lunedì 12 ottobre 2009

Mali: GLI ULTIMI ELEFANTI DEL GOURMA




Un branco di rari elefanti del deserto, in Mali è stato decimato da una delle peggiori siccità avvenute a memoria d’uomo nel paese nell’ultimo quarto di secolo, che ha abbassato il livello delle già esigui fonti d’acqua presenti sul territorio I 400 pachidermi che ancora vivono nel Gourma settentrionale, sono costretti a percorrere lunghi tratti nel territorio che lambisce il Sahara per trovare le scarse risorse idriche che necessitano per la loro sopravvivenza. Gli animali più giovani sono i più colpiti da questo problema, perché a differenza degli adulti, non hanno il tronco abbastanza lungo per poter raggiungere in profondità nei pochi pozzi presenti, le scarse falde d’acqua residuaQuest'anno il livello delle acque lacustri è estremamente basso nella regione Gourma, a causa della scarsità di precipitazioni irregolari avvenute nel corso del 2008. Il più importante di questi laghi, il Banzena, stà raggiungendo i limiti critici del 1983, quando si è asciugato completamente. Il 16 maggio, Jake Wall, uno scienziato che collabora con “Save the Elephants”, è tornato nel bacino e lo ha trovato quasi asciutto.Sono dunque poche le possibilità che oggi questi pachidermi hanno per poter trovare risorse idriche sufficienti al loro fabbisogno. Si sta assistendo ad una serie di movimenti erratici da parte di questi gruppi di grossi mammiferi, con destinazioni sempre più distanti, alla disperata ricerca di acqua e foraggio.

Nel corso degli ultimi anni, la Fondazione “WILD” e “Save the Elephants”, in collaborazione con il Mali, Ministero dell'Ambiente, Direzione per la conservazione – “Direction Nationale de la Conservation de la Nature”, hanno monitorato questi ultimi elefanti del deserto tramite l’ausilio di 9 radiocollari dotati di Global Positioning System (GPS). Gli impulsi trasmessi da questi collari, hanno permesso di rilevare le diverse posizioni degli elefanti, con rilevazioni effettuate fino a tre volte nel corso della giornata, tramite collegamento satellitare e di sviluppare informazioni in tempo reale sulle attività dei singolo gruppi. il dr Iain Douglas-Hamilton di “Save the Elephants” ha eseguito studi e ricerche sul campo, controllando l’andamento dei vari gruppi dalla metà degli anni ’70. Dice in un’intervista: "Nella regione del Gourma, in Mali, esistono gli ultimi elefanti che vivono nel Sahel, nell’Africa settentrionale. Il loro numero è diminuito drasticamente a partire dal 1970 a causa dei cambiamenti climatici e il sovraffollamento del bestiame, che h a degradato l'habitat. Questi elefanti hanno un percorso alimentare tra i più lunghi e gravosi rispetto a qualsiasi migrazione in Africa. Si muovono in cerchio, in senso antiorario per ben 700 km.Al culmine della stagione secca, questi pachidermi, si accalcano nell’unica “manciata” di laghi poco profondi presenti nel vasto territorio a sud di Timbuktu, e vi rimangono fino alla successiva stagione delle piogge, in luglio e agosto. Alcune ONG hanno lanciato un appello di emergenza per salvare questo branco. Attualmente molti gli elefanti sopravvivono con estrema difficoltà data dalla limitazione e dal difficile accesso agli approvvigionamenti di acqua. In un letto asciutto del lago, a 50 km ad est di Banzena, 6 elefanti sono sopravvissuti, riuscendo a recuperare a stento l’acqua loro necessaria alla sopravvivenza, inginocchiandosi in prossimità di alcune falde a 3 metri sotto il livello del suolo, attraverso un buco scavato dal popolo Tuareg. Li esemplari più giovani, che non hanno certamente le dimensioni degli adulti, non possono assolutamente raggiungere questi punti vitali di rifornimento idrico e se uniamo al fatto le lunghe distanze che sono costretti a superare per cercare di raggiungere le falde loro accessibili, le alte temperature e condizioni di debolezza, anche quest’anno, purtroppo dovremo stimare un pesante tributo per le nuove generazioni di pachidermi.





Mali: un raro Sirenide - IL LAMANTINO


Nelle acque limacciose del Niger, a 2 mila chilometri dalla foce, in una delle zone più selvagge della repubblica africana del Mali, è avvenuta una straordinaria scoperta scientifica. Dopo settimane di ricerche, attese e tentativi andati a vuoto, è stato avvistato, catturato con le reti, studiato e rilasciato libero un animale mito per zoologi e naturalisti di tutto il mondo: il lamantino del Niger. Un mammifero d'acqua della famiglia dei sirenidi, qualcosa a metà tra un tricheco senza zanne e una grande foca dalla coda a ventaglio, dalla testa grossa e gli occhi piccoli e tristi. Un bestione lungo tre metri e pesante 400 chilogrammi, vegetariano, capace di sopravvivere in un ambiente di acque dolci tanto fangose che è impossibile vedere, sott'acqua, un sottomarino a un metro dai propri occhi. Finora questo animale era conosciuto solo come abitatore di foci ed estuari dell'Africa occidentale. Nessuno pensava che potesse vivere all'interno dell'Africa. E nessuno lo aveva mai visto. La scoperta, italiana, è avvenuta alcuni anni or sono grazie a Stefano Capotorti, responsabile per l'Africa ovest dell'associazione Terra Nuova, ed al biologo genovese Antonio Di Natale. La rivista “Panorama” ha pubblicato le sue foto in esclusiva: fino a oggi non esistevano al mondo immagini del lamantino del Niger.«Stanarlo è stata una vera impresa» racconta Di Natale. «Un animale pur così grande emerge di solo mezzo centimetro di naso da un'acqua melmosa e tanto densa da renderlo invisibile. Ha bassissimi ritmi di respirazione. Dalle narici inspira aria per non più di 4 secondi. Poi scompare per decine di minuti. Trovarlo vuol dire stare ore e ore a guardare il fiume, quando la corrente è calma e non c'è vento. Ad aiutare i ricercatori nell’impresa sono stati i pescatori africani, i Bozo».

 In una vasta zona del fiume, dove vive un'etnia di lingua Bozo esiste una sola famiglia che si tramanda l'arte di cacciare i lamantini, oggi protetti dalla convenzione internazionale Cites, quella che impedisce la caccia alle specie in estinzione. «In quella famiglia» prosegue Di Natale «ci sono pescatori che sanno come prenderli: sono capaci di restare per ore in silenzio a fissare la superficie del fiume. Se non c'è vento, si riesce a vedere un cerchio d'acqua, come fosse il salto di un piccolo pesce».«Un numero di difficoltà tale da scoraggiare chiunque». «Tre volte si era riuscito ad accerchiarne uno con le reti e tre volte sono state ritrovate le reti strappate. Poi finalmente il successo». Gli animali catturati sono stati due: il primo, avvistato di notte, è stato rimesso in libertà la mattina dopo, una volta svolte tutte le analisi. Il secondo, due metri per 150 chili, è stato preso pochi giorni dopo. Di Natale ha potuto prelevare il sangue e un frammento di tessuto, per lo studio del dna, da entrambi gli esemplari. Secondo il biologo, un primo sommario esame degli animali dimostrerebbe che il lamantino del Niger è decisamente diverso dalla specie centroamericana. La sua pelle è grigio bluastra ed è molto più slanciato e affilato.«Siamo solo agli inizi delle nostre indagini. Bisognerà capire se si tratta di una vera sottospecie. Ma è certo che questi grossi animali, qualche centinaio appena in tutto il fiume, da migliaia di anni vivono completamente separati dai loro simili che abitano le coste dell'Africa occidentale. Sarà importante la ricerca acustica: infatti è impossibile che possano comunicare a vista. L'unico modo di interagire tra loro dovrebbe essere il suono». Gli uomini dell'acquario di Genova e dell'associazione Terra nuova riprenderanno le ricerche in Mali e proseguiranno gli studi sul lamantino. Di Natale vuole anche verificare le qualità terapeutiche dell'olio che un tempo si estraeva dal suo corpo. L'unguento di questo animale, secondo la medicina tradizionale africana, curava tutte le affezioni dell'orecchio e anche alcune dermatiti. Per questi motivi un tempo veniva cacciato e rischiava di scomparire. La notizia della ricerca italiana ha fatto il giro tra i pescatori del Niger. Intorno al gruppo di Di Natale si è formata una rete di collaborazione senza precedenti. Tutti quelli che sono riusciti a vedere i lamantini catturati vogliono dare una mano. C'è curiosità, ma soprattutto rispetto. Per molti di loro questi animali sono tabù. Così come succede per i delfini di fiume dell'Amazzonia (i botu vermelhos) uccidere un lamantino oggi è considerato causa di gravi disgrazie. In lingua Bozo infatti l'animale si chiama «sutandonè», cioè «l'ombra che annuncia la morte».




Fonte Panorama – colloquio con Di Natale (acquario di Genova)