio come balsamo per massaggi contro i reumatismi, gli indolenzimenti, le bruciature, gli eritemi solari, le ulcerazioni e le irritazioni della pelle. Le donne lo impiegano come protettivo contro l'azione del sole. La buccia e la polpa del frutto sono mangiate tal quali o cucinate secondo antiche ricette; il grasso contenuto nel seme, cioè il Burro di Karité, viene usato come condimento, simile al nostro burro, ma anche come prodotto cosmetico per la pelle e per i capelli. I residui delle lavorazioni si utilizzano come mangime per il bestiame; il grasso serve anche per fare candele, per ricavarne detergenti simili al nostro sapone o per ottenere olio combustibile. Il lattice delle foglie, della scorza e del midollo del tronco serve come colla e come base resinosa per il chewing-gum. Il legno, che è molto duro e pesante, viene utilizzato per costruzioni, per oggetti di cucina e artigianali.<br /><strong>LEGUMINOSAE-CAESALPINIOIDEAE - CASSIA</strong> <em>In Bambara: sinia</em><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8XuGCDNVrG1TB5903alo7UVt7EEDJiAPOI2D9CShnNK-UnVcsMPa_LlYjf1wsIHai7E_HEBqBiE8AiZa_2gL_elG1JvTUj9zd2AKh4BeIjQSzTNbKo2KukDXFfJmFgRrBHWDmcFhbU7kp/s1600-h/cassia1.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238396992524601938" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8XuGCDNVrG1TB5903alo7UVt7EEDJiAPOI2D9CShnNK-UnVcsMPa_LlYjf1wsIHai7E_HEBqBiE8AiZa_2gL_elG1JvTUj9zd2AKh4BeIjQSzTNbKo2KukDXFfJmFgRrBHWDmcFhbU7kp/s320/cassia1.jpg" border="0" /></a>Questa pianta, come per l’Acacia Seyal, presenta, nel periodo delle infiorescenze, delle bellissime macchie gialle sulla chioma. I suoi fiori però, scendendo a grappoli che raggiungono oltre i 40 centimetri di lunghezza. La fioritura avviene a rami completamente spogli dalle foglie. I frutti invece sono cilindrici ed allungati. La cima della pianta raggiunge i 10 metri d’altezza col suo fusto di un bel legno rosso chiaro, la cui durezza lo rende utile per la costruzione di utensili, di contro è ritenuto poco indicato per i fuochi, in quanto sprigiona molto fumo. Le proprietà terapeutiche della corteccia, ricca di tannino, fan si che questo vegetale sia utilizzato per curare dolori addominali ed itterizia, come lassativo e vermifugo. Il composto dato da una soluzione di miele ed una sospensione di radici macerate, è ritenuto utile contro la bilharziosi<br /><strong>DIOSPYROS MESPILIFORMIS - EBANO </strong><em>In Bambara: sunzun - In Peulh: ganadje</em><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPonM8kGn76uZKe596gZzNKCrhFxzTA9Yz8MwO8W1SWVe_4lJcO0KeDlJYvTEViX-biOlvTkmPKRS74BG-KR2UlK3FzGmpr3XLrmeb3yKxCyKL67HPywa47bpSAxfOzRLE-zZje88ENzH_/s1600-h/ebano1.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238397210469670770" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPonM8kGn76uZKe596gZzNKCrhFxzTA9Yz8MwO8W1SWVe_4lJcO0KeDlJYvTEViX-biOlvTkmPKRS74BG-KR2UlK3FzGmpr3XLrmeb3yKxCyKL67HPywa47bpSAxfOzRLE-zZje88ENzH_/s320/ebano1.jpg" border="0" /></a>Classificato nel genere Diospyros della famiglia delle ebenacee, è un sempreverde d’altezza che varia dai 13 ai 16 metri. Si tratta di un albero particolarmente alto, caratterizzato da foglie semplici ovate, disposte in modo alterno lungo i rami. La fioritura, che avviene nei mesi di aprile e maggio, presenta piccole “pannocchie” di fiori maschili con dimensioni che non superano un paio di centimetri. I frutti, che maturano tra ottobre e febbraio, assomigliano a prugne di color ocra di tre centimetri di diametro, sono commestibili e presentano al palato un sapore zuccherato e leggermente acidulo. Il legno di ebano è proverbialmente duro e scuro, caratterizzato da una grana finissima, che lo rende molto pesante. Il suo colore, nero nelle varietà più pregiate, si deve alla deposizione di tannini. La cosa curiosa è che, appena abbattuto, il tronco è chiaro con sfumature giallastre e diventa nero solo dopo una lunga esposizione all’aria.<br />Assai noto e ritenuto molto pregiato fin da tempi antichissimi, è stato da sempre impiegato per<br />sculture e lavori di intaglio. Alcune parti dell’albero sono ritenute interessanti nella cura di nevralgie, mal di denti e diarree. Il decotto delle sue foglie invece produce un infuso utilizzato<br />contro gli stati febbrili. Parti di radici e corteccia vengono impiegate contro la lebbra, malaria e<br />sifilide.<br /><strong>DELONIX REGIA - FLAMBOYANT<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggjBESf205EyGEZirFHpTSpg0tdBCMoMeY4iNmyZtvS_SQ2w2kIgaU1L2e6pQmYf3FSm2jPUHwcAjz5olxVpzYmJa1zs4fTxzkfuP6iO9-losDgDA6LsRQdvp2I2x1bhLKACegQQWAajD1/s1600-h/flamboyant2.bmp"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238397671048515074" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggjBESf205EyGEZirFHpTSpg0tdBCMoMeY4iNmyZtvS_SQ2w2kIgaU1L2e6pQmYf3FSm2jPUHwcAjz5olxVpzYmJa1zs4fTxzkfuP6iO9-losDgDA6LsRQdvp2I2x1bhLKACegQQWAajD1/s320/flamboyant2.bmp" border="0" /></a>È un albero maestoso che può superare i quindici metri di altezza, con rami allargati portanti foglie bipennate ed una abbondante e spettacolare fioritura, con fiori che raggiungono il diametro di 15 centimetri ed hanno una colorazione di un’intensa tonalità rossoarancio.<br />Il frutto è un baccello bruno, lungo fino a 50 centimetri, contenente alcuni semi oblunghi, scuri e striati sui bordi, che lontanamente ricordano i semi dei girasoli, con germinabilità medio bassa. Si riproduce anche per talea. Nelle zone temperate questa pianta è coltivata per ornamento dei giardini o nelle alberate stradali.<br />'Flamboyant' è una parola francese che significa "fiammeggiante", per l'aspetto alla fioritura. 'Albero di fuoco', analogamente è in relazione alla pianta in fiore. Delonix è un termine derivato dal greco e letteralmente si traduce con "unghia all'ingiù" con riferimento all'aspetto dei petali; regia sottolinea il portamento imponente della specie.<br /><strong>FICUS GNAPHALOCARPA - SICOMORO</strong><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvqyyY5QwgmNNkBKHW3cR3ImfRwtSvqI5nsusgEb6a0ddUzToEokUuG7FD2600WaACcki1RASGUeNkkpwg5c4VkA58fWRen1rHGd65cNDh4LPEhaKU6gcWCpkDah6M_SPun13q_EESIAAz/s1600-h/sicomoro1.jpg"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVbc74pNTk16ZawfrOY8Y0A2jh0WLl4VNqYgehD-ZmwIkXvb8oYi9YIT5UbZhl0yAN6qsZxsV3hnOhNIS5Yq805s-_xUA7eAOv1J-ncXi-RCfCmH2TmRJ-lOfyJRZ7Vbq-ubDOzdpZuNtv/s1600-h/sicomoro.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238398400833354226" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVbc74pNTk16ZawfrOY8Y0A2jh0WLl4VNqYgehD-ZmwIkXvb8oYi9YIT5UbZhl0yAN6qsZxsV3hnOhNIS5Yq805s-_xUA7eAOv1J-ncXi-RCfCmH2TmRJ-lOfyJRZ7Vbq-ubDOzdpZuNtv/s320/sicomoro.jpg" border="0" /></a>Si tratta di un albero d’alto fusto sempreverde, molto comune in Medio Oriente e in alcune regioni dell’Africa tropicale e del Sudafrica. Generalmente predilige le zone paludose, le rive dei fiumi e le regioni di pianura soggette ad allagamenti temporanei; è comunque ben adattato anche alla savana. Alto generalmente 10-25 m, sebbene siano noti esemplari di oltre 45 m, il sicomoro ha una chioma ampia e tondeggiante e il fusto rivestito da una corteccia tipicamente “butterata”, di colore giallastro. Le ampie foglie hanno forma ovale, colore verde scuro e consistenza coriacea. I minuscoli fiori sono di colore verde. I frutti, inizialmente gialli e rossi a maturità raggiunta, sono siconi commestibili e si sviluppano sui rami in densi grappoli; possono raggiungere i 5 cm di diametro. il sicomoro (il cui nome deriva dal greco e significa “gelso che produce fichi”) costituisce una notevole risorsa per la fauna e per le popolazioni locali. I frutti, così come le foglie, possiedono un notevole valore nutritivo e possono anche essere essiccati e conservati. Ricercati da uccelli e mammiferi, vengono raccolti dall’uomo per la propria alimentazione e come cibo per il bestiame. Le foglie sono usate per il trattamento dell’ittero e del veleno di serpente; il latice che si ricava incidendo la corteccia è un rimedio contro la dissenteria e la tigna, la tosse e le infezioni della gola. L’albero ha un ruolo importante per il miglioramento della qualità del suolo e per il suo consolidamento; impiegato già nell’antico Egitto come pianta da ombra e da legno (ad esempio, per la realizzazione di sarcofagi), è un ottimo sito di nidificazione per gli uccelli e un rifugio per altre specie animali. Il suo legno, di colore chiaro, si lavora con facilità. L’albero, infine, ha una funzione cerimoniale nei rituali di diverse tribù africane.<br /><strong>HYPHAENE THEBAICA - PALMA DUM </strong><em>In Bambara: kolo kotole - In Peulh: djelehi</em><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4JQySLGRkC44Dqp6o2QCV2Sj_1Rhyphenhyphen5oWicRbQeZYYy6b1-CBqjoMJE9RgqrdVyxyoWD_82yu5O0PGJwrnbQjpOmWoXWLsciHCb_nKfurPcg74dWLpI7-p0xECo9W3U6DQaJnwJLg3TpE-/s1600-h/DSCN4980.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238399631204051810" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4JQySLGRkC44Dqp6o2QCV2Sj_1Rhyphenhyphen5oWicRbQeZYYy6b1-CBqjoMJE9RgqrdVyxyoWD_82yu5O0PGJwrnbQjpOmWoXWLsciHCb_nKfurPcg74dWLpI7-p0xECo9W3U6DQaJnwJLg3TpE-/s320/DSCN4980.JPG" border="0" /></a>L’unica palma che ramifica formando delle ipsilon. Le foglie a forma di ventaglio con un rostro terminale seghettato, lunghe 80 centimetri, svettano da una ventina di metri d’altezza. Stuoie, corde, scope, cesti e perfino tessuti grossolani sono i prodotti che si fabbricano con l’utilizzo delle parti della pianta. I frutti, pallottole scure di 5 centimetri, maturano tra gli 8 ed i 12 mesi. Freschi sono apprezzati, seccati danno una tintura nera utilizzata nel trattamento del cuoio. Il legno produce un eccellente carbone per la forgia.<br /><strong>KHAYA SENEGALENSIS - MOGANO DEL SENEGAL </strong><em>In Bamabara: dyala - In Peulh: kail </em><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZSWRjhaXbz0ga2WHJSDaCRUP6Sypxl8o8VHOVwKbG3njCmRxWsfbkY_Rvh3sw1pdB4jx0ejyhIJKTc-ZGTEbjUhlU0M5NRcusJRSpwr6WfchbtsJYHYRWEbpijK92SYd8_VpJ4cWOD0DD/s1600-h/Albero_Mogano.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238398697886079522" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZSWRjhaXbz0ga2WHJSDaCRUP6Sypxl8o8VHOVwKbG3njCmRxWsfbkY_Rvh3sw1pdB4jx0ejyhIJKTc-ZGTEbjUhlU0M5NRcusJRSpwr6WfchbtsJYHYRWEbpijK92SYd8_VpJ4cWOD0DD/s320/Albero_Mogano.jpg" border="0" /></a>Si dice che furono i primi schiavi africani a far notare ai conquistatori spagnoli le stupende qualità del m'oganwo (“Re del Legname”), i quali lo importarono in Europa. Gli spagnoli lo denominarono col termine indigeno caoba, che voleva dire “frutto che non si mangia”, facendo riferimento alla grande capsula legnosa che contiene i semi alati. Gli inglesi, seguendo la pronuncia africana lo chiamarono mahogany, nome con il quale è conosciuto commercialmente ed in varie lingue. È dunque una specie tropicale appartenente alla famiglia delle meliacee. Diffuso generalmente in aree con caratteristiche umide, per cui si trova spesso ai bordi dei fiumi o quantomeno nella loro vicinanza. L’albero è caratterizzato da foglie ovali ed oblunghe e da fiori minuscoli. I frutti,<br />piccoli globi legnosi, si dividono in quattro valve. Il legno, dal colore bruno rossastro, con elevata resistenza all’attacco di funghi ed insetti, ha una buona lavorabilità, per questi motivi viene frequentemente utilizzato nella realizzazione di mobili. Il tronco, che raggiunge un diametro considerevole, lungo e diritto, sovente è scelto per la costruzione di piroghe. A livello medicamentale, un estratto di radici viene impiegato contro l’itterizia, piaghe, punture d’insetti, vermi solitari e gengive infiammate, inoltre è un buon lassativo.<br />Semi e foglie curano febbri e nevralgie le radici, infine, sono utilizzate contro lebbra, sifilide, sterilità e nel trattamento di malattie mentali.<br /><strong>MANGIFERA INDICA - MANGO<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjdHeCUd-ulrIGv9uRz1FcFFTlEUTSZNOAmvTbMalZUC4z-ygUaAnBtpbvrCmmrlL1wncf_i_6BbgOQxy_QBJrRxr2HB1BgxBDFQVO3aJPruT0Ow_2sLk8wEg55PqLdH4U1pvCuEooLgSSL/s1600-h/IMG_0728.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238400924588264834" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjdHeCUd-ulrIGv9uRz1FcFFTlEUTSZNOAmvTbMalZUC4z-ygUaAnBtpbvrCmmrlL1wncf_i_6BbgOQxy_QBJrRxr2HB1BgxBDFQVO3aJPruT0Ow_2sLk8wEg55PqLdH4U1pvCuEooLgSSL/s320/IMG_0728.JPG" border="0" /></a>Albero sempreverde, originario dell’Asia meridionale, ormai naturalizzato in gran parte delle zone calde del mondo. Ha sviluppo abbastanza rapido, e nell’arco di pochi anni può raggiungere i 20-25 m di altezza, con fusto corto e chioma allargata e tondeggiante; i giovani germogli sono di colore aranciato o rosato, le foglie sono di colore verde scuro, lucide e leggermente cuoiose, di forma lanceolata o ovale, lunghe fino a 20-25 cm. Alla fine dell’inverno o all’inizio della primavera producono grandi pannocchie terminali, costituite da innumerevoli piccoli fiori bianco-arancio, o rosati; ai fiori seguono piccoli frutti ovali, che si sviluppano nell’arco di alcuni mesi, facendo arcuare verso il basso i fusti che li portano, riuniti in grappoli. I frutti del Mango sono di colore vario, dal verde giallastro, al verde rosso, fino al giallo, arancio, rosso; anche la taglia dipende dalla specie, va dai 300-400 g fino a raggiungerei 2 kg per singolo frutto. La polpa è di colore giallo, abbastanza fibrosa e compatta, molto succosa e dolce nei frutti maturi, è aspra nei frutti ancora verdi, si consuma dopo aver privato i frutti della buccia spessa; in genere i Mango si consumano quando la polpa diviene abbastanza cedevole, pur avendo un gusto più gradevole se consumati appena colti. Nella medicina, le foglie assumono una valenza diuretica e febbrifuga. Per la loro concentrazione tanninica, sono utili contro stomatiti, asma, bronchiti e mal di gola.<br /><strong>PARKIA BIGLOBOSA - NERE’<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQwQKYIumGwDKkZ8TRXEtwEXg-sGxu08P1VQzenf3MKazMQcto4-VHma34sxtKBnABHLCDt4nFil3AEowSbaXfPjG1olrYvvsxSrkxMBOfsaLDO5efr8Oke9XxPwmM1W8Wq_1OopLvrXBv/s1600-h/IMG_0658.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238400589623741106" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQwQKYIumGwDKkZ8TRXEtwEXg-sGxu08P1VQzenf3MKazMQcto4-VHma34sxtKBnABHLCDt4nFil3AEowSbaXfPjG1olrYvvsxSrkxMBOfsaLDO5efr8Oke9XxPwmM1W8Wq_1OopLvrXBv/s320/IMG_0658.JPG" border="0" /></a>Pianta che può raggiungere anche i 20 metri d’altezza. Presenta una larga chioma ad ombrello composta da foglioline minuscole (grandi poco più di 1 centimetro), è una mimosacea dai colori spettacolari. Da gennaio a marzo, fanno comparsa sui rami grosse sfere spugnose che pendono a grappoli di un intenso color rosso vermiglio o rosso fuoco. Sembrano bizzarri alberi di natale. La pianta fruttifica dall’ottavo anno di età baccelli grossi un centimetro o due al massimo e lunghi una cinquantina, che contengono numerosi semi neri racchiusi in una polpa dolce (fino 60% di zucchero). Coi frutti si ottengono bevande rinfrescanti o farine vegetali. Le foglie ridotte in poltiglia leniscono scottature, infiammazioni cutanee ed emorroidi. La scorza aiuta in casi di vomito e spasmi addominali, bronchiti, malattie veneree e verme della Guinea. I semi, ricchi di proteine e grassi, vengono bolliti e pestati in mortai fino ad ottenere una pasta scura. Trasformato in piccole palline dal forte odore assimilabile a quello del roquefort o gongorzola, questo prodotto viene venduto nei mercati ed acquistato come condimento per insaporire le salse nella cucina tradizionale delle differenti etnie maliane.<br /><strong>TAMARINDUS INDICA – TAMARINDO </strong><em>In Bambara: domi</em><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8tBUSKhMG_ZxXNn-0HyMo_CfKdcSltpMwxeJtiiWNICPwF0mSPst0RYm2hXuF7eCGuwtMAsDuQz-z8KIonJH0HpJ7_qWTsK83Twtws9Ttlnkl5Pu-KCNsAr3vxgzvPcUNmsTCOJRCEybn/s1600-h/tamarindo_frutti_w.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238399012007287154" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8tBUSKhMG_ZxXNn-0HyMo_CfKdcSltpMwxeJtiiWNICPwF0mSPst0RYm2hXuF7eCGuwtMAsDuQz-z8KIonJH0HpJ7_qWTsK83Twtws9Ttlnkl5Pu-KCNsAr3vxgzvPcUNmsTCOJRCEybn/s320/tamarindo_frutti_w.jpg" border="0" /></a>Si tratta di un albero massiccio, a crescita lenta, che in condizioni favorevoli può arrivare anche a 30 m di altezza e più di 7 m di circonferenza. Le foglie pennato-composte, lunghe fino a 15 cm, sono costituite di numerose foglioline. Come accade in altre specie di Leguminose, le foglie si richiudono durante la notte. Le foglie sono caduche durante la stagione asciutta solo nei luoghi che hanno una stagione secca particolarmente prolungata. I fiori sono poco appariscenti, gialli con<br />striature rosse o arancioni, riuniti in infiorescenze (racemi). L'albero produce come frutti legumi marroni, che contengono polpa e semi duri. I legumi sono lunghi generalmente 10-15 cm, leggermente incurvati, e contengono fino a una dozzina di semi. La polpa dei frutti acerbi è molto aspra ed è quindi adatta a piatti di portata, mentre i frutti maturi sono più dolci e possono essere usati per dessert, bevande o spuntini. La polpa è usata come spezia nella cucina Africana utilizzato fresco o seccato o filtrato come bevanda fredda. Il legno ha un cuore duro, rosso scuro, intorno è più tenero e giallastro. I frutti del tamarindo sono commestibili. Polpa, foglie e corteccia hanno applicazioni mediche. Le foglie sono state tradizionalmente usate per tisane utili a contrastare le febbri malariche, per problemi gastrici o digestivi e contro il mal di denti. La polpa come anti scorbuto e per abbassare la glicemia del sangue</div>MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-27258705803047290382008-08-21T06:37:00.000-07:002008-08-26T06:29:39.575-07:00Mali - TRADIZIONE NEL SUONO<div align="justify">La multietnicità del Mali si riflette anche nel patrimonio musicale, dato da un differente uso di strumenti, dalle diverse tonalità sonore e dalle composizioni che rispecchiano le singole tradizioni. <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivMhF1Cie1fRjTbrZXsLQVAwkFCXw5uxe-t_69pccIHz5Pa0pEiaMFHOUgF3XU5KxC_aAJ3H9bSihyphenhypheng1WeGoC_fDWHh6nGz_tDUx627zAwknyrSGq9qTF6R2pbfhXi2GQK3AQ7PS2vxXdD/s1600-h/02+mercati+artigiani+(24).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236971449224266754" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivMhF1Cie1fRjTbrZXsLQVAwkFCXw5uxe-t_69pccIHz5Pa0pEiaMFHOUgF3XU5KxC_aAJ3H9bSihyphenhypheng1WeGoC_fDWHh6nGz_tDUx627zAwknyrSGq9qTF6R2pbfhXi2GQK3AQ7PS2vxXdD/s200/02+mercati+artigiani+(24).JPG" border="0" /></a>La musica ritma le differenti stagioni dell’essere umano, accompagnandolo nelle molteplici situazioni che incontra dalla nascita alla morte. Il Matrimonio, il raccolto, le cerimonie, l’allevamento, la caccia, la pesca, le transumanze, tutto è raccontato ed accompagnato da melodie che si incuneano nella vita dell’uomo africano. Anche se l’approccio è differente a seconda dell’appartenenza etnica, la musica ne permea l’esistenza. Canti <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjrfBp9P_e5qusRfVAZhVmyKKseYw0LR5ORTOsRBKIm3HzFvOB1lTGYu5YEKzJpHRgTjwc2LBGJ3nB4FKmNt1SUrnR3piFNveNt-FkjiHTTzKFpDiWIoZ5UqnysxofoEZrXb7WjQQJ02Beg/s1600-h/DSCN2935.JPG"></a>ritmati da un semplice tamburellare di dita sulle calebasses ed accompagnati da strumenti monocorde o rudimentali flauti fino ad elaborate composizioni create con l’ausilio di strumentazione varia ed evoluta.<br />Troviamo così le melodie solitarie dei Peulh, popolo nomade, che servono ad allontanare la solitudine. La coralità Bambarà. I Bobo, che seguono i ritmi frenetici delle coreografie con l’uso di strumenti a percussione, Tamburi e “Balafon”. Fischietti e campanacci che fanno da sfondo alle cerimonie funebri impersonate dalle maschere Dogon. Il ritmo ipnotico del “imzad”, il violino monocorda tra i Songhai ed i Bellàh che iniziano riti nella brousse o nella tradizione “tamasheq dei Touareg,”, quando accolgono i geni dell’acqua. La cosa diviene artisticamente più sofisticata con<br />l’ingresso dei “griot”, i cantastorie, che accompagnano il loro canto al suono della “korà”. I suonatori creano sonorità energiche, ricche di vibrazioni avvolgenti o intimiste, a seconda che si tratti di cerimonie festose o riti sacri.<br />Individuare l’esatta origine dell’uso di alcuni strumenti non è così semplice. La colonizzazione e la successiva nascita degli stati-nazione africani, hanno alterato gli originari confini territoriali, rendendo difficile stabilire la loro precisa localizzazione, inoltre, molti racconti orali lasciano supporre che, in tempi remoti, solo ad una minoranza di “iniziati” fosse permesso di apprendere l’arte del suono. Se a questo detto, sommiamo il fatto che alcuni strumenti, cambiano denominazione a seconda del villaggi in cui vengono usati, la loro origine si complica. Accontentiamoci dunque di sapere che alcuni di questi esistono e sono stati utilizzati magistralmente da etnie che successivamente hanno sviluppato, grazie al loro uso, una sensibilità ritmica ed artistica di elevata fattezza.<br />A tal proposito, raggruppando gli strumenti in tre categorie differenti, potremo dare uno sguardo alla panoramica strumentale utilizzata non solo in Mali ma nell’Africa Nera.<br />I <strong>Membranofoni</strong> sono tutti i tipi di tamburi (cilindrici, tronco conici, a botte, a calice, a clessidra <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjX1eupFlOBAbQZKEQNvc9U6yYOeRz-YSHw6L-9SsOMOQGnRz-o5RnC8cXkEOHH1Vu2yqvU4zVKRyHGBgwBOyKEphAHH1NuEb-8rWFIzh1B_zS1kLgpiCd_TLKZ1sXnkB3ywCyGCbgPZjq_/s1600-h/02+mercati+artigiani+(25).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236972282047100738" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjX1eupFlOBAbQZKEQNvc9U6yYOeRz-YSHw6L-9SsOMOQGnRz-o5RnC8cXkEOHH1Vu2yqvU4zVKRyHGBgwBOyKEphAHH1NuEb-8rWFIzh1B_zS1kLgpiCd_TLKZ1sXnkB3ywCyGCbgPZjq_/s200/02+mercati+artigiani+(25).JPG" border="0" /></a>ecc.) e si basano sulla messa in vibrazione per frizione, percussione, pizzico o pressione di membrane soggette a tensione mediante tiranti. Tali membrane sono in gran parte costituite da pelli animali. Prendono nomi diversi a seconda delle forme e delle zone:<br />il Djembè ha una struttura che ha forma di calice, sull’imbocco maggiore è tesa una pelle. Il Bwa, strumento ascellare a forma di clessidra, con due pelli tese sugli imbocchi alle due estremità, il cui suono, modulato dall’ascella stessa del musicista, è ottenuto mediante un bastone ricurvo. Il Bala-Bala, usato da Bobo, Senufo e Bambara, la cui cassa armonica non è altro che una grossa mezza zucca vuota (Calebasse). L’atumpan è un tamburo Ashanti. Il darabukka è un tamburo arabo a calice. ll dundun è un tamburo a clessidra di origine Nigeriana. Il sabar è un tamburo a calice monopelle originario del Wolof del Senegal. Il dundun, anche se non molto usato nel Mali, merita un approfondimento. Viene chiamato Il tamburo parlante ed è usato prevalentemente dai “griot”. Il suonatore tiene il tamburo sulla spalla e lo colpisce con una singola bacchetta, usando l'altra mano per agire sulle corde che tengono tesa la membrana, pizzicandole o lasciandole per modificare il tono prodotto dallo strumento. I musicisti più abili riescono a produrre modulazioni che ricordano quelle della voce umana, specialmente con riferimento ai linguaggi tonali di alcune zone dell'Africa. alcuni musicisti hanno raffinato questa tecnica al punto che con il tamburo riescono a riprodurre frasi e nomi di persone Il djembé, la cui tipica forma a calice è ottenuta intagliando un pezzo unico di legno, ricavato dagli alberi di tek. Una volta montata, la membrana in pelle (generalmente di capra o antilope) viene lasciata essiccare, in modo da aumentarne la tensione per ottenere i suoni voluti dal djembéfola (il suonatore di djembé). Sempre più spesso, ai bordi della parte superiore, vengono applicate appendici metalliche, di ferro o latta, le cui vibrazioni rinforzano e prolungano il suono del djembé, creando un particolare stile poliritmico.<br />I <strong>cordofoni</strong> producono il suono per la messa in vibrazione di una o più corde tese tra due punti <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitn3LnvUdd3cdwznygZUTt934Vwp_FvDEhp6DPHUKiTLCybV0ACed1gyB5EqtWHqfpctQJvi21XQBKqWndUY1IUncBlv67xbuknAIk0dS1ovo97q8ycP1nOyi5bLhW-8SOuQUnCZzN8iTH/s1600-h/korÃ"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238745549439541634" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 225px; CURSOR: hand; HEIGHT: 174px" height="188" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitn3LnvUdd3cdwznygZUTt934Vwp_FvDEhp6DPHUKiTLCybV0ACed1gyB5EqtWHqfpctQJvi21XQBKqWndUY1IUncBlv67xbuknAIk0dS1ovo97q8ycP1nOyi5bLhW-8SOuQUnCZzN8iTH/s320/kor%C3%A0+1.bmp" width="243" border="0" /></a>fissi. Il più semplice è l'arco sonoro (ekibulenge per i Nande del Congo-Zaire), derivato direttamente dall'arco con il quale comunemente si scagliano le frecce. Le corde possono essere<br />sfregate con un archetto, pizzicate, premute o percosse. I cordofoni comprendono arpe<br />(enanga), cetre (o arpe-cetre come il mvet del Gabon e del Camerun), lire e liuti.<br />La kora, è lo strumento principale dei cantastorie (griot) della cultura Mandingo (Senegal, Mali, Guinea, Gambia): la cassa di risonanza è ricavata da una mezza zucca svuotata sulla quale è tesa una pelle di animale (mucca o antilope). Sulla cassa è infisso un manico in legno da cui dipartono ben 21 corde in due file parallele rispettivamente di 10 ed 11 corde, rette da un ponticello perpendicolare al piano armonico. Le corde erano tradizionalmente fatte di cuoio, per esempio di pelle d'antilope; oggi sono molto usate anche le corde d'arpa o il filo di nylon. Talvolta, fili di iversi materiali vengono avvolti assieme per formare una corda più spessa con un timbro specifico.<br />Strumento musicale del gruppo dei cordofoni, della famiglia delle arpe a ponte è praticamente considerata un'arpa-liuto. È uno strumento tradizionale dell'etnia Mandinka, diffusa in buona parte dell'Africa Occidentale.<br />Alcune kora moderne (in particolare costruite nella regione di Casamance, nel Senegal meridionale) hanno alcune corde aggiuntive (fino a quattro) dedicate ai bassi. Esistono anche varianti di kora a 23, 25, 27 fino ad un massimo di 28 corde. Le corde sono legate al manico da anelli di pelle; spostando tali anelli si può variare l'accordatura dello strumento. La tradizione<br />prevede quattro diverse accordature, dette tomora ba (o sila ba), hardino, sauta e tomora mesengo; corrispondono grosso modo alla scala maggiore, alla scala minore, alla scala lidia e alla scala blues. La tipologia di accordatura a cui si ricorre dipende perciò dal brano che si vuole eseguire. Sebbene il suono di una kora sia molto simile a quello di un’arpa, le tecniche utilizzate per suonarla sono molto più simili a quelle impiegate per la chitarra del flamenco. L’esecutore suona lo strumento ponendolo davanti a sé, sorreggendolo con le due dita medie che fanno presa su due sporgenze di legno. Le corde vengono pizzicate con l’indice e l pollice di entrambe le mani, la fila di 11 con la mano sinistra, quella di 10 con la destra. I suonatori molto esperti sono capaci d eseguire contemporaneamente un accompagnamento (detto kumbeng) e un assolo improvvisato (chiamato biriminting). La kora è diffusa presso tutti i popoli Mandinka dell'Africa occidentale; la si trova in Mali, Guinea, Senegal e Gambia. Il suonatore di kora viene detto jali; in genere appartiene a una famiglia di griot, ovvero di cantastorie. Così come il griot gode di un grande rispetto presso i popoli Mandinka (quale detentore della conoscenza sulle tradizioni, le gesta degli antenati, gli alberi genealogici dei clan, ovvero dell'intera tradizionale orale del popolo), nalogamente quello di "jali" è considerato un titolo onorifico molto importante.Esistono diversi<br />racconti orali che narrano l’invenzione e la storia di questo particolarissimo strumento<br />musicale: nell’area dell’antico Regno del Mali, si narra che la Kora fu inventata da un grande capo dei guerrieri, Tira Maghan che l’avrebbe donata ai griots del suo villaggio; da quel momento essa sarebbe divenuta lo strumento privilegiato dei griots che ne avrebbero scoperto tutte le sfaccettature e le possibilità sonore al fine di rendere al meglio il prezioso dono ricevuto dal loro signore. Secondo una variante dello stesso mito, diffusa in Gambia, nella regione del Kansala la prima Kora sarebbe appartenuta ad una donna particolarmente ingegnosa e creativa, robabilmente una griotte.<br />Negli <strong>idiofoni</strong> viene messo in vibrazione il materiale stesso con cui lo strumento è costruito<br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBj8TFsJUZ3fpMsnAcVQuxuJA-K7aiR3KER1Ga1XnqA-7BJfICFU-7Ra5jwlSlUxSXjYqev0txHPVCLgsmqGC-XOScfuk-mcxaxEXLNpWvOpABbEKqRDKXZnELEGeeG16ZaLxXFj6YY_u9/s1600-h/02+mercati+artigiani+(14).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236971632847518738" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBj8TFsJUZ3fpMsnAcVQuxuJA-K7aiR3KER1Ga1XnqA-7BJfICFU-7Ra5jwlSlUxSXjYqev0txHPVCLgsmqGC-XOScfuk-mcxaxEXLNpWvOpABbEKqRDKXZnELEGeeG16ZaLxXFj6YY_u9/s200/02+mercati+artigiani+(14).JPG" border="0" /></a>(per esempio, legno o metallo). Possono essere sollecitati per sfregamento, percussione, pizzico,<br />pressione, frizione, raschiamento. I più noti idiofoni sono; i sanza o ‘mbira, costituiti da<br />lamelle metalliche o vegetali, il Balafon, xilofono tipico dell’Africa occidentale, i Grageb, campane<br />e sonagli per gli Gnawa del Marocco e shaqshaq in Algeria.<br />Il Balafon è uno strumento musicale caratteristico dell'Africa Occidentale subsahariana:<br />si tratta di uno xilofono generalmente pentatonico, a volte diatonico. I popoli Susu e Malinké della, sono strettamente legati alla storia ed all'uso di questo strumento, così come il popolo Malinke del Mali, Senegal e Gambia. È composto da una struttura di base in fasce di legno o in bambù in cui, sotto, vengono posizionate orizzontalmente le zucche (calebasse) che fungono da cassa di risonanza, il cui numero può variare ma che generalmente si aggira intorno alla dozzina; a volte le zucche vengono forate e rivestite di sottili membrane che una volte erano costituite da<br />tele di ragno o ali di pipistrello ma attualmente viene moto utilizzata la carta per rivestire il tabacco delle sigarette o da una sottile pellicola di plastica. Al di sopra delle zucche si trovano i tasti, fatti di legno, di forma rettangolare posizionati in maniera decrescente. Quelli più piccoli producono i suoni più acuti. Il numero di tasti varia in base alla dimensione dello strumento. Il balafon diatonico presenta tasti più spessi ma meno larghi proprio perché deve fornire note più alte.<br />In appendice, si è accennato ai “<strong>griot</strong>”. Varrebbe la pena dedicare qualche riga d’approfondimento a questo personaggio, che nella tradizione orale, con gli anziani dei villaggi, potrebbe essere considerato come una biblioteca vivente. Prevalentemente di sesso maschile, ma uomo o donna che sia poco importa, è una figura presente in tutta l’Africa occidentale. Il termine “griot” starebbe a significare “signore della parola” . La sua immancabile presenza a funerali, matrimoni, cerimonie di sacrificio, riti di circoncisione, fa si che la testimonianza dell’accaduto possa continuare a vivere. È un cantastorie, un “libro vivente” dove vengono appuntati fatti e cronache di storia vissuta. Elemento indispensabile nella cultura locale, passa da villaggio a villaggio raccontando e tramandando avvenimenti di fatti accaduti realmente o racconti<br />leggendari.</div>MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-86646172982651575412008-08-21T06:17:00.000-07:002008-08-26T06:30:20.116-07:00Mali - MASCHERE TRIBALI<div align="justify"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDDalddtexpYvhKQQQ1X6pk6F0kXyeJT47Dhv1lWRXYL2yjtkHqXPGYd_CeQYeKYvOZnYNPdiZACeJ08Z5k7J1C1XFn8_pXcePmeiMkFYVWQLxynUrd5tLeIE41rS6kkNxVezEZhB2_Rte/s1600-h/02+mercati+artigiani+(8).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236980552176700946" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; CURSOR: hand; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDDalddtexpYvhKQQQ1X6pk6F0kXyeJT47Dhv1lWRXYL2yjtkHqXPGYd_CeQYeKYvOZnYNPdiZACeJ08Z5k7J1C1XFn8_pXcePmeiMkFYVWQLxynUrd5tLeIE41rS6kkNxVezEZhB2_Rte/s320/02+mercati+artigiani+(8).JPG" border="0" /></a>La Maschera Africana è servita, nel XX secolo, come fonte d’ispirazione per movimenti artistici quali l’espressionismo ed il cubismo, per cui, è da considerarsi la forma d'arte tribale più nota in Europa.<br />Elemento fondamentale dell’arte e della cultura tradizionale dei popoli subsahariani e dell’area<br />occidentale africana, le differenti maschere tribali vengono legate a diversi significati specifici. Il loro uso, di sovente collegato a cerimonie spirituali, fa si che le stesse vengano impiegate generalmente nelle danze, in modo tale da esaltare la celebrazione di rituali a sfondo religioso <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkJnW8kH8rZGTVSfO4nE4jxoNzdU6YlMmuse0Dp51IGkRCnpluX61BmcfPNS9u7UPniNV_mEYU83GiX77-HE0KK5XjPnRCDLbUyO6jZCzH4gfcV4UZSx8VAX5i0qvig2VQ3h5vr7lwqnGl/s1600-h/IMG_1683.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236962399708303282" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkJnW8kH8rZGTVSfO4nE4jxoNzdU6YlMmuse0Dp51IGkRCnpluX61BmcfPNS9u7UPniNV_mEYU83GiX77-HE0KK5XjPnRCDLbUyO6jZCzH4gfcV4UZSx8VAX5i0qvig2VQ3h5vr7lwqnGl/s200/IMG_1683.JPG" border="0" /></a>svolgendo spesso una funzione propiziatoria in cerimonie e celebrazioni come matrimoni, funerali, riti di iniziazione, feste del raccolto. L’uso della maschera viene associato ad altri fattori preponderanti della cultura africana, musica e danza, che accompagnano colui che la indossa. La maschera, aiuta colui che la indossa ad abbandonare la propria identità per entrare nello spirito che essa stessa rappresenta. Abbinata ai costumi rituali, modifica l'identità del danzatore trasformandolo anche in sacerdote. Eleva altresì il suo possessore ad una sorta di condizione di medium, e gli permette di metterse in contatto il villaggio con le proprie divinità, aiutandolo a dialogare con gli antenati, i defunti, gli animali o spiriti della natura. Questi motivi contribuiscono a creare la stretta connessione tra danze e rappresentazioni mascherate.<br />Ogni maschera ha un proprio significato specifico spirituale. La cultura Dogon, nel Mali, è caratterizzata da un ricco “pantheon” di spiriti, a cui corrispondono oltre 70 tipi di maschere <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZqnuYUg6pS4pYa4C1FiD2jC2O0aiXze91MGCAiqktSsOXq2EMuanLDJYFAmw5Dr1FQN1h4TW1zzcLkHytBKvRR4d1lNTaq8ugAt8ezXfiYDAz1HraIwHRlztBcdBt6HwNxGv6dHhkz6RE/s1600-h/IMG_1689.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236962518455524898" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZqnuYUg6pS4pYa4C1FiD2jC2O0aiXze91MGCAiqktSsOXq2EMuanLDJYFAmw5Dr1FQN1h4TW1zzcLkHytBKvRR4d1lNTaq8ugAt8ezXfiYDAz1HraIwHRlztBcdBt6HwNxGv6dHhkz6RE/s200/IMG_1689.JPG" border="0" /></a>differenti.<br />Spesso gli artisti, gli scultori che realizzano queste opere d’arte, per tradizione hanno un riconoscimento di uno speciale status sociale. I segreti relativi alla conoscenza dei valori simbolici e religiosi associati, assieme all’abilità costruttiva, vengono di sovente tramandati di padre in figlio. Dato il significato spirituale delle maschere, non tutti i membri della società sono autorizzati a indossarle. Spesso questo onore è riservato agli uomini, e in particolar modo agli anziani o comunque alle persone di alto rango. Alcune maschere sono riservate a capi villaggio o a re che indossandole conferiscono in loro speciali poteri.<br />Spesso, le maschere di maggiore prestigio sono quelle associate agli spiriti dei grandi capi defunti; In numerose tradizioni si trovano maschere associate a determinate società di guerrieri o di stregoni. Generalmente la forma di una maschera africana è <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBWVxIZBbSXiWCfl1SnDb42dOXyhOv7yqIpULx6OhT3rBd8Qu9o1xxTosWR4cyHNfuh0xFrOD0mMvp8J7qEdCcoPukT2S4dT-6Z3Jdaq9TBtaiarN0_bKZkc9_rUB-15sJZ8OLjTIsVBjv/s1600-h/01+casa+stefano+(2).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236979983956721074" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBWVxIZBbSXiWCfl1SnDb42dOXyhOv7yqIpULx6OhT3rBd8Qu9o1xxTosWR4cyHNfuh0xFrOD0mMvp8J7qEdCcoPukT2S4dT-6Z3Jdaq9TBtaiarN0_bKZkc9_rUB-15sJZ8OLjTIsVBjv/s200/01+casa+stefano+(2).JPG" border="0" /></a>riconducibile al volto di un uomo, o al muso di un particolare animale. Questa figura complessiva viene tuttavia resa in una forma altamente stilizzata.<br />L'assenza di realismo, che permea la concezione delle culture dell'Africa nera, fa in modo che la maschera non rappresenti il suo aspetto esteriore ma lo spirito del soggetto stesso. Le tipologie, codificate dalla tradizione, indicano la comunità a cui la maschera appartiene e ne definiscono il valore simbolico. Stili creativi con differenti significati morali o una particolare simbologia riferita a specifiche virtù, si trovano in numerose sculture. Gli occhi socchiusi delle maschere dei Senofu, per esempio, rappresentano l'autocontrollo, la pace interiore e la pazienza. Occhi e bocca di dimensioni ridotte, generalmente simboleggiano l'umiltà, e la fronte sporgente indica saggezza.<br />Maschere con mento e bocca molto grandi, al contrario, possono rappresentare<br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKrteP4m8G6CsHi6I_8evoX-lalPh4mVQlCJhRShxalK99i0duMTE9qqae2dRklYYrBO83NqiC10fh9UeciPkn-IyDDpQG4VZ325WZtM5GBPQY2hdFFiEjSOyCNVdLm5z6eK5IIAKYjmUH/s1600-h/IMG_1686.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236962195368944994" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKrteP4m8G6CsHi6I_8evoX-lalPh4mVQlCJhRShxalK99i0duMTE9qqae2dRklYYrBO83NqiC10fh9UeciPkn-IyDDpQG4VZ325WZtM5GBPQY2hdFFiEjSOyCNVdLm5z6eK5IIAKYjmUH/s200/IMG_1686.JPG" border="0" /></a>autorità e forza. Soggetti replicati più di frequente nelle raffigurazioni di maschere africane sono gli animali. Queste rappresentazioni animali servono per entrare nello spirito dell’animale perchè diventi possibile parlargli poichè spesso l'animale viene visto come portatore di determinate virtù. Fra gli animali più rappresentati ci sono il bufalo, il coccodrillo, il falco, la iena, il facocero e<br />l'antilope. L’antilope, in special modo, nel Mali ha un ruolo fondamentale. Nelle culture Dogon e i Bambara viene considerata simbolo del lavoro e della fertilità nei campi. Le maschere da antilope dei Dogon, che simboleggiano l'abbondanza del raccolto, hanno forme stilizzate, solitamente sono rettangolari ed adornate sulla sommità da molteplici corna. Anche in quelle dei Bambara, note come chiwara, sono presenti lunghe corna d’antilope che rappresentano la crescita rigogliosa del miglio, il pene, visto come simbolo delle proprie radici, le orecchie <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgeNODpdjAoOtWH9kkLSTuJDgJzeHbxiwIr6kVGpyoceff831MUrsBUiVcNCKQl6diYiPKPR40NLVRrROOY1vj64S3hBThXuBV5f1_Zo9ait4W58RSHEkpAavNSwDiF89Yz_ADQQGtlgNaG/s1600-h/IMG_1687.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236962986976796098" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgeNODpdjAoOtWH9kkLSTuJDgJzeHbxiwIr6kVGpyoceff831MUrsBUiVcNCKQl6diYiPKPR40NLVRrROOY1vj64S3hBThXuBV5f1_Zo9ait4W58RSHEkpAavNSwDiF89Yz_ADQQGtlgNaG/s200/IMG_1687.JPG" border="0" /></a>che rammentano il canto delle donne che allevia il lavoro nei campi ed una linea spezzata che rappresenta il percorso del sole fra i due solstizi. Troviamo infine varianti sul tema, che comprendono composizioni di figure composte da tratti distintivi di diversi animali, eventualmente uniti a elementi umani.<br />Questa fusione rappresenta un insieme di caratteristiche eccezionali, raffigurate attraverso la somma delle qualità dei diversi elementi della composizione. Le maschere utilizzate dalla società segreta dei Poro (presso il popolo Senufo, in Mali e Costa d'Avorio) uniscono in una singola figura tre simboli di pericolosità: corna di antilope, denti di coccodrillo e zanne di facocero.<br />Altro soggetto comune nella cultura delle maschere africane è la donna, che <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEir8wHtfvomLDaFYGjwUwAfI8lQHgCbvMKFGGGja4Xoo4xB1YjHy019H4PsCKlBx1X0KDgByIvD1Ev9jlzWDfIEsiOy297smDtAmDCaeYoxd_H8FjgGEWUkCrbhaXQnnZXxg-2c8as0DXwI/s1600-h/01+casa+stefano+(12).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236980100199991522" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEir8wHtfvomLDaFYGjwUwAfI8lQHgCbvMKFGGGja4Xoo4xB1YjHy019H4PsCKlBx1X0KDgByIvD1Ev9jlzWDfIEsiOy297smDtAmDCaeYoxd_H8FjgGEWUkCrbhaXQnnZXxg-2c8as0DXwI/s200/01+casa+stefano+(12).JPG" border="0" /></a>rappresentata l'ideale di bellezza. Differenti particolari caratterizzano le creazioni artistiche che rappresentano la donna. La raffigurazione è esaltata dai tratti somatici che vengono esasperati per cui potremo osservare l’accentuazione della curva arcuata delle ciglia, la stilizzazione degli occhi e l’assottigliamento del mento, inoltre sulla maschera vengono spesso rappresentati anche i gioielli ornamentali tradizionali.<br />Altro fattore estetico di rilevante importanza che viene riprodotto sulle maschere sono le scarificazioni, cicatrici ornamentali eseguite nella realtà sulla pelle di taluni soggetti. Al culto degli antenati invece, sono legate le maschere che tendono a riprodurre la forma del teschio umano, con orbite incavate e labbra screpolate e sono generalmente evocate durante i riti di circoncisione e in altre cerimonie legate al rinnovamento della vita. Il culto degli antenati è spesso legato al tema della fertilità, ed è per questo che si potranno notare molte maschere che uniscono i tratti del teschio con simbologia sessuale; Altre infine vogliono invece ricordare<br />antenati illustri, personaggi storici o leggendari.<br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPxAOMrug5l71ErFQBvTBtvMZLqPj5IMzz7aaEaZsKt09N4Q69hKPWmNoQaAjAqaBikvYzUxkwlsbEItX8b-fks4GGZwT_PwITlWjn5Qr2h-Ktg09VPfEVHur5cXVdIYqeX1aAehpKOP66/s1600-h/IMG_1682.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236963983324916882" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPxAOMrug5l71ErFQBvTBtvMZLqPj5IMzz7aaEaZsKt09N4Q69hKPWmNoQaAjAqaBikvYzUxkwlsbEItX8b-fks4GGZwT_PwITlWjn5Qr2h-Ktg09VPfEVHur5cXVdIYqeX1aAehpKOP66/s200/IMG_1682.JPG" border="0" /></a>La struttura principale delle maschere è data dal legno, anche se a volte troviamo raffigurazioni costruite in pietra morbida, come la saponaria, o addirittura fusioni di rame o bronzo. Gli elementi ornamentali che la completano sono costituiti da pelle o tessuto.<br />Il materiale intagliato o scolpito viene successivamente dipinto con carbone vegetale, ocra o altri pigmenti di origine naturale.<br />Infine, alla struttura principale vengono applicati gli elementi decorativi in altri materiali, come pelo, corna, denti, conchiglie, semi, iuta, paglia, guscio d'uovo (soprattutto di struzzo) o piume.<br />Quest’ultima lavorazione serve a ricondurre l’opera finita, in modo più efficace, agli elementi anatomici del soggetto.<br />Le maschere possono avere diversi tipi di struttura in funzione del modo in cui si devono indossare. Il tipo più comune, presente in gran parte dell'Africa, è quello che si appoggia sul volto, in verticale. Nelle cerimonie Dogon, ad esempio, queste maschere, alte anche qualche metro, vengono trattenute al volto con la sola forza dei denti. Altre maschere si adagiano sulla testa, e quindi non coprono il volto, come i celebri copricapo-maschera chiwara dei Bambara. Alcune, infine, sono ricavate da un tronco cavo o scavato, e si indossano come scafandri o elmi, a coprire l'intera testa.</div>MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-70421743058984708742008-08-21T03:15:00.000-07:002008-08-26T06:31:49.161-07:00Mali - TESSUTI<div align="justify"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhESg1z2hhpFH-RivZ6OJVZ2ZNgy2pq7BlEgQVebOKT7TH9CfA6z6nZBEnvmuP5PKu7ubOUXXOVAA5HKUNidT0jhBQjKI31QkZ9MBEJOb100IrHJeVSWXCxcE7oCJrtPA78FBtQR-bqrnPd/s1600-h/Acquarelli+B.A.+(400).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236924117309229090" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhESg1z2hhpFH-RivZ6OJVZ2ZNgy2pq7BlEgQVebOKT7TH9CfA6z6nZBEnvmuP5PKu7ubOUXXOVAA5HKUNidT0jhBQjKI31QkZ9MBEJOb100IrHJeVSWXCxcE7oCJrtPA78FBtQR-bqrnPd/s200/Acquarelli+B.A.+(400).JPG" border="0" /></a><br /><br /><strong>Evoluzioni delle tinte naturali </strong><br /></div><div align="justify"><em>Basilan, Gala e Bogolan: Teli tipici, in cotone o lana, tessuti in lunghe strisce cucite fra loro a mano e tinti con terre e pigmenti naturali, in base ad antichissime tecniche, che testimoniano l'abilità ed il gusto artistico delle diverse etnie. </em><br /><strong><em>Introduzione<br /></em></strong>La nudità viene spesso legata alla miseria, ed essendo l’Africa un continente generalmente overo <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLSe9KxQTxm6Ov1UETfwkVAkaVwZwsNpnHXbaPVfNeSSNGixMoxkh_kj71OnhVKTabQptaOUwatMjYMQcoqOLZuX2f9r6iWkktS1HNmecNBlMiG_4kDKaWHGUOly93zCRZEYHnlFbiEK-t/s1600-h/02+mercati+artigiani+(3).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236916161327239250" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLSe9KxQTxm6Ov1UETfwkVAkaVwZwsNpnHXbaPVfNeSSNGixMoxkh_kj71OnhVKTabQptaOUwatMjYMQcoqOLZuX2f9r6iWkktS1HNmecNBlMiG_4kDKaWHGUOly93zCRZEYHnlFbiEK-t/s200/02+mercati+artigiani+(3).JPG" border="0" /></a>sotto il profilo economico, l'immagine più comune che ci sovviene, quando si pensa alle popolazioni che vi abitano, avvalora l’idea di una terra abitata da uomini prevalentemente svestiti che vivono in abitazioni semplici costruite con l’ausilio di materiali naturali. “Terra dei popoli nudi che abitano capanne".<br />Contrariamente a quello che si può pensare invece, l’abito (soprattutto per le donne) riveste un significato di alto valore nella cultura Africana. Basterebbe osservare gli accostamenti dati dai teli colorati, adagiati con leggiadria sul corpo di una donna di <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDmbg_z5cEz72gAIlTr7lNDUE74wAF5YmHlRiFvnbPixT8hA9yghIHZFtwH1dwonxUHtFQ9OThBOLi0ctIx6o9rhTmFu6k_X2HftLqPGLT-arXyAhoJeD3_6VbvENiXLtNXtWC637885IZ/s1600-h/IMG_1520a.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236917267801395058" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDmbg_z5cEz72gAIlTr7lNDUE74wAF5YmHlRiFvnbPixT8hA9yghIHZFtwH1dwonxUHtFQ9OThBOLi0ctIx6o9rhTmFu6k_X2HftLqPGLT-arXyAhoJeD3_6VbvENiXLtNXtWC637885IZ/s200/IMG_1520a.JPG" border="0" /></a>etnia Bambara, qualunque sia la sua età, per constatare l’elegante portamento e l’esaltazione di un’innata femminilità. Stoffe e tessuti utilizzati come abiti africani possono mostrarsi sotto differenti aspetti. Molteplici sono le fogge utilizzate, che vanno dal semplice telo legato in vita come fosse un pareo ai grandi bubu (tuniche) con ricami o inserti in rilievo, tipici delle regioni islamizzate.<br />Inoltre, anche se semplici, le case sono spesso adornate da simboli che vengono anche riversati su tessuti utilizzati come stuoie, tappeti, coperte, pareti divisorie e quant’altro, all’interno degli alloggi stessi.<br />La bellezza di questi “teli”, data prevalentemente dall’accostamento cromatico e/o dalla simbologia in essi contenuta non dipende dalla grandezza. Anche piccole pezze di tessuto possono racchiudere tesori. Insomma, sembrerebbe <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIZX6HBtliDExsyK95WHDvqlp4XtscDp5OQbPxn4UQTRArVarHgq1og-Qkm71MDfCgutXUQttPCYhSykXfucqPQmqpHXQn3oKaz-zIFck_BMkQJAl7Xj44laCpOH2YlObFuWqnthsTGs0c/s1600-h/Acquarelli+B.A.+(101).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236917877909158050" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIZX6HBtliDExsyK95WHDvqlp4XtscDp5OQbPxn4UQTRArVarHgq1og-Qkm71MDfCgutXUQttPCYhSykXfucqPQmqpHXQn3oKaz-zIFck_BMkQJAl7Xj44laCpOH2YlObFuWqnthsTGs0c/s200/Acquarelli+B.A.+(101).JPG" border="0" /></a>che nelle stoffe, da sempre i popoli africani tendano ad esaltare gran parte della loro creatività, del loro genio e della loro abilità artistica. Va aggiunto che, mentre la globalizzazione dei mercati porta, nelle zone più urbanizzate del continente nero, una presenza sempre più massiccia di stoffe e tessuti fabbricati fuori dall'Africa, il panorama rurale, di contro, è incline a preservare tecniche tradizionali che sopravvivono ed a volte tendono a prosperare. È innegabile che tra i motivi di questo rifiorire di tradizioni c'è anche il contributo di un turismo, sempre più alla ricerca di souvenir di qualità ed originali. </div><div align="justify"><strong><em>Storia<br /></em></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEik2Sb8qrrDemUaq7JjTjSv4PkeE5EM9I05QNt2prQYGBkNdKs8KioOPAVBUKMErGlEIB4mQ5QKck_xVqU1K-eon18bzNu7xmd0h_NkvvIvPxoxDKpDx2vvi2whlG94Pu76SvLQvu2iAmre/s1600-h/IMG_1414.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236918313597407762" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEik2Sb8qrrDemUaq7JjTjSv4PkeE5EM9I05QNt2prQYGBkNdKs8KioOPAVBUKMErGlEIB4mQ5QKck_xVqU1K-eon18bzNu7xmd0h_NkvvIvPxoxDKpDx2vvi2whlG94Pu76SvLQvu2iAmre/s200/IMG_1414.JPG" border="0" /></a>Il lavoro di tessitura, che nasce in Africa, deve la sua naturale evoluzione alle primordiali tecniche di intreccio di sottili corde, assemblate tramite la lavorazione di fibre vegetali. Rudimentali arcolai, hanno integrato e sostituito gradualmente il lavoro manuale, perfezionando l’opera proveniente dalla filatura di fibre vegetali (cotone) prima ed animali (lana) in seguito.<br />Con l’esigenza di apportare decorazioni simboliche sui tessuti, si è potuto sviluppare una tecnica, tuttora utilizzata per tingere le stoffe. Questa lavorazione ha origini <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_f6YPhp9oVDPXITpt92DEb5rcdN5ypjnhYtJZ0NQ27C0BI-fqBBAJPjq3dtPnhYW_CfcnjwMFK_9gev4MfFrQ49e0wF-TozVwAMSbwORN8weKPgTnq6QqwOghA2yaVR2oWhnqa5Xs3Mev/s1600-h/IMG_1392.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236918800628710002" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_f6YPhp9oVDPXITpt92DEb5rcdN5ypjnhYtJZ0NQ27C0BI-fqBBAJPjq3dtPnhYW_CfcnjwMFK_9gev4MfFrQ49e0wF-TozVwAMSbwORN8weKPgTnq6QqwOghA2yaVR2oWhnqa5Xs3Mev/s200/IMG_1392.JPG" border="0" /></a>ereditate da alcune etnie come i Dogon e i Bambara del Mali, i Bobo ed i Senufo del Mali e del Burkina Faso, i Malinké del Mali, della Costa d’Avorio e del Senegal. </div><div align="justify"><strong><em>Procedure di lavorazione<br /></em></strong>La fase di preparazione, che avviene dopo la cardatura del materiale usato è generalmente ad<br />appannaggio della donna. È la donna stessa che trasforma le “nuvole” di prodotto in filato di cotone e lana, utilizzando un fuso semplice ma funzionale: un piccolo bastone a volte appoggiato e <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5OnY-Mkv93MRAXHbLJwsJMOyhIuepMEZm5XCuJpUdLbPJv3SgSevra-rEI910qmBLbsCKMeNoY6toLsZd-3xYgnU21GJ7eyOjDAFbQSTZQAAV0ooz1szOMP8w4Acv4MP78jg6yJT6XGGk/s1600-h/IMG_1424.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236919564532794066" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5OnY-Mkv93MRAXHbLJwsJMOyhIuepMEZm5XCuJpUdLbPJv3SgSevra-rEI910qmBLbsCKMeNoY6toLsZd-3xYgnU21GJ7eyOjDAFbQSTZQAAV0ooz1szOMP8w4Acv4MP78jg6yJT6XGGk/s200/IMG_1424.JPG" border="0" /></a>reso stabile da un basamento in terracotta. La fase successiva è la creazione del tessuto vero e proprio, con tecniche d’intreccio provenienti dalla lavorazione eseguita tramite l’utilizzo di uno strumento meccanico. È un’occupazione svolta prevalentemente dagli uomini. Trama ed ordito vengono realizzati con l’ausilio di telai orizzontali in legno, azionati a cinghia o a pedale.<br />Il Telaio, presso le popolazioni, non è solo considerato uno strumento ma un’espressione di creazione della vita stessa.<br />Nei suoi movimenti, vengono ravvisati i movimenti rotatori ed <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSFyoKcA0PZ4yAFxgXUHFyH-7oDDomcK4QyFSKhVw0zUAQYspiI93qVUhVHLg8Ils-kSn59Jka6UH9VfSGYfVrU-7zMxjJt7VPZnnmosH39Ebto-75YINjB4xB_Oal0_LuH_gZadpXKK27/s1600-h/IMG_1415a.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236920795363526290" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSFyoKcA0PZ4yAFxgXUHFyH-7oDDomcK4QyFSKhVw0zUAQYspiI93qVUhVHLg8Ils-kSn59Jka6UH9VfSGYfVrU-7zMxjJt7VPZnnmosH39Ebto-75YINjB4xB_Oal0_LuH_gZadpXKK27/s200/IMG_1415a.JPG" border="0" /></a>elicoidali dell’universo stesso, ai quali si aggiungono e si amalgamano il “vai e vieni” della navetta o gli intrecci dati dalla trama e dall’ordito, visti come le movenze dell’uomo, che è parte integrante del cosmo.<br />Le due situazioni vengono legate dal tessuto che funge da nesso tra cielo e terra, divino e mortale, umano e animale e fra gli uomini stessi.<br />Il tessuto indica la forza. Non quella del singolo ma la forza della comunità. I fili, presi separatamente, non hanno alcuna forza ma, uniti ed intrecciati, diventano il simbolo di una realtà<br />che esiste solo come relazione e unione.<br />Il tessuto indica il linguaggio nei rapporti umani perché i suoi fili si intrecciano come gli elementi<br />che costituiscono il linguaggio” e tessono rapporti.<br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNuP2yVg9pU03CWPyRvIzilQCbyRR7bnzw_RRCOEbWp98xapknk8Po0Fb_vjvrX-wuP1Qm0Ne0fgqYHs3dolxwRZFw6C0dow6n5P9mmNGKqPDsqjxteqavg7QaWMUQWA5UGhRYXC3WMLYw/s1600-h/IMG_1397.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236921253053719698" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" height="200" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNuP2yVg9pU03CWPyRvIzilQCbyRR7bnzw_RRCOEbWp98xapknk8Po0Fb_vjvrX-wuP1Qm0Ne0fgqYHs3dolxwRZFw6C0dow6n5P9mmNGKqPDsqjxteqavg7QaWMUQWA5UGhRYXC3WMLYw/s200/IMG_1397.JPG" width="164" border="0" /></a>Il risultato del lavoro su telaio produce strisce di stoffa più o meno consistente, lunga e stretta,<br />mediamente 20 centimetri, che saranno successivamente cucite insieme. Il tessuto può essere<br />confezionato con uno o più fili di diverso colore, oppure la stoffa grezza può essere lavorata con<br />varie tecniche tradizionali. Le stoffe quindi non riproducono un disegno contenuto nella trama. La pezza viene colorata successivamente con diversi procedimenti: tinte naturali, stampigliature,<br />tecniche ad ossidazione e di corrosione.<br />E' davvero interessante analizzare brevemente le metodologie utilizzate per tingere i tessuti<br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjINUTjbCQduIe4iDNWLKCD4BnlH4wGj1i8H8ZmecJHGSTAOXKK-c8qh-wrUUPMFSMuf9a1chgLQZG8RjmDjeqCDjDn3RDR_8KAyhcg8H9cEyaPEDaC7KkBgAdTi7Mx7qnBiE2ukyxgZd7u/s1600-h/IMG_1421.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236921445243098610" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 162px; CURSOR: hand; HEIGHT: 232px" height="200" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjINUTjbCQduIe4iDNWLKCD4BnlH4wGj1i8H8ZmecJHGSTAOXKK-c8qh-wrUUPMFSMuf9a1chgLQZG8RjmDjeqCDjDn3RDR_8KAyhcg8H9cEyaPEDaC7KkBgAdTi7Mx7qnBiE2ukyxgZd7u/s200/IMG_1421.JPG" width="159" border="0" /></a>secondo lo stile e il gusto africano.<br /><strong><em>Colorazione<br /></em></strong>In Africa Occidentale, per decorare le stoffe, vengono usate alcune tecniche che prevalentemente sfruttano l'azione corrosiva di alcuni elementi naturali.<br />La decorazione eseguita con l’uso di argille viene chiamata “Bogolan” ed è realizzata generalmente dalle donne.<br />La stoffa grezza, ottenuta dalla tessitura ed unita fino a formare il riquadro desiderato, viene<br />dapprima immersa in una tintura vegetale. Il composto è un infuso ottenuto dal succo di radici, erbe o cortecce.<br />Uno dei colori base deriva prevalentemente dalla preparazione ottenuta con un decotto di foglie di “n’galame” (foglie d'albero di anogeissus leiocarpus) che producono un uniforme color ocra intenso. Altre <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiaHVx3dHJH_jlWxDMUn-Inxz6Vx_7s7zpRZSlRCv6Y47lGIgErZexrtLYeFIZ34O2Wt1b5UwSQPlkCebbL7rG8_2tER_P_BAXdJ6uwQR1weitneUy-FZfLEmy8mHGtOpAf-778QKuVnGEt/s1600-h/IMG_1405.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236921819081380786" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiaHVx3dHJH_jlWxDMUn-Inxz6Vx_7s7zpRZSlRCv6Y47lGIgErZexrtLYeFIZ34O2Wt1b5UwSQPlkCebbL7rG8_2tER_P_BAXdJ6uwQR1weitneUy-FZfLEmy8mHGtOpAf-778QKuVnGEt/s200/IMG_1405.JPG" border="0" /></a>colorazioni vengono eseguite con diversi preparati vegetali che danno alla stoffa tonalità che vanno dal giallo al rosso al marrone.<br />Dopo un periodo d’ammollo, la pezza viene tesa e fatta asciugare al sole per poterla successivamente lavorare. Si ottiene così il “Basilan”.<br />Un’altra tecnica per la colorazione del tessuto di base, con pigmentazioni derivate da piante, produce una tonalità più fredda. Con questo procedimento si ottiene una base cromatica verdastra <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMr7qdDgaff3AL9x1XGVnK9n1NHkjcGoREh3h4F_92YIKFHOCd2D3d8ppu5ze0wrje7MZepotz-7vt9ZdxTI5WrKlLg9r4miFSZGYmCFC4WbgO5BldvxPf69o92glsClEkyuqsD-vxbJYS/s1600-h/IMG_2152.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236922020601300834" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMr7qdDgaff3AL9x1XGVnK9n1NHkjcGoREh3h4F_92YIKFHOCd2D3d8ppu5ze0wrje7MZepotz-7vt9ZdxTI5WrKlLg9r4miFSZGYmCFC4WbgO5BldvxPf69o92glsClEkyuqsD-vxbJYS/s200/IMG_2152.JPG" border="0" /></a>che al contatto con l’ossigeno, in fase d’esiccazione, si trasforma in differenti tonalità che vanno dall’azzurro al blu scuro, tipico del paese Dogon.<br />La differenza cromatica più scura si ottiene dunque esponendo il tessuto trattato per maggior tempo al sole, fino a tre settimane. Con questo procedimento si ottiene il “Gala”<br />Sui riquadri così preparati, una volta asciutti, si esegue un tracciato utile a formare il motivo<br />desiderato.<br />Inizia così la vera creazione del “Bogolan”.<br />Con l’utilizzo di fanghi pigmentati, un limo sottilissimo raccolto nei fiumi e steso mediante l’uso di strumenti necessari: tiralinee (kalama), spatole, steli di miglio, penne, pennelli e spazzole, si <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIEJzb5H91rdmgarkPwVO3eD30dnCEDExZlCQqwz2dnv2rotlEan-a4Ltzu1oL_8HmZ3-FdiwEGOomNFhymM8CUDksqgL4qahQtqihRUuq6sVcB1qCkJsQisTatSKM3MctptPoSe5t_NSR/s1600-h/IMG_2153.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236922438062783122" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIEJzb5H91rdmgarkPwVO3eD30dnCEDExZlCQqwz2dnv2rotlEan-a4Ltzu1oL_8HmZ3-FdiwEGOomNFhymM8CUDksqgL4qahQtqihRUuq6sVcB1qCkJsQisTatSKM3MctptPoSe5t_NSR/s200/IMG_2153.JPG" border="0" /></a>vanno a coprire le parti di stoffa che si vogliono evidenziare.<br />Il tessuto decorato viene quindi fatto fermentare in giare di terracotta, eventualmente con l’aggiunta di materiali ferrosi che aiutano l’ossidazione, rendendo, grazie alla reazione chimica tra il fango e la tintura precedentemente applicata, totalmente indelebili i decori.<br />I motivi artistici realizzati, che si espongono all’asciugatura finale, vengono evidenziati da questa fase d’ossidazione terminale che dona al tessuto la tonalità desiderata.<br />Fatto nuovamente seccare, il drappo verrà successivamente lavato per eliminare l’eccedenza di fango. Apparirà quindi, in tutta la sua bellezza, il colore nero del disegno su fondo di base (Basilan).<br />Tinture ed eventualmente ulteriori sbiancature, ammolli e lavaggi sono <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcWlzFb8WVUoX7d5TU-fLjDk88Q-7jyfHqm7U_pYW3-fKuRQKUpaL2qEAuv1s4q89lFbc9-xXvS0G-FQFcgWvurxOGn58F0ETZpshoDcXgCmSfX8SpnpondljEEsyHlMy-ViHP0KiaV9N9/s1600-h/IMG_2149.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236922736257659298" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcWlzFb8WVUoX7d5TU-fLjDk88Q-7jyfHqm7U_pYW3-fKuRQKUpaL2qEAuv1s4q89lFbc9-xXvS0G-FQFcgWvurxOGn58F0ETZpshoDcXgCmSfX8SpnpondljEEsyHlMy-ViHP0KiaV9N9/s200/IMG_2149.JPG" border="0" /></a>procedure che si ripetono più volte su un medesimo pezzo di stoffa per poter raggiungere un ulteriore risultato. Occorrono differenti passaggi, per ottenere un risultato soddisfacente che presenti diverse sfumature di colore. E' questa la tecnica indicata con il nome di bogolan, cioè "disegnati dal fango".<br /><strong><em>Simbolismo<br /></em></strong>Il simbolismo raccolto nei motivi è rappresentato in differenti forme geometriche. Linee dritte, spezzettate o a zig-zag e cerchi, che delineano le due interpretazioni della vita. Un’interpretazione di carattere maschile (fatta di elementi lineari, angolari ed acuti) che si interseca ed entra, anche fisicamente, nei caratteri femminili (curvilinei). </div><div align="justify">L'arte tessile africana, potrebbe rivelarsi un aiuto per chi volesse iniziare <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkLfe4aeYOSt_qEIP5f8_-cnkkvnFXNAhyphenhyphen0-A3Q2M-ubNYLzZkR8B6ZG3Z3d14OEpuJOAXiL1C3aocFqLpiS2ncLqSlIMqkdxesgXo0Hgz0fTMuLyaSvKvSsqV8eVnN6gEnuQKWAvE4YVE/s1600-h/DSCN2765.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236922237022915682" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkLfe4aeYOSt_qEIP5f8_-cnkkvnFXNAhyphenhyphen0-A3Q2M-ubNYLzZkR8B6ZG3Z3d14OEpuJOAXiL1C3aocFqLpiS2ncLqSlIMqkdxesgXo0Hgz0fTMuLyaSvKvSsqV8eVnN6gEnuQKWAvE4YVE/s200/DSCN2765.JPG" border="0" /></a>ad accostarsi alla cultura del continente nero. I modi di vivere, propri delle diverse popolazioni, vengono espressi nel simbolismo che si ripete sugli sfondi intessuti. I teli sono assimilabili a delle illustrazioni raffiguranti sensazioni, attimi di vita e quant’altro. Le mani sapienti degli artigiani, ci permettono di cogliere, grazie alla lettura dei disegni elaborati sulle trame, il riflesso interiore, l’anima propria di un popolo.<br />Quindi una vasta serie di simboli caratterizza ogni Basilan, Gala o Bogolan ed ogni simbolo trasmette un principio comportamentale derivato dalla cultura etnica.<br />Nella tradizione, i simboli da disegnare sul tessuto sono stabiliti dalle donne anziane, generalmente con più di sessant’anni, in quanto ritenute il centro della saggezza della comunità.<br /><em>Alcuni dei simboli e dei significati più ricorrenti sono i seguenti:</em><br /> <em><strong><span style="font-size:85%;">Linea a zig-zag<br /></span></strong></em>Simboleggia il cammino di colui che è gravato da debiti. Il messaggio è pertanto l’esortazione a non prendere vie cattive nella vita<br /> <strong><em><span style="font-size:85%;">Due Linee parallele<br /></span></em></strong>Nella vita non seguire due strade maestre allo stesso tempo<br /> <span style="font-size:85%;"><strong><em>Cerchio<br /></em></strong></span>Il cerchio rappresenta in generale un recipiente. In particolare il granaio, ossia il luogo in cui si conserva ciò che è più prezioso per la comunità. È la cosa più importante per un essere umano, tra i Bambarà è la speranza. Il cerchio invita quindi a prendersi cura al meglio di se stessi e della propria speranza </div><div align="justify"> <strong><em><span style="font-size:85%;">La croce</span></em></strong><br />è il simbolo dell’incrocio, il luogo più importante per i Bambara in quanto luogo di incontro tra persone. La croce esorta quindi a mettersi al servizio degli altri. Un essere umano dev’essere come un incrocio nel quale lasciare transitare le altre persone<br /> <span style="font-size:85%;"><strong><em>Linea retta</em></strong><br /></span>Nella vita scegli una strada maestra e seguirla </div><div align="justify"> <span style="font-size:85%;"><strong><em>Impronta d'animale (dromedario)<br /></em></strong></span>Questo simbolo rappresenta l’orma del dromedario e quindi, per i Bambara, evoca tradizionalmente il “viaggio senza ritorno”, cioè il viaggio senza ritorno degli schiavi rapiti dalle etnie del deserto. Il suo messaggio era quindi quello di rimanere sempre attenti, nella vita, di non fare un viaggio senza ritorno</div>MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-2652048484210085322008-08-21T02:18:00.000-07:002008-08-25T06:58:36.549-07:00Mali - ARCHITETTURA SPONTANEA<strong>Bankò, l’arte di “plasmare” in terra cruda </strong><br /><strong><br /><div align="justify"><br /></strong></div><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpC_wzqd4KsPkCRDvafBN6ZWKUDAD7Wm1Joop4-S2nxfZ6jy928Ql4Z-oi0GtwLk3lTtOSSOe52UJ9USPTWXDkMCgBedfZs0X3ITifCb1eT-7kgl3gK6ITMXYgM0spdPsKZT_bky5QORLD/s1600-h/IMG_1529.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236900349419867122" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpC_wzqd4KsPkCRDvafBN6ZWKUDAD7Wm1Joop4-S2nxfZ6jy928Ql4Z-oi0GtwLk3lTtOSSOe52UJ9USPTWXDkMCgBedfZs0X3ITifCb1eT-7kgl3gK6ITMXYgM0spdPsKZT_bky5QORLD/s200/IMG_1529.JPG" border="0" /></a>Titolo e sottotitolo evidenziano il fatto che generalmente la realizzazione del particolare tessuto urbano dell’Africa Nera, non comporta l’uso di architetti o piani urbanistici di sorta. L’insieme del conglomerato edilizio, sia che formi un piccolo villaggio o sviluppi la sua area fino a raggiungere le dimensioni di una grande città, prende forma dall’opera individuale. l’impronta manuale è vista e vissuta ovunque e questo fa si che ogni costruzione sia una cosa a se, un elemento plasmato creato dalla continuità del terreno sottostante. Una “naturale opera d’arte”.Nell’africa occidentale, <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8Q3E9UJC1nPDZ8Qtq0ahB-0-oopDP4r7XCKw4zESZoK5QN8ev4as1kS2-45PTY3_20L3nsN-WwPotFhsvLFdX_ncC31VBP5iQuViAbi3RqOLX3wxq8C1YXPwZkDYdnJs6RRYxru9YYbpO/s1600-h/IMG_1369.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236900920275576642" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8Q3E9UJC1nPDZ8Qtq0ahB-0-oopDP4r7XCKw4zESZoK5QN8ev4as1kS2-45PTY3_20L3nsN-WwPotFhsvLFdX_ncC31VBP5iQuViAbi3RqOLX3wxq8C1YXPwZkDYdnJs6RRYxru9YYbpO/s200/IMG_1369.JPG" border="0" /></a>questa lavorazione è stata chiamata dagli antropologi, Architettura Sudanese, che deriva dal nome che i l’insieme dei territori nord occidentali avevano prima della scissione negli attuali stati, il Sudan. Si dice che sia stato l’imperatore Kankou Moussa, intorno al 1300 ad introdurre questo modo di edificare lungo l’ansa del Niger. Tecnologia però conosciuta e sfruttata anche dalle popolazioni esodate dall’antico regno del Ghana, soprattutto nel grande delta interno.<br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSfBxqRbjLhxtWpf4kjsMnEZN5SFqyPrL9G3xbwQJro7QmX64qxTdJay245NQxvwVJIDKEtcWdsPBgdky_ryLDRagEWtBRKBjjroqttlUhtQG2vm3zHd-OYCpvUdhkjs8HU7fX3mpV6ld3/s1600-h/IMG_0601.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236901385525406434" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSfBxqRbjLhxtWpf4kjsMnEZN5SFqyPrL9G3xbwQJro7QmX64qxTdJay245NQxvwVJIDKEtcWdsPBgdky_ryLDRagEWtBRKBjjroqttlUhtQG2vm3zHd-OYCpvUdhkjs8HU7fX3mpV6ld3/s200/IMG_0601.JPG" border="0" /></a>Base fondamentale per la costruzione è il bankò: un impasto di acqua ed argilla prelevata nelle lanche dei fiumi ed arricchito, a seconda dei luoghi d’utilizzo, da diversi elementi, che conferiscono all’amalgama una differente caratteristica tecnica.<br />Troveremo quindi diversi tipi di Bankò, impastati con diversi materiali, quali: paglia di riso, paglia di miglio, sterco animale o derivati vegetali come il burro di Karité, che nel loro insieme riescono a caratterizzare i differenti impasti, donando alle strutture peculiarità tipiche, quali, maggior resistenza al dilavamento <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxB-edlAgpM3r9b2kWhckADnOpS7EYBhM7-AvhCrzwez2Q1pyur4omd6VjbWGhQ9IFa_tgONtQZkGMw3bFaxn38cRAkQm8YqSG2fmu-9x-kaHjWIupn9CjU-0ws_6Eqtd4tZwUaNGPoIZZ/s1600-h/16+sanghÃ"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236902265066160866" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxB-edlAgpM3r9b2kWhckADnOpS7EYBhM7-AvhCrzwez2Q1pyur4omd6VjbWGhQ9IFa_tgONtQZkGMw3bFaxn38cRAkQm8YqSG2fmu-9x-kaHjWIupn9CjU-0ws_6Eqtd4tZwUaNGPoIZZ/s200/16+sangh%C3%A0+falesie+E+(30).JPG" border="0" /></a>meteorico, maggior resistenza ai carichi ed alle flessioni e così via.<br />Questa tecnologia in terra cruda, prevede il riempimento di casseri in legno, dei vari impasti, e la successiva esiccazione al sole. Si ottengono in questo modo dei rudimentali mattoni (brik) induriti dal calore naturale. I mattoni a forma sferica (quasi come fossero grosse pollette), visibili nelle<br />sbrecciature di vecchi edifici o nelle parti più datate di talune moschee, un tempo invece venivano composti a mano. Una sorta di ossatura di irrobustimento, che serve per lo più a seguire il disegno <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJ_g1HNorh9b_q-TzUTzVgquk7BAaWieuKUTXXCVSpYcZ7yuifd6TejnsIX9V-XcdZoVCOOP9YuyQ6TBxu3fy-SnkSxOoF_A2Axe_xX-1l1_qi7KJRUV8B8AjAXqFT3pup8gYWRQHWDQLf/s1600-h/10+villaggi+bozo-peul+(18).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236904614643079170" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJ_g1HNorh9b_q-TzUTzVgquk7BAaWieuKUTXXCVSpYcZ7yuifd6TejnsIX9V-XcdZoVCOOP9YuyQ6TBxu3fy-SnkSxOoF_A2Axe_xX-1l1_qi7KJRUV8B8AjAXqFT3pup8gYWRQHWDQLf/s200/10+villaggi+bozo-peul+(18).JPG" border="0" /></a>finale dell’edificio, viene impiantata con travi lignee, che aggettano all’esterno dei profili di facciata. I caratteristici tronchi che debordano, servono come impalcatura a cui poggiare lunghe scale o arrampicarsi, per eseguire un’agevole manutenzione. Il legno impiegato è generalmente il borasso, una palma che abbonda nel delta interno, il cui fusto ha caratteristiche elastiche superiori a quelle di altre specie di legname disponibile, inoltre ha particolarità tali che lo rendono inattaccabile dalle termiti. Su questa struttura base, una volta accostati ed impilati i <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiOvoHZnJCGPRj_MsA3HquhjiDCgA7BswnywoWYre5ULh5TIeIrqBM3Xo06rIQnC8YXH5GmAlGgS9yW0jrCTOBtYeJUQCuqQRuhlF2-1aAdBpsx1qGwL3HF7CavfyrfbKQkGYAml91Q_Zr9/s1600-h/09+djn+(30).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236903383251676450" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiOvoHZnJCGPRj_MsA3HquhjiDCgA7BswnywoWYre5ULh5TIeIrqBM3Xo06rIQnC8YXH5GmAlGgS9yW0jrCTOBtYeJUQCuqQRuhlF2-1aAdBpsx1qGwL3HF7CavfyrfbKQkGYAml91Q_Zr9/s200/09+djn+(30).JPG" border="0" /></a>mattoni, viene spalmato a mano, quasi come fosse un mantello, uno strato finale di bankò, che serve da collante finale d’assemblaggio della struttura stessa. L’ultimo strato, che risente maggiormente dell’uso, sarà ricomposto con cadenza annua (prima della stagione delle piogge). L’operazione di manutenzione delle moschee, avviene con la festosa partecipazione dei giovani e meno giovani dei quartieri dei villaggi. Mentre la struttura e la “pelle” non cambiano, a seconda delle zone di<br />costruzione, il mattone è generalmente <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8ke2mzRRdpUXIUBt0-txR1ZPDty0w_W0aNEVSFu_sOt0gIf2xPooIvHoyOxKv0Q_cHK2Ieaz21GPscd2Im8XshXz91liTL-hGcrB76Il4Luyd-xxU0oGgQhD_VgNis5wBmUhp0LEHSlUR/s1600-h/09+djn+(62).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236903687651991154" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8ke2mzRRdpUXIUBt0-txR1ZPDty0w_W0aNEVSFu_sOt0gIf2xPooIvHoyOxKv0Q_cHK2Ieaz21GPscd2Im8XshXz91liTL-hGcrB76Il4Luyd-xxU0oGgQhD_VgNis5wBmUhp0LEHSlUR/s200/09+djn+(62).JPG" border="0" /></a>sostituito da blocchi di pietre. (zona di Bandiagara, paese Dogon). Per giusta cronaca, occorre segnalare anche l’uso del “bankò eméllioré, un impasto più “evoluto”, che contiene piccole quantità di cemento, utile conferire maggior stabilità.<br />Le guglie degli edifici interamente in bankò (moschee) a differenza delle abitazioni o granai che hanno prevalentemente una protezione data da un cappello conico costituito da materiale vegetale e fibroso, hanno volumi caratterizzati da forme ad ogiva, che contrastano il dilavamento delle piogge. La punta di sovente è protetta da cocci in terracotta o uova di struzzo che inibiscono o perlomeno rallentano l’azione concentrata del dilavamento meteorico.<br />La tipologia delle costruzioni, come abbiamo potuto osservare è vasta e differenziata. Noteremo quindi elementi <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgaLvjrFDvhpgxp5WzxMoW0D11NkWjqJLT5xUacosTODEmuQhqr3o_NhW7EKOHj7IPLgBDcPDg1rvr-72v5ddeZDOXuffi-4gdkgcz6REzaHzNBdhKvLp4VmhOrOYDwSPloC4PvKT6lmbi3/s1600-h/10+villaggi+bozo-peul+(39).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236904072733066162" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgaLvjrFDvhpgxp5WzxMoW0D11NkWjqJLT5xUacosTODEmuQhqr3o_NhW7EKOHj7IPLgBDcPDg1rvr-72v5ddeZDOXuffi-4gdkgcz6REzaHzNBdhKvLp4VmhOrOYDwSPloC4PvKT6lmbi3/s200/10+villaggi+bozo-peul+(39).JPG" border="0" /></a>identificativi a seconda dell’uso e della cultura abitativa. Una per tutte, data dall’uso, mette in risalto le “torri-latrina”, vuoti pilastri affiancati e consolidati alle pareti esterne delle case di Djenné, che vengono svuotate tramite un foro fatto alla base, per prelevare<br />il contenuto da utilizzare come concime sulle colture nei campi.<br />L’assenza di un piano urbanistico nei villaggi, così come inteso da noi “occidentali”, non sta certo a significare il caos abitativo. Nel “paese Dogon” per esempio, la costruzione di strutture abitative e non ha una logica ed un criterio tradizionale. Le varie volumetrie <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiNa5m3_q4yuOHWr7yc11q4OoJ-8jqToDVOMtcooriZjjRcu01le0AYucMMs_S_cQlO-KgzWkwa8jj37ONwyspHPMvvQfYFGBN4t39zE28QNhm5D4P61cF2eAj93ENAi7JrzOsiN_vdisZ2/s1600-h/09+djn+(56).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236905097356643762" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiNa5m3_q4yuOHWr7yc11q4OoJ-8jqToDVOMtcooriZjjRcu01le0AYucMMs_S_cQlO-KgzWkwa8jj37ONwyspHPMvvQfYFGBN4t39zE28QNhm5D4P61cF2eAj93ENAi7JrzOsiN_vdisZ2/s200/09+djn+(56).JPG" border="0" /></a>che compongono la casa, o l’insieme di diverse case, il quartiere ed infine il villaggio, seguono disegni predefiniti.<br />La casa di una famiglia Africana, chiamata “concessione” è quindi composta da più cellule abitative e non, raggruppate attorno ad una corte interna. Diverse “concessioni” definiscono un quartiere ed a seguire il villaggio stesso. La corte interna è il centro sociale del gruppo familiare. Nel suo interno si esplicano tutte le attività di gruppo, dalla preparazione del cibo ai lavori artigianali.<br />Solo la stagione delle piogge trasferisce le attività all’interno. Le <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJ0NTPxbpevwhpLM9ndhKnd2xyLg3UfYxWQsIySpOVQYTn4NA9gqM2-G0fGLGauzsZ3V0gkXnQc9E_6h3nWLeH53q5j9cK2E6ZjIkYesgDNfM-ePZe-Csb17xkc8s1SmboWLx9OO6XCdO0/s1600-h/10+villaggi+bozo-peul+(9).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236905329098696002" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJ0NTPxbpevwhpLM9ndhKnd2xyLg3UfYxWQsIySpOVQYTn4NA9gqM2-G0fGLGauzsZ3V0gkXnQc9E_6h3nWLeH53q5j9cK2E6ZjIkYesgDNfM-ePZe-Csb17xkc8s1SmboWLx9OO6XCdO0/s200/10+villaggi+bozo-peul+(9).JPG" border="0" /></a>singole strutture prendono luce solo dall’interno, non avendo aperture esterne e sono legate tra loro da bassi muretti di recinzione. Questi ambienti, svolgono differenti usi, abitazione vera e propria, cucina, deposito viveri, ricovero attrezzi e mercanzie in genere. Nelle aree rurali, la tipologia costruttiva è caratterizzata da differenti soluzioni. Le coperture, non necessariamente hanno una protezione data da un intreccio vegetale di forma conica o piramidale. Nei villaggi Peulh, si possono vedere coperture piane, debitamente inclinate per contrastare eventuali depositi d’acqua <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLcaVzFqf1QRv2S1fbMtKSCXz5s9UbVY-VIg6WsvWv9sdBal5rU46XUMDeV8ZbeXtxRmUqrtb4CIcirqJPhxOVMrlKjQcijW_DsoRiEnJsB745XmAuxhU-h-d9STSQoeT4MNbZkME49poH/s1600-h/15+sanghÃ"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236905594644444962" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLcaVzFqf1QRv2S1fbMtKSCXz5s9UbVY-VIg6WsvWv9sdBal5rU46XUMDeV8ZbeXtxRmUqrtb4CIcirqJPhxOVMrlKjQcijW_DsoRiEnJsB745XmAuxhU-h-d9STSQoeT4MNbZkME49poH/s200/15+sangh%C3%A0+falesie+D+(17).JPG" border="0" /></a>meteorica, sfruttate come ulteriori spazi abitativi, utili per seccare granaglie, asciugare panni, pranzare etc....<br /><div align="justify">I Bozo ed i Senufo, raggruppano in una stessa area i granai. </div><br /><div align="justify">I Dogon invece, nella loro architettura antropomorfica, riuniscono i granai differenziandoli in granai maschili e femminili. </div><br /><div align="justify">Le costruzioni di corpo cilindrico delle regioni meridionali, <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqj_0jvCdwGQScvnMFfUZd5LdAKiui3w3GEkjVvPP-u7DnjUnrzuFyX19AaPz-22-lz_p3eo6BgChGHNX1AKXoik_CgWx3vJ_yEWe87KdQOGDUmlzQxj4gbA0OfwGMjW2F0wev9P_Kl-Sr/s1600-h/DSCN4311.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5238454089144921490" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 225px; CURSOR: hand; HEIGHT: 168px" height="199" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqj_0jvCdwGQScvnMFfUZd5LdAKiui3w3GEkjVvPP-u7DnjUnrzuFyX19AaPz-22-lz_p3eo6BgChGHNX1AKXoik_CgWx3vJ_yEWe87KdQOGDUmlzQxj4gbA0OfwGMjW2F0wev9P_Kl-Sr/s320/DSCN4311.JPG" width="262" border="0" /></a>contrastano con i parallelepipedi delle zone centrali.</div>MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-82223694033443169352008-08-21T00:20:00.000-07:002008-08-21T06:16:16.837-07:00Mali - CITTA' e VILLAGGI<div><br /><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236958783070923106" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; CURSOR: hand; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgHdvuCi0B-ZxJMe1NSu_Y8k8dp-QmTPlJqlHIgvn_4DWjPcD7vnoXWtfqS5P09AhSwf1xSeOTq0I7esaoJdOx_qL94FdYFgpEMDOR3cpu8fiHPwwvFBfeLQRSR8OefB20CcH6Mcs_EcjT0/s320/IMG_1393a.JPG" border="0" /> <div align="justify">Il Mali (in francese République du Mali) è uno stato (1.240.142 km², 11.340.480 abitanti; capitale Bamako) dell'Africa occidentale situato all'interno e senza sbocchi sul mare.<br />Il Mali confina a nord con l'Algeria, il Niger ad est, il Burkina Faso e la Costa d'Avorio a sud, la<br />Guinea a sud-ovest, e il Senegal e la Mauritania ad ovest.<br />Il suo territorio, per la maggior parte pianeggiante, è costituito al nord da deserto, al sud dalla<br />savana.<br />Il Mali possiede una storia ricca e relativamente conosciuta. Il suo territorio è stato sede di tre<br />grandi imperi: l'Impero del Ghana, l'Impero del Mali e l'Impero Songhai.<br />I francesi iniziarono la colonizzazione del suo territorio nel 1864 e nel 1895 venne integrato<br />nell'Africa Occidentale Francese con il nome di Sudan francese.<br />La Repubblica Sudanese e il Senegal proclamarono la loro indipendenza dalla Francia nel 1960 con il nome di Federazione del Mali. Appena alcuni mesi dopo il Senegal si separò e la Repubblica <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjikffbpYwjRtpNn0pNJGTdgGujvOJTsNoC2meR7QfYxSGpoKDvJhqlCKpXyUkvJ_2LW2xoPCz4PzyHluchZhWXnfUcHsExnot_w4BIYR929VHODcx1AEZ0AiqhaeAmyzfJohpx2FzIq1nb/s1600-h/mali_rel94.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236957926839694978" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjikffbpYwjRtpNn0pNJGTdgGujvOJTsNoC2meR7QfYxSGpoKDvJhqlCKpXyUkvJ_2LW2xoPCz4PzyHluchZhWXnfUcHsExnot_w4BIYR929VHODcx1AEZ0AiqhaeAmyzfJohpx2FzIq1nb/s200/mali_rel94.jpg" border="0" /></a>Sudanese prese il nome di Mali.<br />Dopo un periodo di dittatura, nel 1991 si formò un governo di transizione che portò nel 1992 alle<br />prime elezioni democratiche, con Alpha Oumar Konare eletto presidente. Dopo la sua rielezione<br />nel 1997, Konare continuò le riforme politiche e economiche, lottando contro la corruzione. Alla<br />fine del suo secondo mandato, limite costituzionale per un presidente, fu sostituito nel 2002 da<br />Amadou Toumani Touré.<br />Il territorio della repubblica del Mali, stato dell'Africa Nordoccidentale privo di sbocchi sul mare, è formato da bassopiani cosparsi di colline rocciose. Gli unici rilievi notevoli si trovano nel sud-est del paese. Nella zona settentrionale si estende il Sahara, in quella centrale la regione climatica del Sahel, in via di inaridimento mentre quella meridionale è costituita da una savana umida irrigata<br />dai fiumi Niger e Senegal.<br />La siccità sta accelerando la desertificazione di tutto il territorio. La vegetazione è molto scarsa:<br />eucalipti e mimose al sud del Sahara, piante spinose al centro e baobab, acacie, e ceibe a sud.<br />Data la latitudine, la presenza del deserto in gran parte del suo territorio, il fatto che non ha<br />sbocchi sul mare, il Mali ha un clima subtropicale e arido. Durante la stagione secca, dal Sahara si<br />levano sovente roventi ondate che provocano siccità ricorrenti.<br />La quasi totalità della popolazione attiva è occupata nell'agricoltura, settore che partecipa per il<br />46% alla formazione del prodotto nazionale lordo; tuttavia il terreno arabile e le colture<br />arborescenti ricoprono meno del 2% del territorio. Oltre che per la scarsità di buoni terreni, il<br />livello produttivo è generalmente molto basso per la piovosità insufficiente e comunque<br />fortemente irregolare; si hanno poi ritardi ed errori dovuti alla organizzazione arcaica dell'attività agricola: al momento, neppure l'istituzione di un numero abbastanza considerevole di<br />cooperative ha dato esiti consistenti. Per quanto riguarda le coltivazioni tradizionali, destinate<br />all'alimentazione locale e peraltro in larga misura decimate dalle tremende siccità che a più<br />riprese hanno devastato il paese attorno alla metà degli anni '70, prevalgono il miglio (6,9 milioni<br />di q.), mentre il riso (3,7 milioni di q.), coltivato nelle zone irrigue del delta del Niger, è di<br />introduzione recente, così come il mais. Importanti per l'alimentazione locale sono anche la<br />manioca e la batata, nonché taluni ortaggi e legumi. Nelle zone irrigue si pratica in prevalenza<br />un'agricoltura moderna e commerciale, in parte ad opera delle cooperative di contadini di recente istituzione. Disastrosi sono stati però i raccolti di 1980, 1982 e 1983 per i danni causati dalla<br />siccità. Fra le colture predomina il cotone (2,4 milioni di q. tra fibra e semi), che è la principale<br />voce dell'esportazione nazionale; seguono l'arachide (1,6 milioni di q.), il tè e la canna da<br />zucchero. Altri prodotti destinati al commercio sono il tabacco, il karatè o "albero del burro", il<br />kapok, ecc. Purtroppo il paese non dispone di foreste, il legname è tutto importato attraverso il<br />Burkina dal Ghana e dalla Costa d'Avorio ed i pochi sprazzi di foresta vengono distrutti per offrire legna da ardere alle genti del paese che non dispone di altra energia: degli sforzi dovranno essere<br />fatti per arrestare la desertificazione con piantagioni di Curcas che fra le tante doti, coi semi,<br />offrirà gas ed energia alle popolazioni del paese; sono solo prodotti discreti quantitativi di gomma<br />arabica. Da rilevare poi il grave fenomeno del contrabbando di prodotti alimentari, avviati ai più<br />vantaggiosi mercati della Costa d'Avorio, del Burkina Faso e del Senegal.<br />Le strategie di valorizzazione del mondo rurale hanno sempre rivestito un ruolo fondamentale sia nelle politiche delle potenze coloniali che in quelle dello stato post-coloniale.<br />La pesca viene effettuata solo sul fiume Niger, visto che il Mali è privo di sbocchi sul mare, ed è<br />destinato esclusivamente all'autoconsumo della popolazione.<br />Il Mali possiede estesi giacimenti di fosfati, oro, uranio, ferro, manganese e sale, sebbene siano<br />poco sfruttati a causa delle infrastrutture carenti. Molto più modesti i giacimenti diamantiferi<br />situati nel sud-ovest del paese. Bamako. La discarica di Bamako, uno dei rari esempi di terziario.<br />L'industria del Mali presenta ancora i segni di un industria arretrata e ancora molto legata al<br />settore primario. Le industrie presenti sono concentrate quasi esclusivamente nelle vicinanze di<br />Bamako e comprendono: industrie chimiche, tessili, alimentari, diamantifere e del cemento, oltre<br />a quelle agroalimentari. L'industria garantisce il 26% delle entrate. La rete dei trasporti del Mali è molto limitata e comprende, oltre a strade poco e mal asfaltate che collegano Bamako con Segou, l'utilizzo di imbarcazioni per spostarsi sul fiume Niger. Nel nord del paese si usano<br />prevalentemente cammelli negli spostamenti.<br />Un miglioramento delle comunicazioni aiuterebbe il Mali ad intraprendere un certo sviluppo, visto che molte delle attività terziarie si svolgono sulle poche strade esistenti e i cibi, facilmente<br />deperibili, giungono nelle zone dove non è possibile la coltivazione in tempi molto lunghi, creando<br />così anche problemi sanitari in quelle zone.<br /><br /><strong>LE PRINCIPALI CITTA’<br /></strong>la capitale Bamako; Aguelhok, Almoustarat, Andéramboukane, Anefis, Ansongo, Aourou,<br />Araouane. Bafoulabé, Ballé, Banamba, Bandiagara, Bankas, Bénéna, Bla, Bourem, Bouressa.<br />Diafarabé, Dialafara, Diamou, Didiéni, Diéma, Dilly, Dinagourou, Dioila, Dioura, Diré, Djenné, Doro, Douentza, Douna, Dyero. Fana, Faléa, Faraba, Filamana. Gao, Garalo, Gossi, Goundam, Gourma- Rharous. Hombori, I-n-Kak, I-n-Tabezas, I-n-Tallak. Kadioto, Karioumé, Kaogaba, Kati, Kayes, Ké Maina, Kéniéba, Kidal, Kinyan, Kita, Kofo, Kolondiéba, Kona, Konenzé,Koulikoro, Koundian, Koury, Koussané, Koutiala, Ktéla. Manankoro, Markala, Ménaka, Mopti, Mourdiah, Nangaré,Nampala,Nara, Niafounke, Niono, Nioro du Sahel, Nyamina. Ouatagouna,Ouolossébougou. San,Sandaré,Sébékoro, Séféto,Ségou, Sévaré, Siby, Sikasso, Sokolo, Taoudenni, Telatai, Ténenkou, Tessalit, Ti-n Essako, Timetrine, Tombouctou, Tominian, Toukoto, Yanfolila, Yélimané, Yorosso.<br /><strong>BAMAKO</strong><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkRGVbWaeZw8EK9vcqBIY80QuvPqIn8gqV7iX5vLyrJGRjreNtvkOZEVRbhnL7uJjnX0ERx-VayFm1OF6g-cZeLTVM-DjCJASEnLAHf_aqvQ17sDGCcO59mQDppNrSBGSqr-nrSme41K5G/s1600-h/IMG_0409.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236873258597838770" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkRGVbWaeZw8EK9vcqBIY80QuvPqIn8gqV7iX5vLyrJGRjreNtvkOZEVRbhnL7uJjnX0ERx-VayFm1OF6g-cZeLTVM-DjCJASEnLAHf_aqvQ17sDGCcO59mQDppNrSBGSqr-nrSme41K5G/s200/IMG_0409.JPG" border="0" /></a>Coi suoi 690.000 abitanti, la capitale e la città più popolosa del Mali. Sorge sul Niger, nelle vicinanze delle rapide che separano la valle del Niger superiore e la valle del medio Niger,<br />nella parte sud-occidentale del paese.<br />Il suo Porto fluviale, principale centro amministrativo e commerciale del Mali, è attivo grazie alla<br />produzione di caucciù, resina, legname e tessile; a cui si affianca la produzione di carne lavorata, di metallo e non ultimo in fatto d’importanza, il settore ittico. È scalo aereo internazionale. Abitata sin dal paleolitico, anche se la leggendaria fondazione è fissata nel sedicesimo secolo. Bamako, in origine Bammako («stagno del caimano» in lingua Bambara) sarebbe stata fondata verso la fine del sedicesimo secolo dai Nairé anticamente chiamati Niakate, che erano Sarakollé. Niaréla è uno dei quartieri più antichi di Bamako.<br />La città fu un importante centro commerciale nonché principale centro dell'insegnamento<br />dell'Islam, sotto l'impero del Mali, ma entrò in declino nel diciannovesimo secolo.<br />Alla fine del XIX secolo Bamako è un grosso villaggio fortificato di 600 abitanti, quando l'1<br />febbraio 1883, i francesi, con il generale Gustave Borgnis-Desbordes, la conquistarono.<br />Nel 1904, viene inaugurata la linea ferroviaria Dakar-Niger. Nel 1905, iniziò la costruzione<br />dell'Hôpital du point G, il vecchio ospedale. Nel 1908 Bamako diventa capitale del Sudan francese, e tra il 1903 ed il 1907 è costruito il palazzo di Koulouba, palazzo del governatore;<br />successivamente si riunirà la presidenza della Repubblica a partire dall'Indipendenza nel 1960.<br />Il 20 dicembre 1918, Bamako diviene un comune misto amministrato da un sindaco. Nel 1927 è<br />costruita la cattedrale mentre la "Maison des artisans" nel 1931. Nel 1947 viene eretto un primo<br />ponte sul Niger, e la grande moschea di Bamako risale al 1948.<br />Il 18 novembre 1955 Bamako diventa un comune a pieno titolo, il suo sindaco, Modibo Keïta, è<br />eletto la prima volta un anno più tardi.<br />La popolazione di Bamako, assai cresciuta, nel 1960 raggiunge circa i 160 mila abitanti.<br />Il 22 settembre 1960 è proclamata l'indipendenza del Mali e Bamako diventa capitale della nuova repubblica.<br /><strong>SEGOU<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjT_tAaCIAQKopS4PHZzT5YPO2iuF52DKox1N5WruPCG9WX7A5hxgEbGY3U2wzvmCVT6dkJWFeJX9lVljBhYwtWTzpU-VYvaKubs9MWRbcVYOy5aZkufpwW6jtzdjpXGbGC93WH84HtntSy/s1600-h/IMG_1406.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236873725016698690" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjT_tAaCIAQKopS4PHZzT5YPO2iuF52DKox1N5WruPCG9WX7A5hxgEbGY3U2wzvmCVT6dkJWFeJX9lVljBhYwtWTzpU-VYvaKubs9MWRbcVYOy5aZkufpwW6jtzdjpXGbGC93WH84HtntSy/s200/IMG_1406.JPG" border="0" /></a>Segou è una cittadina dello Stato del Mali che si trova su una riva del Niger, abitata da poco più di 65mila abitanti si estende per circa 8km. È una città che sembra essere meno convulsa e caotica della capitale e fatte le dovute proporzioni risulta molto più vivibile. L’economia si basa principalmente sull’agricoltura, sul commercio e sulla pesca. La zona nella quale si trova Segou è un luogo molto ricco di storia; tra le mete turistiche che attirano maggiormente i visitatori ci sono le antiche rovine della città di Mbella, la capitale della tribù Bambara. Interessanti sono anche le moschee sia per l’architettura che per la testimonianza storica che rappresentano.<br /><strong>SAN</strong><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHARBVcXMbo4DK_KpSJ7I4e9Pwm2ai3PxDyIJ5brM710sME5JZQjl9OACJNvbRsN09lTwmItCiesLNh_sHbDHt6XyFSF05xUrvYthGd4rqfNf23L-lh6RrrUEojIamRFdeojt6Y8CPIAjG/s1600-h/30+san+(10).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236874313468941282" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHARBVcXMbo4DK_KpSJ7I4e9Pwm2ai3PxDyIJ5brM710sME5JZQjl9OACJNvbRsN09lTwmItCiesLNh_sHbDHt6XyFSF05xUrvYthGd4rqfNf23L-lh6RrrUEojIamRFdeojt6Y8CPIAjG/s200/30+san+(10).JPG" border="0" /></a>A circa 200 chilometri da Segou, incontriamo San, col suo particolare mercato del lunedì, ricchissimo di tessuti tradizionali (bogolan) e manufatti locali. Stupenda la moschea, una tra le più vecchie del paese, con le sue linee morbide ed i suoi volumi con colori derivati della grigia terra argillosa (bankò – terra cruda) che ne riveste la struttura e la<br />sua facciata ben ripartita dai tre minareti. Sulla piazzetta antistante, all’ombra di grandi nim, si possono osservare donne impegnate a riparare con infinita pazienza le calabasse (contenitori costituiti da mezze zucche vuote) rotte o fessurate. Con un punteruolo metallico eseguono dei forellini a lato della fessurazione pe poi legare tra loro i vari fori con l’ausilio di un laccio costruito con fibra vegetale intrecciata (solitamente pagliuzze imbevute d’acqua).<br /><strong>MOPTI<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhTT6ETXpuCtbLwQ6IXXOffES2AdxZjMac68S_4pW4kKSjhyphenhyphen7phhozX0aCSAvIew8YFwbwGUgMStCCXwliTtM_BNcmYC4_W9ElqREoh1O7Rw_Y3gKra_OJOIKwq4psOlXcRvc9SvbDI4jiM/s1600-h/18+mopti+(8).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236874739438194466" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhTT6ETXpuCtbLwQ6IXXOffES2AdxZjMac68S_4pW4kKSjhyphenhyphen7phhozX0aCSAvIew8YFwbwGUgMStCCXwliTtM_BNcmYC4_W9ElqREoh1O7Rw_Y3gKra_OJOIKwq4psOlXcRvc9SvbDI4jiM/s200/18+mopti+(8).JPG" border="0" /></a>Crocevia per Tombouctou e per le falesie Dogon, tutto li intorno gravita attorno al suo porto, spolverato dalla laterite portata dal vento (Harmattan) che dona una particolare sfumatura rossastra alla città intera. Qui si possono incontrare Touareg giunti in città col sale di Taoudenni, Peul con le loro mandrie, Songhai provenienti dall’ansa del Niger , Dogon al mercato intenti a vendere le loro cipolle, Bobo con carichi di legna ed ovviamente i pescatori Bozo coi loro fardelli di<br />pesce affumicato. Tappa di qualsiasi viaggio nel nord est del paese, viene chiamata la Venezia del Mali poichè è costruita su tre isolotti collegati tra loro da dighe. Un tempo solo piccolo accampamento Bozo, ampliò le sue mura alla metà dell’800, quando El Hadj Omar Tall ne fece una base per le sue truppe nella guerra contro i Peul di Messina. Durante la colonizzazione francese, da quì partirono le piume di garzette ed aironi per agghindare le dame della belle epoque. Grazie al commercio privilegiato, col tempo riuscì addirittura a soppiantare Djenné, da sempre regina incontrastata del delta. Il porto fluviale quindi, è rimasto ancora oggi il cuore pulsante della città. È il centro di tutte le attività ed è crocevia di tutte le culture e le etnie del luogo. Qui si compra e si vende di tutto. Per raggiungere questo centro commerciale, i venditori giungono da ogni dove a bordo di pinasse (piroghe tradizionali) taxi brusse, camion, carri e quant’altro. Il mercato, ordinato per settori merceologici, si snoda su un sipario che mostra un palcoscenico dato dalle rive del fiume ed uno sfondo disegnato dalle basse abitazioni e dai pinnacoli della moschea. Amalgamandosi per godere degli scorci di un’Africa vera, qui si puo essere attori e spettatori allo stesso momento. Ci si immerge in un mondo che sembra fermo nel tempo, passando dai venditori di lastre di sale, ai mobilieri che lavorano il legno in stile “barocco Africano” e marocchino, dalle montagne di calabasses ai costruttori di pinasse per giungere al reparto stoffe multicolore e pesce esiccato, fino alle spezie colorate e profumate e così via continuando per differenti e molteplici settori merceologici tra i più disparati. Con l’ausilio di una piroga, si ha la possibilità di poter gustare l’interessante spettacolo delle poppe delle pinasse colorate e variopinte e dei pescatori intenti a lanciare le reti, visti direttamente dal fiume stesso, e con l’occasione far visita ad un villaggio rivierasco risalendo il fiume di qualche chilometro, scegliendo una delle due direzioni che la via d’acqua intraprende verso l’affluente (Bani) o il grande fiume (Niger).<br /><strong>DJENNE’<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglup1ZR_yhAHPGDotSRIrLY-QStGttHE23ocxH2QHVnjr_kF1a6RsaecpjxMO3nuEGvP1BVIbqg-QX_PWEUdw4VYmwcIgS3Yjr_hZ27CSZD3YfXEHQwRnwQSASVQTw_6xdrRoELit7WSfe/s1600-h/09+djn+(38).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236874943161298642" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglup1ZR_yhAHPGDotSRIrLY-QStGttHE23ocxH2QHVnjr_kF1a6RsaecpjxMO3nuEGvP1BVIbqg-QX_PWEUdw4VYmwcIgS3Yjr_hZ27CSZD3YfXEHQwRnwQSASVQTw_6xdrRoELit7WSfe/s200/09+djn+(38).JPG" border="0" /></a>Djenné (anche Dienné o Jenne) è una piccola città di grande interesse storico e commerciale nel Delta del Niger del Mali. È situata ad ovest del Fiume Bani (il Fiume Niger scorre diversi chilometri a nordovest).<br />Ha una popolazione etnicamente molto variegata di circa 12000 persone (censimento del 1987). È famosa per le sue architetture di mattoni di fango, molto notevole è la Grande Moschea di Djenné, ricostruita nel 1907. Nel passato, Djenné fu un centro di commercio e cultura, e fu conquistata un gran numero di volte a partire dalla sua fondazione. Il suo centro storico è<br />stato designato Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO nel 1988.<br />Amministrativamente è parte della Regione Mopti. fondata fu fondata circa nel 300 dai Bozo in un sito chiamato Djenné-Jeno, 1.5 km a monte del fiume. Il suo sito venne spostato nel 1043 o nel 13° secolo, quando la città fu convertita all'Islam. Questo incrementò la sua importanza come mercato e base per i commerci transahariani, e rivaleggiò presto con Timbuktu.<br />Djenné, nonostante la sua vicinanza, non fu mai parte dell'Impero Mali. Fu una città-stato<br />indipendente protetta dalle sue mura a dal Delta del Niger in Mali. Secondo le leggende, l'Impero<br />Mali tentò di conquistare Djenné 99 volte prima di arrendersi. Djenné non fu quindi conquistata<br />fino al 1453, quando l'Impero Songhai sotto Sonni Ali la prese. Si dice che l'assedio di Djenné<br />fosse durato 7 mesi e 7 giorni culminando con la morte del re della città e della sua definitiva<br />capitolazione. La vedova della città sposò Sonni Ali, e ricominciò la pace. Nel 1591, il Marocco<br />conquistò la città dopo aver distrutto l'influenza Soghai nella regione. Nel XVII secolo, Djenné<br />divenne un prospero centro di commerci e istruzione. La caravane da Djenné frequentarono città commerciali a sud come Begho, Bono Manso e Bonduku.<br />La città fece parti di parecchi altri stati. Djenné fu parte del Regno Segou dal 1670 al 1818 e<br />dell'Impero Massina sotto il regnante Fulani Amaddou Lobbo dal 1818 al 1893. Alla fine, i Francesi conquistarono la città quell'anno. Durante questo periodo, declinarono i commerci e la città perse parte della sua importanza. Il Vaso di terracotta di Djenné e tutti qli altri prodotti di terracotta mostrano l'unica cultura di Djenné.<br />Oggi, Djenné è un centro agricolo e del commerco di pesci, caffè e noccioline. È conosciuta per il<br />suo importante mercato del Lunedì.<br />Le maggiori attrazioni includono la tomba di Tupama Djenepo, che fu sacrificato, secondo una<br />leggenda, alla fondazione della città. Importante anche ciò che rimane di Jenné-Jeno, una città<br />più grande esistita dal III secolo a.C. fino al XIII secolo.<br />In Djenné è degno di attanzione il fatto che diventa un'isola quando il fiume Niger cresce alla fine<br />della stagione delle piogge.<br />Gli abitanti di Djenné in gran parte parlano una lingua Songhai, una variazione chiamata Djenné<br />Chiini, ma le lingue parlate riflettono anche la diversità dell'area. I villaggi attorno Djenné<br />parlano anche Bozo, Fulfulde o Bambara.<br />Jenné-Jeno: Le rovine dell’antica citta di JennÉ-Jeno si trovano presso un sito archeologico in<br />corso di scavo, dove lavora attualmente una squadra di professionisti. Un tempo era una florida<br />capitale, ma fu abbandonata nel XV secolo per ragioni tuttora sconosciute e oggi non è altro che<br />una piana spoglia, disseminata di una spessa coltre di cocci e detriti, tra i quali sono stati scoperti<br />utensili e gioielli in ferro che suggeriscono un uso precoce di questo minerale (almeno per quanto<br />riguarda l'Africa). JennÉ-Jeno dista 3 km da Djenné<br /><strong>BANDIAGARA<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqtwBUbVbo3h57aSZn8NAoEDByQ4rbeNlOcF352rZ9bxYA9cji9UcwsvJBh3DvBwwpgIkz5hgxByWpuK5F7iwPHiyd1WwI2ABQFfxSFEMh4J6cOgF-DnuEns6XsH-08XFmG-PicdfailAM/s1600-h/14+sanghÃ"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236879991982140402" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqtwBUbVbo3h57aSZn8NAoEDByQ4rbeNlOcF352rZ9bxYA9cji9UcwsvJBh3DvBwwpgIkz5hgxByWpuK5F7iwPHiyd1WwI2ABQFfxSFEMh4J6cOgF-DnuEns6XsH-08XFmG-PicdfailAM/s200/14+sangh%C3%A0+falesie+C+(30).JPG" border="0" /></a>Capoluogo amministrativo della regione che da il nome alla falesia.<br />Questo principale centro dell'area Dogon, nonché l'antica capitale dell'Impero dei Toucouleur. Si trova nell'omonimo circolo, a sua volta facente parte della regione di Mopti.<br />Lo scrittore Amadou Hampâté Bâ e' originario di questa localita'. Il circolo di Bandiagara è un circolo del Mali, situato a sud del fiume Niger. La zona di Bandiagara è celebre per la sua<br />rilevanza etnologica, archeologica e orografica, in particolare per la Falesia di Bandiagara. Nulla di particolarmente interessante tranne un paio di palazzi dell’epoca “toucouleur”, ma occorre fare<br />attenzione al centro di medicina tradizionale, costruito dall’architetto napoletano Fabrizio Carola. Questo centro, riconosciuto e frequentato da medici di tutto il mondo, è stato realizzato grazie<br />all’impegno dallo psichiatra pisano Piero Coppo, che ha lavorato e lavora tutt’ora con sciamani e<br />guaritori della falesia, per arrivare a fissare risultati riconosciuti a livello mondiale.<br /><strong>SANGHA-SONGHO<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjuhY1b4lw_nfC5k-hWmDwXFErfDz6UldnItd474kdnsjYJMqWkWS0148EF6JG5P6RTl1oFyVJaj2KYsDhTvZ-3n2nguhyAMOnu0LGVp5tpZJStLFtlh2l7WWPD4ZJT4tW9-0l9TJprALtS/s1600-h/11+songhò+(24).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236875486175511282" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjuhY1b4lw_nfC5k-hWmDwXFErfDz6UldnItd474kdnsjYJMqWkWS0148EF6JG5P6RTl1oFyVJaj2KYsDhTvZ-3n2nguhyAMOnu0LGVp5tpZJStLFtlh2l7WWPD4ZJT4tW9-0l9TJprALtS/s200/11+songh%C3%B2+(24).JPG" border="0" /></a>Songho, preludio al paese Dogon, a pochi cilometri da Bandiagara. È il primo villaggio importante<br />e di una certa “consistenza” che si incontra prima di arrivare nel cuore della falesia. Interessante<br />è l’antro della circoncisione ed escissione. Per raggiungerlo occorre percorrere a piedi un sentiero, per una ventina di minuti circa, che parte dal centro del villaggio. Sanghà è il cuore del paese<br />Dogon. Dopo circa 45 km da Bandiagara, si raggiunge il piccolo centro percorrendo una carrabile<br />in leggera salita che si snoda tra roccioni, gole, dighe e campi di cipolle. Le coltivazioni che<br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKgXz7sBuawfCjSL-_Y7ngk6QWsWtpDGMaVJFrGLnKVPh6QLqyj7SKKc-7uzsnI87uy0_7seqtfCKW8rkIyUq-JW-WLwEoKxp8cSwjTFnLNrMbEmWMEfv856t8FzLCdd4P92b4ncFJDaGj/s1600-h/17+sanghÃ"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236876137107641474" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKgXz7sBuawfCjSL-_Y7ngk6QWsWtpDGMaVJFrGLnKVPh6QLqyj7SKKc-7uzsnI87uy0_7seqtfCKW8rkIyUq-JW-WLwEoKxp8cSwjTFnLNrMbEmWMEfv856t8FzLCdd4P92b4ncFJDaGj/s200/17+sangh%C3%A0+mercati+(6).JPG" border="0" /></a>contornano il percorso, sono punteggiate dai cappelli a punta dei granai. I Dogon abitano una<br />falesia d’arenaria (sopra e sotto) sfruttando la poca terra coltivabile che si incunea in essa.<br />Interessanti, oltre alle costruzioni stesse, lascito dell’antica popolazione Tellem, sono i manufatti utili ad utilizzare i terrazzamenti di terra riportata, quali i “barrages”, dighe che permettono ai coltivatori di trattenere l’acqua nella stagione secca ed i sentieri costituiti da piccoli contarafforti a secco. Sangha è importante non tanto per la cittadina stessa, o per il variopinto mercato, ma perchè è il punto di partenza fondamentale per le visite ai numerosi villaggi sparsi su circa trecento chilometri di falesia<br /><strong>TOMBOUCTOU<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFDKEWX9p05_ryjv72lywFjI9EiGIQj2NmlFwd0qEQ1OHeY41o7jwU3sOi-UwvRBF3Opsaaud64SnQj5a4hPBwvfRMO0UjdVeHpo6kZs3hXITe_ap2jfdTgyFQz5aTkFUKcsZGQ6uakSzz/s1600-h/24+tombouctou+city+(69).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236876565769867554" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFDKEWX9p05_ryjv72lywFjI9EiGIQj2NmlFwd0qEQ1OHeY41o7jwU3sOi-UwvRBF3Opsaaud64SnQj5a4hPBwvfRMO0UjdVeHpo6kZs3hXITe_ap2jfdTgyFQz5aTkFUKcsZGQ6uakSzz/s200/24+tombouctou+city+(69).JPG" border="0" /></a>Timbuktu (o Timbuctu o Tombouctou) è un'antica città del Mali, considerata la capitale di uno<br />dei veri quattro sultanati (salvo il sultanato supremo di Costantinopoli). Raggiunse il massimo del suo splendore intorno al 1300, quando fu polo culturale del mondo arabo e così ricca d'oro da essere considerata una specie di Eldorado del tempo. È celebre il suo Sultano Kanka Musa che organizzò un pellegrinaggio alla Mecca con oltre 8000 portatori e centinaia di cammelli. La città è ancora viva in epoca moderna e pur non godendo delle ricchezze materiali di un tempo conserva una piccola parte delle ricchezze culturali dell'epoca, compresi manoscritti del XIII secolo e opere di Avicenna. È stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO ed è stata proposta come una delle sette meraviglie moderne. </div><div align="justify"><strong>SIKASSO</strong><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0m2MDt2I8_tunSVQFw4nqzIV1X3Mo1aej71814P2wzUTStJl4DnP1aq5J3O1EoTPbTYLIYzhXywY0O84x1qxg9Lo_8mmkjt9yV8wkHCJEk-xF_7V96p6cDZp4PwsE1M2M-Mlex99O1vEn/s1600-h/IMG_0563.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236878810350054802" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0m2MDt2I8_tunSVQFw4nqzIV1X3Mo1aej71814P2wzUTStJl4DnP1aq5J3O1EoTPbTYLIYzhXywY0O84x1qxg9Lo_8mmkjt9yV8wkHCJEk-xF_7V96p6cDZp4PwsE1M2M-Mlex99O1vEn/s200/IMG_0563.JPG" border="0" /></a>Città del sud del Mali, a 375 km al Sud-Est di Bamako è la capitale della terza regione amministrativa. La popolazione, censita al 2005, contava 135.000 abitanti, per cui puo essere<br />considerata la seconda città del Mali.<br />Situata a 100 km della frontiera della Costa d'Avorio ed a soli 45 km di quella del Burkina-Faso,<br />Sikasso è considerata una cittàcentro tra i paesi costieri (Togo, Benin, Ghana, Costa d'Avorio) ed<br />i paesi incastrati (Burkina-Faso e Mali).<br />Beneficiando di un clima subtropicale, la produzione agricola è abbondante. Frutta e verdura sono disponibili tutto l'anno e l'autosufficienza alimentare è garantita a differenza del resto del Mali.<br />La città di Sikasso è stata fondata da Mansa Daoula Traoré. Fu la capitale del regno del<br />Kénédougou. Occorre a tal proposito fare attenzione alla conformazione architettonica che<br />presenta una sorta di “muro difensivo” costruito nel 1890 da Tiéba Traoré, re del Kénédougou,<br />per proteggere la città contro le incursioni di Samory Touré e dagli attacchi delle truppe coloniali<br />francesi.<br />Nell'aprile 1898, il colonello Audéoud prendendo a pretesto un rifiuto da parte di Babemba<br />Traoré, successore di Tiéba, alla guida di una guarnigione francese attacca la città. Le mura<br />costituite da tre recinti che resistettero a Samory, cedettero alle granate moderne e nonostante i<br />contrattacchi violenti dei difensori, la città cadde e fu presa al termine di due giorni di assedio, il<br />1° maggio 1898.<br />Solo nel 1954 prese piede un governo misto della città che permise alla stessa di divenire<br />successivamente un comune autonomo solo nel novembre del 1955.<br />I luoghi di interesse naturale o storico della regione si possono annoverare nelle rovine del<br />leggendario muro di Sikasso, nel “capezzolo”, una piccola collinetta al centro della città, affacciata<br />sul mercato principale (domenica) dove si riunivano i re de Sikasso, nelle grotte di Missirikoro a<br />13 km dalla città, nelle cascate di Farako a 20 km dal centro abitato e nel palazzo dei re del<br />Kenedougou.<br />Un’appuntamento importante per la regione è Il festival “triangolo del balafon, dedicato allo<br />strumento musicale tradizionale, si svolge ogni anno nella città di Sikasso.<br /></div><div align="justify"><strong>GAO<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqEW242_iK5czax51GBBXsbJJ2SDBkDyn6cAlvqROCTPkOd7dYQ-2eOfo6qOJ94TaGgMNMlLu2QLWeqveoXJrvqVrV6Lx5wpMUjz0kHjfO9wArRETeteS2Q8cwJm6JmdpLrqfr4XsjJ4nE/s1600-h/32+segou+(25).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236879273479236978" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqEW242_iK5czax51GBBXsbJJ2SDBkDyn6cAlvqROCTPkOd7dYQ-2eOfo6qOJ94TaGgMNMlLu2QLWeqveoXJrvqVrV6Lx5wpMUjz0kHjfO9wArRETeteS2Q8cwJm6JmdpLrqfr4XsjJ4nE/s200/32+segou+(25).JPG" border="0" /></a>Città situata all’estremo est del Mali orientale. Adagiata sulle rive del fiume di Niger, si affaccia alle soglie meridionali del deserto del Sahara. Dista circa 320 chilometri (sud est) da Tombouctou. Gli abitanti sono prevalentemente di etnia Songhai.<br />Fondato dai pescatori nel settimo secolo, è uno di più vecchi centri commerciali in Africa occidentale. Gao è divenuta capitale dell'impero di Songhai prima dell’undicesimo secolo. Secondo le usanze Songhai la città prosperò come centro commerciale dedita alla ricezione ed<br />al trasporto della merce per le vie Sahariane. Importante crocevia per oro, rame, schiavi e sale.<br />Il regno Maliano annesse per la prima volta Gao nel 1325, ma i Songhai riguadagnarono il controllo circa 40 anni dopo, nel 1365. La successiva impronta Marocchina, fece si<br />che Gao stessa rientrasse a far parte di un progetto di sviluppo molto più ampio, fino al 1591, trasformando ed ampliando i settori commerciali che già vi operavano. In seguito vi fu un calo d’interesse commerciale che ha portato la città stessa nelle condizioni attuali. Oggi Gao serve da collegamento fluviale, fungendo da “lungo braccio” alle merci che giungono o partono dalle città di Mopti e Kulikoro. Un incrocio di strade nel Sahara collegno la città con l'Algeria, con Timbuktu, mentre una direttrice importante la collega con Mopti. I raccolti (frumento, riso e sorgo) si sviluppano da irrigazione vicino alla banca del Niger e da fosfato è estratto nel Nord di zona di Tilemsi della città.</div></div>MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-52035568095142766392008-08-20T02:58:00.000-07:002008-08-21T03:13:40.056-07:00Mali - ETNIE<strong>“Popolazione ed ETNIE” </strong><br /><strong><div align="justify"><br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIfjPEj4TjpyO2A5F0uWeMtDlTjNpcPfTvHDu6_qzt_LqC9J1w1iVp_qn0Z4xDUrXL1Xz3PAG_dPfWyvG1iAVzY7Q2HfrAaKdaYrG3v7xv7hwrcuVEMt_GmccBCihiMqlS1rsj1Oa-jnIH/s1600-h/IMG_1476.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236547079819716786" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIfjPEj4TjpyO2A5F0uWeMtDlTjNpcPfTvHDu6_qzt_LqC9J1w1iVp_qn0Z4xDUrXL1Xz3PAG_dPfWyvG1iAVzY7Q2HfrAaKdaYrG3v7xv7hwrcuVEMt_GmccBCihiMqlS1rsj1Oa-jnIH/s200/IMG_1476.JPG" border="0" /></a>Il Mali, è da considerarsi uno dei territori presenti nell’Africa centro occidentale che vanta nel suo interno, assieme al Niger, al Burkina Faso ed alla Costa d’Avorio, di una popolazione tra le più interessanti e differenziate dell’area Sud-Sahariana. Le diversità culturali, utili a preservare le singole caratteristiche etniche, hanno come fattore comune il mantenimento delle singole identità, le tradizioni. La tradizione, vissuta come elemento d’appartenenza ad un determinato gruppo etnico è una delle caratteristiche preponderanti che, agendo da collante sociale, lega le singole famiglie. È importante vedere come questo fattore d’unione, che nasce da antichissime<br />tradizioni, anche se influenzato da elementi esterni, (come ad esempio quelli religiosi che tendono ad accomunare e rendere omogenei ed a spersonalizzare antichi usi e costumi), è una delle aratteristiche forti che permettono di mantenere quasi inalterato, il modo di vivere delle diverse etnie. Grazie a tutto questo, sommato ad una specifica distribuzione su un territorio vasto e morfologicamente differenziato, queste etnie hanno saputo mantenere quasi totalmente integra la propria cultura, e ciò ha contribuito e contribuisce tutt’ora a preservarne la “purezza” e la ricchezza etno-culturale tipica del paese. I principali raggruppamenti autoctoni che definiscono le differenti etnie. </div><div align="justify"><br /><strong>DOGON<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4iwpbiOMXZvK8P62LqLQvVR-filmS2zXdT1mbCIOghR0saVZei0awuQa4g5MSy2m4e9Kd_kljmEN1r1-3Al3a0JB-dXHsTDo35tEcVFyZ98i_g11P1LxtZ6iLbzqIwGoiy4DotJlnAXhO/s1600-h/14+sanghÃ"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236543066727853986" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4iwpbiOMXZvK8P62LqLQvVR-filmS2zXdT1mbCIOghR0saVZei0awuQa4g5MSy2m4e9Kd_kljmEN1r1-3Al3a0JB-dXHsTDo35tEcVFyZ98i_g11P1LxtZ6iLbzqIwGoiy4DotJlnAXhO/s200/14+sangh%C3%A0+falesie+C+(52).JPG" border="0" /></a>Popolo che conta circa 300.000 individui dalle origini leggendarie. Presente nella zona sud orientale del paese, occupa la regione della falesia di Bandiagara, che lo isola dal resto del mondo, a sud del fiume Niger. Alcuni gruppi sono stanziati nei territori attigui al Burkina Faso. I Dogon si<br />sono spostati dalla regione mandé a sud est del Mali durante il XIV secolo, per sfuggire<br />all'ondata di islamizzazione e si sonofermati nella regione di Bandiagara che allora era abitata dai Tallem. La loro storia si collega a questo punto con quella dei vicini Bozo con cui intrattengono molti rapporti di scambio e reciprocità. Soprannominati il “popolo delle stelle” per il forte<br />legame tra religione e cosmologia che li contraddistingue, si considerano discendenti da Amma, il Dio venuto dallo spazio, e in particolare da Sirio B, una stella – invisibile ad occhio nudo - che i Dogon conoscono fin dall’antichità, ma che gli astronomi moderni sono riusciti a localizzare alla fine dell’800 e a fotografare solo nel 1970. A Sirio B è dedicata la festa del Sigi, che si svolge ogni 60 anni, al passaggio della stella sul paese Dogon. La venuta di Amma sulla terra, a bordo di<br />un’Arca la cui descrizione corrisponde a quella di un disco volante, e le particolari conoscenze cosmologiche, hanno spesso fatto pensare a un contatto del popolo delle stelle con una civiltà aliena. Un mistero che rende ancora più affascinante un’eventuale visita nel cuore del Paese Dogon. Prevalentemente coltivatori di miglio hanno una particolare abilità come fabbri e scultori (famose sono le porte delle abitazioni e dei granai). La lingua dogon presenta caratteristiche particolari, molte varianti e molti dialetti. ogni membro di questa popolazione ha 4 nomi:1<br />nome proibito,segreto,un altro che è "corrente",uno che si riferisce alla madre e uno è il nome della classe di età. per evitare problemi con le altre parole di uso comune questi nomi sono presi dai dialetti di altre tribù Dogon. Ogni nome ha un significato linguistico.<br />Tradizionalmente, i Dogon praticano l'animismo e nonostante i contatti con l'Islam e con altre religioni monoteistiche, essi mantengono un legame molto forte con la fede animista. Marcel Griaule, etnologo ha dedicato molti studi a questa popolazione, in particolare agli aspetti religiosi e alle tradizioni cosmogoniche. Nel 1936, il ricercatore ebbe una lunga conversazione con il vecchio Ogotemmêli, un hôgon ovvero un capo religioso: il loro incontro ha portato Griaule alla<br />pubblicazione di uno dei saggi più importanti dell'antropologia classica, che è stato a lungo protagonista di dispute e dibattiti in ambito accademico ma non solo. il sistema Dogon presenta un unico Dio creatore, Amma, che ha generato i suoi figli con la Terra, sua sposa: Yurugu, essere imperfetto che conosce la prima parola, Nommo essere doppio in quanto sia maschio che femmina è il maestro della parola e la insegna ai primi otto esseri umani Dogon, quattro coppie di gemelli, nati da una coppia d'argilla creata da Amma, che diverranno gli antenati.<br />La loro antica religione animista si esprime in cerimonie e danze rituali, in cui le maschere sono il simbolo più importante. Una volta ogni sessant'anni viene celebrato il Sigui, cerimonia itinerante di villaggio in villaggio, che rappresenta la perdita dell'immortalità da parte dell'uomo attraverso la rievocazione della morte del primo antenato Dyongu Seru, rappresentato dalla iminana una grande maschera che viene intagliata a forma di serpente ed è alta circa 10 metri. Questa<br />straordinaria maschera viene poi conservata in una grotta segreta. Il villaggio è costruito seguendo le forme umane: la testa è costituita dal togu-na, la casa della parola, una bassa tettoia dove l'hogon e gli anziani si ritrovano per discutere le questioni importanti del villaggio; il tronco e gli arti sono occupati dalle case di fango con i relativi granai dal caratteristico tetto di paglia di forma conica con base circolare o quadrata. Il braccio destro è costituito dallo yapunu guina, la casa dove le donne risiedono durante il periodo mestruale, in quanto impure.<br /></div><strong></strong><div align="justify"><strong>BOZO</strong><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEievhTJdTuY4xewNkn9jLBAlVkI6KB2G5ZcceP-cUya88MsKOlHRpOe55cwN7Vul1l4epfNtHuhwhRRTDw7y7KWuQYqPhljn9DuQnwmCut0Uthb6t9iICEfHKeh-8nGZSujJrN4-_px1EPa/s1600-h/10+villaggi+bozo-peul+(11).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236543414390565634" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEievhTJdTuY4xewNkn9jLBAlVkI6KB2G5ZcceP-cUya88MsKOlHRpOe55cwN7Vul1l4epfNtHuhwhRRTDw7y7KWuQYqPhljn9DuQnwmCut0Uthb6t9iICEfHKeh-8nGZSujJrN4-_px1EPa/s200/10+villaggi+bozo-peul+(11).JPG" border="0" /></a>I Bozo sono una popolazione africana, stanziata nella parte centrale del delta del fiume Niger, in Mali, fra Djenné e Debo. Sono una popolazione negroide dedicata principalmente alla pesca. La popolazione dei Bozo ammontava a 132.100 persone al censimento del 2000. Parlano quattro<br />lingue che complessivamente formano il sottogruppo linguistico della lingue bozo. Il<br />gruppo delle lingue bozo (talvolta boso) comprende quattro idiomi correlati parlati dai Bozo, un popolo di pescatori che vive nella parte centrale del delta del Niger, in Mali. Le lingue bozo a loro volta appartengono al sottogruppo lingue soninke-bozo delle é nordoccidentali.<br />Le quattro lingue del gruppo sono lo hainyaho (poche migliaia di parlanti), il tiéyaho o tigemaxo (poche migliaia di parlanti), il tièma cièwe (circa 2.500 parlanti) e il sorogama/jenaama o sorko (100.000 parlanti)<br /><br /><div align="left"><strong>FULANI (Peul)<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrLCY273e1v3hyphenhyphenftuvzan001KWUYquNtZ21HFB1sSa7XtiPM6ikwDEtYm2NLoxG8SjbLVBwO5Unx8nfU0oBjfTUZavQfAlhDl-QRoGa5-lm1pYbqkeqiIO4azYRR0h-It8Ifw9QC-9x0XA/s1600-h/10+villaggi+bozo-peul+(48).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236544494909373058" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrLCY273e1v3hyphenhyphenftuvzan001KWUYquNtZ21HFB1sSa7XtiPM6ikwDEtYm2NLoxG8SjbLVBwO5Unx8nfU0oBjfTUZavQfAlhDl-QRoGa5-lm1pYbqkeqiIO4azYRR0h-It8Ifw9QC-9x0XA/s200/10+villaggi+bozo-peul+(48).JPG" border="0" /></a>Etnia nomade dell'Africa occidentale, dedita alla pastorizia, allevamento ed al commercio. Sono<br />diffusi dalla Mauritania al Camerun e contano complessivamente fra i 6 e i 19 milioni di persone.<br />Loro stessi si definiscono con il nome di Fulbe (al singolare Pullo), nome che deriva da una parola in lingua fulfulde che significa "nuovo". Fulani è la definizione di derivazione anglofona mentre in<br />francese il nome della popolazione è Peul. La forma mandinka usata in Senegal e Gambia è Fula mentre in Sudan la popolazione araba li chiama Fellah.<br />Vi sono diverse teorie sull'origine della popolazione Fulani; una di queste ipotizza che siano i<br />discendenti di una popolazione preistorica del Sahara migrata inizialmente verso il Senegal e in<br />seguito (intorno all'anno 1000 a.C.) lungo le rive del fiume Niger alla ricerca di pascoli per le<br />mandrie.<br />In passato i Fulani ebbero un ruolo importante nell'ascesa e caduta degli stati Mossi in Burkina Faso; contribuirono inoltre ai movimenti migratori verso meridione diretti in Nigeria e Camerun.<br />A loro si deve l'introduzione e la diffusione della religione islamica in Africa occidentale. L'apice dell'impero Fulani fu tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo quando una serie di guerre religiose intraprese da Usman dan Fodio rafforzò l'impero.<br /></div><div align="left"><strong>TOUAREG</strong><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkfpobWNbBeGEmlwS6Aq1EBALrV2rpNEvElrMHJmWHhYn6fJn2MVm54e6FilJc2qjQSf4YrIw7T1zPtwXQe8-bX4BwTUO5XFgF35PLWx5_Kg9YvViYbJWBLgQQZ51DDMjxSj-vcl1hQUHc/s1600-h/26+touareg+trek+(14).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236544754762758274" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkfpobWNbBeGEmlwS6Aq1EBALrV2rpNEvElrMHJmWHhYn6fJn2MVm54e6FilJc2qjQSf4YrIw7T1zPtwXQe8-bX4BwTUO5XFgF35PLWx5_Kg9YvViYbJWBLgQQZ51DDMjxSj-vcl1hQUHc/s200/26+touareg+trek+(14).JPG" border="0" /></a>I Tuareg sono una popolazione africana che vive nomade nel Sahara (soprattutto Mali e Niger<br />ma anche in Algeria, Libia, Burkina Faso e perfino nel Ciad, dove sono chiamati Kinnin).<br />Essi sono anche detti dagli occidentali Berberi e la loro lingua (tamahaq, tamashek o tamajeq, a<br />seconda dei parlati) è un dialetto del berbero.<br />Il nome "twareg" è di origine araba: è un plurale arabo dalla parola Targi "abitante della<br />Targa" (targa in berbero significa "canale" e come toponimo indica il Fezzan). I Tuareg non si designano con questo nome, ma semplicemente come Kel tamahaq, cioè "Quelli che parlano la tamahaq".<br />Per quanto riguarda il loro aspetto fisico, presentano statura anche molto alta, faccia lunga e stretta, corporatura robusta, capelli ed occhi scuri. La pelle può essere anche molto chiara, ma non di rado è bruno-scura, segno di un meticciamento di genti sahariane con elementi negroidi.<br />I Tuareg portano un velo sulla testa di colore diverso rispetto alla casta da cui provengono: esso è indaco per i nobili e ricchi, nero per la gente comune e bianco per i servi e per gli schiavi. Gli uomini della comunità hanno imparato a mangiare e a bere senza togliersi la tagelmust (il velo). Il velo è d'obbligo solo per gli uomini, mentre per le donne è necessaria un velo che copre solo la testa.<br />Oggi allevano dromedari e vivono in villaggi provvisori formati da tende. I loro clan sono matrilineari ma non basati sul matriarcato e le loro tribù sono divise in classi sociali o ceti.<br />La religione che praticano è l'Islam, anche se vi è chi ha visto in diverse loro pratiche e leggende dei residui di un anteriore animismo. L'epoca precisa di adozione dell'Islam è controversa, ma comunque risale a diversi secoli fa. Le donne hanno una libertà maggiore rispetto ad altre culture islamiche, e tra l'altro possono divorziare dal marito. Quando ciò si verifica, dal momento che le tende sono di proprietà della donna, l'ex-marito si ritrova senza un tetto e deve cercare ospitalità presso parenti di sesso femminile (madre, sorelle). Oggi i Tuareg sono raggruppati in diverse confederazioni rette da un capo (un amenukal o un amghar, a seconda delle tribù), nelle quali si conservano la lingua e le tradizioni.<br />Le più importanti in Mali sono:<br />Kel Adagh (nell'Adrar degli Ifoghas)<br />Kel Ataram (Iwellimmidden dell'ovest)<br />Circa la storia più antica dei tuareg si sa poco di preciso. Ogni confederazione conserva tradizioni relative all'arrivo nelle sedi storiche. Spesso il progenitore ancestrale è una donna (per esempio Tin Hinan presso i tuareg del Nord), e quasi sempre si ricorda la presenza anteriore di altre popolazioni (gli Isebeten, dalla lingua un po' diversa e dai modi più primitivi).<br />Comunque sia, per secoli i Tuareg sono vissuti come dominatori del deserto, esercitando l'allevamento, il commercio transahariano e la razzia, il che portava a frequenti scontri tra tribù.<br />Sottomessi (almeno nominalmente) dai Francesi intorno agli inizi del Novecento, i Tuareg poterono mantenere a lungo i propri capi e le proprie tradizioni. Ma con la decolonizzazione videro il loro paese frammentato in una serie di Stati-Nazione, con la conseguente creazione di frontiere e di barriere che rendevano estremamente difficile, quando non impossibile, il modo di vita tradizionale basato sul nomadismo. L'attrito con i governi al potere si fece sempre più forte e sfociò negli anni novanta, in aperti scontri tra tuareg e i governi di Mali e Niger;<br />l'intervento militare, che a volte ha massacrato la popolazione di interi villaggi (Tchin Tabaraden, Niger, maggio 1990), ha causato la morte di molte persone. Molte persone non potendo più praticare il nomadismo andarono nelle periferie delle città e continuano ancora oggi a fare lavori di artigianato, lavorano in miniere, oppure i più fortunati sono guide di viaggi.<br />La società tuareg tradizionale è molto gerarchizzata. Al suo interno si distinguono diversi livelli (caste). In particolare, le tre classi principali sono:<br />Imajaghan (al nord: Ihaggaren): gli appartenenti alle tribù nobili, Imghad (o kel ulli "quelli delle capre")i "tributari", gli appartenenti a tribù vassalle, Iklan (singolare akli): gli schiavi negri.<br />Un ruolo a parte spetta poi a:<br />Ineslemen (le tribù marabuttiche), cui viene di norma affidata la gestione del sacro. i fabbri, o artigiani, che costituiscono una classe a sé con forte endogamia.<br />I Tuareg sono anche soprannominati "Uomini Blu", con riferimento alla tradizione degli uomini di coprirsi il capo ed il volto con un velo blu (la tagelmust), di cui rimangono alcune tracce sulla loro pelle.<br />I Tuareg mantengono molti aspetti linguistici e culturali originari delle popolazioni berbere che popolano il Nordafrica dalla notte dei tempi. La lingua dei tuareg, a differenza di quella dei Berberi del nord, ha un apporto trascurabile di prestiti dall'arabo. Inoltre i Tuareg hanno mantenuto fino ad oggi l'uso della scrittura tradizionale del Nordafrica, detta tifinagh, che discende da quella delle antiche iscrizioni libiche (I millennio a.C.).<br />La cultura tradizionale dei Tuareg ha conservato numerosi miti antichi, in cui non è difficile scorgere un fondo preislamico, anche se in molti casi si osserva un'integrazione tra elementi antichi ed elementi più recenti, di origine arabo islamica. Per esempio i miti della progenitrice Tin Hinan, della cammella Fakrou, dell'eroe fondatore Amerolqis, dell'astuto Aligurran, ecc. </div><div align="left"></div><div align="left"><strong>BAMBARA<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFwlYONKXDOix5Zg40qzRvskldlD3DI4hWr8UcsQn3btH9ZL-TYj1TUkM1xQfeu-aoMgr3z64B0fepWtw9clD9alrW9pu5aG7UYQyQ48DyJi9qM1DVZu_mnvvkbvNIrtW2pBXNlQOKgqrd/s1600-h/IMG_1647.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236545253988475410" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFwlYONKXDOix5Zg40qzRvskldlD3DI4hWr8UcsQn3btH9ZL-TYj1TUkM1xQfeu-aoMgr3z64B0fepWtw9clD9alrW9pu5aG7UYQyQ48DyJi9qM1DVZu_mnvvkbvNIrtW2pBXNlQOKgqrd/s200/IMG_1647.JPG" border="0" /></a>I Bambara o Bamana sono l'etnia principale del Mali (2.500.000 persone, circa il 32%<br />della popolazione complessiva del paese).<br />Le regioni in cui i Bambara sono più numerosi sono quelle di Ségou e di Bamako, nella regione di savana al centro del Mali, ma ci sono comunità bambara anche in altre zone. La loro lingua è parlata anche da altre popolazioni della zona.<br />Come i Malinke e i Marka (con cui hanno ancora moltissimi tratti in comune), i Bambara discendono dall'antico Impero del Mali. Alcuni storici ritengono che si debba a loro l'introduzione dell'agricoltura nell'Africa subsahariana. Dopo il crollo dell'Impero del Mali, nella regione si formarono diversi regni, fra cui quello di Segou (1660-1881) e quello di Kaarta (1670-1851).[1] Un Regno Bambara si sviluppò a partire dal XVII secolo e raggiunse l'apice della propria potenza e ricchezza fra gli anni 1760 e 1780, durante il regno del sovrano N'golo Diarra.<br />L'arrivo dei francesi pose fine al regno alla fine del XIX secolo.</div><div align="left">I Bambara, principalmente agricoltori, in particolare di miglio, praticano anche l'allevamento. Sono noti per la loro abilità nella lavorazione di ferro, legno, cuoio, ceramica e tessuti. Particolarmente caratteristico della loro produzione artigianale è il chiwara o tjiwara, un copricapo-maschera tradizionale di legno intagliato, in forma di antilope, che viene indossato nelle cerimonie religiose. Tutte le maschere bambara sono realizzate in un particolare stile chiamato segou, caratterizzato tra l'altro da volti piatti, nasi a forma di freccia, e segni triangolari che rappresentano cicatrici decorative. Una grande mostra di arte bambara è stata tenuta nel 2001-2002 al Rietberg Museum di Zurigo e al Museum of African Art di New York.<br />Nonostante l'azione dei missionari, il cristianesimo non ha mai attecchito in modo significativo nella comunità bambara, che è tutt'oggi prevalentemente animista; in tempi recenti si è osservato invece un processo di islamizzazione. La società tradizionale bambara è suddivisa in sei caste iniziatiche maschili, chiamate dyow (al singolare dyo), per esempio i komo e i koré.<br /><strong></strong></div><br /><div align="justify"><strong>MALINKE<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMLi9lQUerBtttYVpVq1RcnxUtFSixVZqKoGK7FXZCHmhtV72kNXEoJj04KVe-xdK02IGNDEhQAvWr4K4vPnM-B5yBhzC84OgkMSFlpJ5IhE988b6trFbmwx-LTKdHwyN7WA1he0q4EC8g/s1600-h/IMG_0483.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236545609880389554" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMLi9lQUerBtttYVpVq1RcnxUtFSixVZqKoGK7FXZCHmhtV72kNXEoJj04KVe-xdK02IGNDEhQAvWr4K4vPnM-B5yBhzC84OgkMSFlpJ5IhE988b6trFbmwx-LTKdHwyN7WA1he0q4EC8g/s200/IMG_0483.JPG" border="0" /></a>I Malinke sono un popolo africano del Mali, prevalentemente stanziato nella zona di Bamako.</div><div align="justify">Le origini storiche di questo popolo sono abbastanza incerte; sono molto vicini ai Bambara dal punto di vista somatico, linguistico e culturale.</div><div align="justify">Anche se con qualche influenza islamica, sono in maggioranza di religione animista.<br /><br /><br /><br /></div><br /><br /><div align="left"></div><strong></strong><br /><strong></strong><br /><strong>SENUFO<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwAlTwjCax2oQrlZlJWOod39ujDJWzyCKPHEvIHFMVdKX37Jq6d-pw1mc_GAWyx01ttqlqMtEa-a-rH9CJIcqX_xzm53Ct35eg07GLqUmV4ScQIdmaur8qz-BCgZFNXbjBfLTgXntfTKUo/s1600-h/IMG_1236.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236545988362444802" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwAlTwjCax2oQrlZlJWOod39ujDJWzyCKPHEvIHFMVdKX37Jq6d-pw1mc_GAWyx01ttqlqMtEa-a-rH9CJIcqX_xzm53Ct35eg07GLqUmV4ScQIdmaur8qz-BCgZFNXbjBfLTgXntfTKUo/s200/IMG_1236.JPG" border="0" /></a>gruppo etnico distribuito in Costa d'Avorio, Mali e nel Burkina Faso e più precisamente dal territorio a sud di Ségou, nel Mali, fino al nord di Bouaké, Costa d'Avorio. Si tratta prevalentemente di agricoltori sedentari che vivono in villaggi, talvolta circondati da una muro di cinta per proteggersi dalle invasioni dei Mandingo. Le abitazioni tipiche sono cilindriche<br />o rettangolari, realizzate in terra battuta e argilla disseccata e addossate le une sulle altre.<br />Il terreno viene completamente sfruttato e sottoposto alla rotazione delle colture. Piuttosto<br />sviluppata è la coltura del riso, di cui esportano le quantità eccedenti, e richiede particolari lavori di irrigazione e di prosciugamento durante la stagione secca. I Senufo coltivano anche il miglio, che costituisce il loro alimento base, l'igname e il granturco; la manioca e la patata rappresentano<br />colture integrative. Recentemente sono state introdotte delle nuove specie e in particolare l'arachide e il cotone, anche se quest'ultimo non è stato accolto in maniera molto favorevole. Di poca rilevanza risulta l'allevamento di capre e pecore. L'artigianato e praticato solo ed esclusivamente dagli uomini; sviluppata è la tessitura del cotone, grazie anche agli influssi dell'Islam e dei Mandingo. I Senufo lavorano anche il rame ma sono famosi soprattutto per le sculture in legno create da un gruppo professionista di artigiani che danno vita a maschere rituali, raffigurazioni di antenati, porte, sedili...etc. Ogni nucleo familiare porta il nome di un animale sacro e può essere formata da una coppia, dalla famiglia ristretta o da quella allargata; il capo di tale nucleo rappresenta gli antenati e ciò gli conferisce l'autorità di cui gode. Il matrimonio<br />senufo, che può essere legalmente poligamo, può durare diverso tempo arrivando anche a durare diversi mesi nel corso dei quali le famiglie degli sposi si scambiano visite e regali. Spesso la famiglia della fidanzata richiede una determinata somma di denaro. La proprietà della terra è, da sempre, collettiva e sacra e gli abitanti hanno solo un diritto di uso; tuttavia se un individuo dissoda un terreno occupato da geni, può impadronirsene. La vita religiosa dei Senufo è fortemente legata all'organizzazione iniziatica. I riti iniziatici si svolgono durante un arco di tempo di ventuno anni, suddivisi in tre fasi. Il matrimonio, per esempio, è possibile solo se un individuo è arrivato ad un certo livello iniziatico. Il loro pantheon è costituito da due divinità principali, la dea madre e il demiurgo che agisce sugli esseri umani attraverso forze invisibili. La circoncisione non è generalizzata.<br /><strong>SONGHAI<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgg_va8SG6G9f8j9sXdR2HenASJIm9LSqhoAlEK_BjeTXZDXssMM55NY8yOs4Spnlo0-bHwLQYe3QPxiNrkPBwMkejWYXWZyFx_x_L7mi7rZood5gXgW5usbreHEiAaKKJg5aONe7Gg6rZs/s1600-h/22+pinasse+D+(138).JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236546262538204002" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgg_va8SG6G9f8j9sXdR2HenASJIm9LSqhoAlEK_BjeTXZDXssMM55NY8yOs4Spnlo0-bHwLQYe3QPxiNrkPBwMkejWYXWZyFx_x_L7mi7rZood5gXgW5usbreHEiAaKKJg5aONe7Gg6rZs/s200/22+pinasse+D+(138).JPG" border="0" /></a>I Songhai sono una popolazione africana, generalmente stanziata presso il fiume Niger, nel Mali, nell'area di Tombouctou.<br />Costituiscono il 7% della popolazione di questo Paese.<br />Sono prevalentemente agricoltori, e coltivano cereali lungo le rive del Niger e nelle sue aree di esondazione.<br />I Songhai moderni sono i discendenti del popolo che diede vita all'Impero Songhai, in Sudan, che ebbe una grande importanza nella storia dell'Africa anche grazie alla sua posizione strategica a cavallo fra l'Africa nera e quella bianca.<br />Vivendo generalmente nella zona centrosettentrionale del paese, hanno subito un'influeza morfologica derivante da nord.<br />I Songhai sono fortemente berbericizzati; in particolare, ci sono molto analogie fra i Songhai e i Tuareg in quanto nel passato, i primi sono stati spesso al servizio forzato dei secondi.<br /><strong>WODAABE (Bororo)<br /></strong><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKP2s4aR-Zj94Si8a2V8lgCDubwjRL9ZQdZbfn6dicpOz-BN3YQWUPiVuILjQbU1Jo3pYP_pWW9LPtA93pNrCUweaEPJ_Ehi9_1kTbhmCipHSyLeUzfgdqgNX9NxroSYVdQe9QwY0lfIl2/s1600-h/bororo+2.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236546653416579042" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKP2s4aR-Zj94Si8a2V8lgCDubwjRL9ZQdZbfn6dicpOz-BN3YQWUPiVuILjQbU1Jo3pYP_pWW9LPtA93pNrCUweaEPJ_Ehi9_1kTbhmCipHSyLeUzfgdqgNX9NxroSYVdQe9QwY0lfIl2/s200/bororo+2.jpg" border="0" /></a>Popolazione stanziata nella zona sud del Sahel, i Bororo sono una delle tribù Peul, gli ultimi grandi nomadi, che ancora oggi si spostano da un paese all’altro, muovendosi tra la Repubblica centro africana, il Niger, la Nigeria, arrivando anche fino in Mali (soprattutto alcune donne che commerciano rimedi tradizionali e alcuni meharisti che vendono segreti e rimedi tipici del loro sapere ancestrale). Nell’africa occidentale, l’allocazione di questa etnia è dunque spalmata su un territorio che va dal Senegal al Niger e vede un nucleo distributivo, come minoranza etnica, nel Mali. Si attribuiscono il nome di Wodaabe e parlano una lingua di origine nigeriana-congolese, affine al Bantu. Popolo dedito alla pastorizia, come i Fulani, allevano buoi gibbuti dalle lunghe corna (zebù), cammelli e capre. Per loro il bestiame, che riveste un grande interesse, determina<br />l’importanza delle famiglie. Più animali possiede un uomo, maggiore sarà il suo prestigio in seno alla famiglia stessa. Le donne, sotto la supervisione degli uomini, si occupano della mungitura e della vendita dei prodotti al mercato, mentre agli uomini è riservata la tratta degli animali. Vivono in nuclei retti da capifamiglia accompagnati dalle mogli e dai figli non sposati. Tra i Bororo è diffusa la poligamia, ma soltanto gli uomini ricchi possono permettersi di mantenere più<br />mogli e soprattutto di pagarle con numerosi capi di bestiame. Solitamente i matrimoni avvengono a seguito di una scelta endogamica (membri della stessa comunità se non addirittura figli di fratelli di capofamiglie). Il matrimonio serve a conferire dignità agli sposi. L’uomo poi, diviene ufficialmente adulto a seguito della procreazione e la donna accresce ulteriormente lo status sociale se il nascituro è maschio. Potremo definire i wodaabe come cultori della bellezza, che celebrano in riti, canzoni e danze tradizionali. La cerimonia per la scelta della futura sposa e il massimo esempio di narcisismo di questa etnia. È un concorso di bellezza vero e proprio. I giovani maschi, appartenenti a diverse tribù, partecipano a questo rituale sfoggiando elaborate acconciature, pitture facciali policrome ed esibendosi in determinate danze che mettono in risalto una particolare mimica facciale atta a promuoverne la bellezza. Si possono quindi osservare sguardi con occhi forzatamente spalancati per farli sembrare più grandi, pupille incrociate per evidenziare lo strabismo, considerato dalle ragazze affascinante e bocche in atteggiamento di iperbolici sorrisi per far risaltare la dentatura. Questa estremizzazione del volto, che sembra esser molto gradita alle ragazze, permette a quest’ultime di compiere la giusta scelta per una prova prematrimoniale che verrà “consumata” nella brousse.<br /></div>MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1959207138537175113.post-40922327194050422102008-08-19T08:00:00.000-07:002008-08-25T06:56:05.269-07:00MAL D'AFRICA<span style="font-family:arial;"><strong>Ruoli sociali e comportamenti</strong></span><span style="font-family:arial;"><strong></strong><br /><br /></span><span style="font-family:arial;"><div><div align="left"><br /></span></div></div><br /></span><div align="justify"><span style="font-family:arial;"><a href="http://edone.org/"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236528117905806546" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqHOGw9MzmGUhouLi-gaZCikfA-i3_2R1Q5Z4VQHd-C_WeneWECShoHz4Tkm7z6GzAbz-u78cjRhZcA6zCx64aja6q1W5dMx5b8h7TXTa-IXzK-wYnNFTHbp9bsZ9HKUs1DYmZFZpwvpQ9/s200/IMG_0758.JPG" border="0" /></a>Nel linguaggio comune, il mal d'Africa si riferisce alla sensazione di nostalgia di chi ha visitato l'Africa e desidera tornarci. Colpisce di solito tutti quelli che mettono piede in questo continente e manifesta i suoi sintomi appena lo si lascia. E' una malattia senza guarigione, difficile da spiegare a chi non ha vissuto il territorio Africano, ai "non malati".<br />Occorre innanzitutto precisare che esistono diverse immagini d’Africa.<br /><em>L’Africa mediterranea</em>, con le sue medine mediorientali, i colori dei mosaici delle sue moschee, i suoi percorsi tortuosi nelle strette vie cittadine, i suoi profumi di spezie che dopo un po’ si adagiano e si fermano sulla pelle.<br />L’Africa delle coste, dove la grandiosità della natura si manifesta nella maestosità delle onde che spumeggiano lungo le spiagge e la fatica quotidiana dei nativi che puntano la prua delle piroghe verso i cavalloni in una quotidiana sfida con l’oceano.<br /><em>l’Africa delle formazioni coralline</em> e dei colori vivi e sfavillanti che pigmentano la sua fauna ittica.<br /><em>L’africa storica</em>, che ha lasciato un’importante impronta, grazie alla conservazione <a href="http://edone.org/"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236533776601753330" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRiRSojtehQ8DDxbS3g3vgfnMUZ6dUJKXitxVUqxVFqBa5KaBYUf-arJ8_xmwjE6-HnuJLMaR9nnUZL0e_LAziDlKBTomKDnfwc2bNjmHRZ3jfnDUVsOe0f5eep_cIdNGrochscTsOsS2B/s200/09+djn+(85).JPG" border="0" /></a>di particolari siti, nei quali, ancora oggi si possono ammirare edifici monumentali o<br />ci si può addentrare in originali costruzioni. Dove ci si può ancora stupire per la fattezza dei manufatti tramandati dalle sue antiche civiltà L’Africa dei deserti, dove regnano spazi sconfinati.<br /><em>L’Africa delle foreste</em>, dove fa da padrona la vegetazione che permea, avvolge quasi a cullare l’uomo nel suo abbraccio verde.<br />Prevalentemente, l’Africa che genera quell’impulso, l’Africa che contagia è <em>l’Africa delle savane</em>. È li che i tramonti accendono con calde tinte i ricordi. La Savana o meglio sarebbe chiamarla come viene chiamata li, la Brousse, è una terra calda, solcata da intrecci di piste di laterite, in ocra rossastra, che ci si chiede da dove <a href="http://edone.org/"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236529232260616418" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWDilvZMAugeYONpVwMJGCbwoXGoiXaBR3UL4L_kYum0Jh371fC8n8Pr5yr4i75w64ny122Hk71PXbpTozFEBYMYlh6o5W-SvGiiMOMkWIiGhTR1PEHn4iAboErO3mCwC9BdXnty05RcGI/s200/DSCN4308.JPG" border="0" /></a>provengano e quale strada andranno a percorrere. Una Brousse punteggiata da cespugli ed acacie, dove, come d’incanto, incontri gli anziani patriarchi, i baobab, che ti fan venir voglia d’abbracciarli. È li che possiamo trovare una luce particolarmente intensa, il cielo azzurrissimo più vicino alla terra di quanto non sia<br />in altre latitudini. La notte poi è sublime, i cieli stellati sono esaltati dalla limpidità data dall’assenza di inquinamento atmosferico e luminoso. Le stelle sono vivissime e anche la Via Lattea (che in Africa è anche chiamata la grande schiena della notte) appare subito in tutta la sua gloria anche all'osservatore più distratto.<br /><em>Usi comportamentali</em><br />Nell’Africa, soprattutto rurale, ogni uomo deve avere una sua giusta collocazione nell’universo. Nei villaggi, la vita in comunità non contempla situazioni individuali ne tanto meno la solitudine. Questa concezione si affievolisce con l’avvicinarsi alle modernità delle grosse città, che sono permeate da fattori che hanno radici ben <a href="http://edone.org/"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236529620605143298" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiez4OWJjdvwowSY5fwdwgsrAqzKhEKekoNs4CtDwGFfV8l4mTJaAgUcCFh-BorPcdKlybtLu-vqbiw5hpL5yjBkXhtDOoo9rgREHPMm1DXvdVTtfMo49NBuozB-PA39YNhidnO_xEWovg-/s200/DSCN4003.JPG" border="0" /></a>lontane dalla mentalità originaria del continente. I villaggi sono composti da “concessioni”, nucleo abitativo di una famiglia allargata. Una serie di abitazioni che ruotano attorno ad una corte. Il patrimonio culturale ed economico della famiglia è gestito da un indiscusso capofamiglia, detentore della memoria e giudice delle dispute famigliari. Alla morte, potrà succedergli solo il più anziano della casa, il fratello minore in vita o il figlio maggiore. La parola “anziano” ha un’eccezione importantissima in Africa. La persona anziana non è concepita come inutile vecchio, ma è considerata detentrice della memoria e quindi della saggezza. Una biblioteca vivente. Quando si forma un gruppo di persone per strada, si potrà notare che, mano a mano che queste raggiungono il gruppo, le ultime, quelle di rango inferiore e comunque le persone più giovani, tacitamente si scostano o si alzano dallo sgabello e lasciano il posto ai nuovi venuti di rango superiore, generalmente i più <a href="http://edone.org/"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236529896107317586" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicFFBUybamb2RlOser9p5S0-kGAWmwmCWvIuZjB7Gz3DhXVvAPd97YLwGnrDVnaDTW9yi-q_eYT6eNYwC8qosqZw4FFBP3222pONTWcm5qgr4Kdx325BMQRWAZxPtdnRdrpoAKLdjmOx98/s200/DSCN4222.JPG" border="0" /></a>anziani. Questa serie di “danza delle sedute” si svolge con la massima naturalezza, senza che alcuno trovi da eccepire. Ognuno sa quale posto occupare sia che si tratti di un semplice raduno serale che nella vita stessa. Un’altro fattore importante che mette in evidenza il rango sociale, è la cerimonia del the. Preparato di norma dal più alto in rango, viene servito in tre volte, in tre bicchieri differenti. Alcuni riceveranno la bevanda solo quando altri avranno terminato di gustarla e questo determina lo stato sociale all’interno di un gruppo o di una famiglia. Il primo a degustare è sicuramente il capofamiglia, segue l’ospite al pari dei fratelli, dal più <a href="http://edone.org/"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236533216596377538" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjP-l1JRbsixCcc0SqHAJ8poLEgSZ2dL2R2Vts_tmJHgelf1qI7NQHu5LNJamzG0zJlQcKtqgnL1pboIqzvyG0iioZl2DAyXgaUroos_9XEjfXNe10GXQg1koIWP3Mgz40bN9U3AAquBhpE/s200/20+pinasse+B+(62).JPG" border="0" /></a>anziano al più giovane, poi la prima moglie, le altre mogli, i figli e così via. Uomini e donne non possono concepirsi gli uni senza gli altri, esistono in quanto amano, interagiscono, partecipano, condividono.<br />Soffermandoci poi sulla solidarietà, che quì non è una parola al vento, ma una prassi in funzione della quale i più poveri riescono a sopravvivere, si potrebbe aggiungere che il sistema in uso in questi paesi serva da vero collante sociale.<br />Qualsiasi compenso in denaro che entra nella concessione, viene posato letteralmente nelle mani della madre, la quale preleverà la giusta quota che serva al sostentamento del nucleo famigliare e consegnerà il restante al capofamiglia che gestirà a sua discrezione. Tutto deve rientrare in famiglia. Con la difficoltà di<br /><a href="http://edine.org/"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236530610652432018" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbCvtKMyYfDLayR5YkDrS3RIpQlQdtxusUXvlg-9I7LQ3jqfAEfMdI7Y18o1AgarkG4fVhVMC6CtmiKXGulk9gLOKPXK_BQVyPP8krm5yh_030zdWPHketNMzFJx7qeo9oncZFOe1OlhZ6/s200/DSCN3794.JPG" border="0" /></a>reperire lavoro, questo metodo, permette a tre o quattro persone di mantenere una trentina di persone, che partono dai famigliari più stretti fino ad allargarsi ad una rete più ampia; dagli allievi delle scuole coraniche, agli inservienti che si accontentano di un po’ di cibo in cambio dei loro servigi, ai mendicanti a cui si concede un riparo in cambio di qualche piccolo lavoro.<br />Anche se nell’Africa subsahariana coesistono differenti religioni, con una forte prevalenza islamica, un fondamento “Animista” insiste in maniera più o meno radicata sul territorio. Alla base di questa credenza, esistono i riti improntati alla ricerca della forza vitale presente in tutti gli esseri viventi. Queste cerimonie <a href="http://edone.org/"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236533458488698370" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7NOMBo5pJPID0byUxwmIAx7WfH8NzylEKvkexmlIPQdvtoGz4PtHBhDKo8XJSgJDsCgnerXFgzdDEbuJUbO5kvp1HtF6wqepi0wkc_EZn7TqY4VUcEPgrwavSzBICK_RHSZFLAeDOACjV/s200/20+pinasse+B+(60).JPG" border="0" /></a>tendono a catturare le energie del cosmo per poter garantire migliori condizioni di vita al gruppo. Il credo in un essere superiore, a divinità secondarie, agli spiriti degli antenati ed ai geni, permea la vita dalla nascita alla morte. Le preghiere ed i riti animisti esistono con lo scopo di assicurarsi i benefici legati ai singoli momenti<br />di vita (matrimoni, filiazioni, raccolti....etc). Non esiste una nozione del peccato assimilabile a quella occidentale, ma si parla di trasgressione di divieti. Le disgrazie (fame, malattie, siccità) sono viste come conseguenze di gravi errori fatti dagli uomini. Quindi altre religioni più importanti, dal punto di vista del numero dei<br />praticanti, sono comunque permeate da ancestrali riti animistici.<br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAyHMIXr4N1UVDAYSox4QRiSHOD4ZimPzWi6Py_GVoAv0WKncNvtWWD-ihfha-f32M376Xbdp-Xi0ENH0EZCSZcoBIv2g0DusLiDhyHvfXxDcCz5qUaukbXH8D7OyBiJdsO6xseNMGqLNu/s1600-h/09+djn+(52).JPG"></a>Visto quanto sopra, è ovvio che il turista che entra in contatto con questo modo di vivere, debba adattarsi allo stile di vita locale e non comportarsi in modo tale da condurre il tutto ai propri parametri occidentali. <a href="http://edone.org/"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236532163655292530" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhrpSykmFasjSIeecBPxJ0RTieygy5OHfqqnTKgz9ymbmhlGy6LDZJq92pS-cTvQJxPFhIPEUtIWOmtA8IeeFm_ETUtJhR5dNmn3EHGX0Ia4wWYr9D037nHUyvANIjPgA4jaiNXpgJgdqTA/s200/11+songh%C3%B2+(44).JPG" border="0" /></a>Innanzitutto, entrare in un villaggio è come entrare in casa di qualcuno ed una guida locale che possa sensibilizzarci alla questione, sarà di enorme utilità ogni qualvolta si deve approcciare all’abitato. Per poter intraprendere il tour tra abitazioni, orti, campi coltivati e luoghi di interesse vario, la visita al capo villaggio è d’obbligo, così come è buona usanza lasciare allo stesso una regalia (solitamente<br />qualche noce di colà e mediamente 5.000 CFA) che verrà distribuita successivamente dallo stesso e messa a disposizione della comunità.<br />Assolutamente controproducente e poco etica l’usanza smodata di distribuire “cadeau” a destra ed a manca. Queste elargizioni, soprattutto ai bambini, provocano danni più che benefici. In loro si crea una forma di dipendenza che li induce a trascurare la scuola. Inoltre, portando a casa somme economiche che vanno ben oltre il salario medio quotidiano guadagnato dal capofamiglia, si ottiene come drastica conseguenza, che l’autorità paternale, pilastro su cui si regge la società in Africa Nera, ne esce screditata.<br />Ultima cosa da dire è un lieve accenno all’abbigliamento. Esistono turisti che hanno un’aria volutamente trasandata. In Africa Nera è consentito qualsiasi tipo <a href="http://edone.org/"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5236532374328523490" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgU6S5P13DBQzMD3U1Js2gNq6pnxLixXVnXctP0b1B4euwPWqU-V2yIXBAHeAwFd44tZKbouroAHMPOpiNojfLC8QX0AbM6XiwT9jXZ5sKdLcEsbU08OCzPGOTS_IF7k_rJSsVjye4mzzQf/s200/10+villaggi+bozo-peul+(53).JPG" border="0" /></a>d’abbigliamento, ma non per questo è per forza apprezzato. in Africa, ornamenti e vesti sono motivo di fierezza ed hanno un’importanza rilevante. Per esempio, i<br />calzoncini corti sono riservati ai bambini e le magliette sporche e sgualcite non sono ritenute degne di un uomo rispettabile, tanto meno per un uomo bianco.<br />Mentre per le donne mostrare il seno non è considerato motivo di scandalo, scoprire le cosce potrebbe generare una situazione d’imbarazzo per i locali. Con questo non si vuole obbligare nessuno a portare un determinato tipo d’abbigliamento, si vuole solo sensibilizzare chi vuole approcciare un determinato ambiente, al rispetto culturale (giusto o sbagliato che sia) della popolazione di cui<br />si è ospiti.</span></div>MARINO NEBULONI socio fondatorehttp://www.blogger.com/profile/04530340092021256827noreply@blogger.com1